Prosegue la rubrica «Opzione Francesco», firmata dal teologo Armando Matteo per la rivista Vita Pastorale. Per gentile concessione del direttore, don Antonio Sciortino, la rubrica viene interamente ripresa e pubblicata in digitale su SettimanaNews.
Con i passi sin qui fatti, possiamo finalmente dire una parola sulla pastorale che ora ci serve per mettere in moto il passaggio dal cristianesimo della consolazione al cristianesimo della gioia. Lungo questa via non possiamo non ritornare su uno dei testi più significativi dell’Evangelii gaudium (EG 27):
«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia».
Queste nitide parole di papa Francesco disegnano come impegno specifico dei credenti quello di convertire l’insieme della pastorale ordinaria per favorire la risposta positiva di chiunque all’offerta di amicizia che viene da Gesù. Propongono di passare da una «pastorale dell’accompagnamento», specifico del cristianesimo della consolazione, a una «pastorale dell’amicizia», autentico volano di quella nuova immaginazione del cristianesimo futuro come cristianesimo della gioia che oggi serve.
Dall’accompagnamento all’amicizia
Si tratta, dunque, di ripensare la comunità ecclesiale a completa disposizione della possibile amicizia tra Gesù e gli uomini e le donne del nostro tempo, dei più piccoli in particolare. E questo in una duplice postura: da una parte, facendosi eco di quella proposta di amicizia che viene da Gesù; dall’altra, facendo di tutto per favorire in chiunque l’accoglienza di quella proposta.
Va da sé, tuttavia, che la messa in pratica di questa vera e propria conversione pastorale dalla logica dell’accompagnamento a quella dell’amicizia comporterà sia un serio lavoro di discernimento rispetto a quanto già ereditato nel concreto dell’agire spicciolo della comunità, individuando ciò che è destinato ad essere lasciato andare via e ciò che può ancora risultare efficace, sia un entusiasmante lavoro di creatività rispetto alla nuova condizione dei destinatari della proposta di amicizia di Gesù.
Non sarà possibile, infatti, semplicemente aggiungere altre cose da fare o altre attenzioni da prestare a quelle già in atto. C’è qualcosa da abbandonare e c’è qualcosa da creare. Non a caso Francesco si esprime nei termini di una necessaria trasformazione della pastorale ereditata. Solo così possiamo sperare che chiunque passi accanto a una delle tante chiese sparse nel mondo riesca a presagire qualcosa di ciò che veramente è in gioco con la fede cristiana: la gioia di una vita vissuta – grazie all’incontro con Gesù – nell’amore di Dio e nell’amore per il prossimo. È solo così che potrà accadere il passaggio dal cristianesimo della consolazione al cristianesimo della gioia. Mettiamoci, allora, subito a lavoro!
Più di amicizia – oggi parola fraintesa dato il suo sui social – parlerei di prassi del buon vicinato. Occorrerebbe recuperare questo stile del cristianesimo descritto nella Lettera a Diogneto: «I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo, nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro e ogni patria è straniera. [..] Obbediscono alle leggi stabilite e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti e da tutti vengono perseguitati» (A Diogneto, V, 1-11).