Per il suo contributo teologico e per il suo ruolo di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, diventando da quella sede il principale collaboratore di Giovanni Paolo II, Joseph Raztinger avrebbe un posto già assicurato nella storia. Avrebbe certamente avuto una parte rilevante nel significativo capitolo su Karol Wojtyla.
Dopo essere succeduto al pontefice polacco e aver ereditato il pastorale di san Pietro, egli avrebbe avuto uno spazio considerevole nei “manuali” di storia della Chiesa… Ma egli andò ben oltre e sovvertì le aspettative.
Non sappiamo ancora cosa abbia comportato la sua rinuncia al pontificato l’11 febbraio 2013. È stato un colpo di fulmine che ha generato un’eco che, a distanza di un decennio, sta ancora scuotendo la storia della Chiesa.
E possiamo dire con sicurezza: è stato il primo papa in due millenni a prendere questa decisione liberamente e a posizionare il compito di pastore della Chiesa nella dimensione del servizio.
Le tre precedenti rinunce
È stato detto che è il quarto pontefice a dimettersi. Ma, in questa chiave di libertà e di servizio, è senza dubbio il primo. Gli altri tre precedenti non hanno segnato alcuna pietra miliare o rivoluzione. Erano semplicemente segni di una malattia che ha afflitto la Chiesa da secoli: la corruzione e la brama di potere, completamente lontane dal Vangelo.
Il primo a dimettersi fu Benedetto IX. Ma Teofilatto (questo il suo nome civile) resse il papato in ben tre occasioni (1032-1044; tra aprile e maggio 1045 e tra novembre 1047 e luglio 1048). Elevato al pontificato all’età di 20 anni dopo l’acquisto della carica da parte del padre, il suo periodo di potere politico vaticano (ma non di servizio ecclesiastico) fu marcato da alleanze con re e imperatori, lotte, espulsioni, scomuniche e, persino, dalla vendita della sua posizione con l’intenzione di sposarsi, anche se, alla fine, non ebbe successo. Caduto in disgrazia, morì nel 1055 a Grottaferrata. Significativamente, lo fece da monaco.
Il secondo caso è quello di Celestino V, l’unico che può essere paragonato a Ratzinger. Anche se la sua rinuncia si deve alla concomitanza di circostanze poco edificanti. Monaco eremita dell’Aquila, fu eletto papa all’età di 85 anni, nel luglio 1294, dopo un conclave durato più di due anni nel quale i cardinali (alcuni alleati con gli Orsini e altri con i Colonna) non riuscivano a trovare un accordo.
Il povero Celestino V era una “soluzione di emergenza” per sbloccare la situazione. Egli era reputato un santo dal popolo e i porporati pensavano che sarebbe stato facilmente gestibile. Ma, meno di cinque mesi dopo, si dimise, disgustato da una politica così superficiale e tornò nel suo speco come eremita.
Il suo successore, Bonifacio VIII, temendo che, vivente il suo popolare predecessore, la sua legittimità sarebbe stata messa in discussione, lo fece arrestare e portare a Roma. Morì presto e, secondo alcuni storici, potrebbe essere stato assassinato.
Gregorio XII è la terza eccezione storica e l’antecedente più prossimo a Benedetto XVI. Ma il suo è un altro esempio oscuro… Ha esercitato il papato tra il 1406 e il 1415, in pieno Scisma d’Occidente, con i papi in esilio nella città francese di Avignone. Per porre fine allo scontro, essendoci in quel momento due papi (uno a Roma e l’altro nell’esilio francese), si tenne a Roma un conclave in cui i cardinali posero come condizione che chiunque fosse stato eletto tra loro avrebbe avuto l’unica missione di trovare un accordo con il pontefice di Avignone, l’allora Benedetto XIII, in modo che entrambi si dimettessero insieme e si convocasse così il conclave definitivo da cui sarebbe uscito l’unico papa legittimo.
Gregorio XII si sottrasse all’impegno e, invece di negoziare con Avignone, nominò cardinali quattro suoi nipoti per rafforzare la sua posizione.
Infine, un gruppo di cardinali convocò un concilio a Pisa per destituire entrambi i pontefici ed eleggerne uno frutto di un accordo e legittimo.
Una decisione “esemplare”
Visti i tre tristi e deplorevoli precedenti storici, non è forse vero che le dimissioni di Ratzinger non hanno eguali? E non è meno certo che, se non avesse riconosciuto la sua mancanza di forze per intraprendere la riforma della Chiesa, ci saremmo persi un Francesco che ha sostenuto con energia e decisione il cammino verso una Chiesa meno clericale e nella quale gli abusatori di minori e i corrotti di ogni genere sono meno a loro agio in Vaticano?
E la grande lezione finale… Ratzinger non condiziona in qualche modo Bergoglio? Vedendo l’indole generosa di Francesco, che in ogni momento si pone esclusivamente come servitore, non è facile pensare che, quando riterrà che sia giunto il momento, si dimetterà anche lui e così, anche se non ufficialmente, si consoliderà questa prassi tra i papi?
Perderebbero un po’ del loro carattere sacrale o addirittura misterioso, ma offrirebbero al mondo una testimonianza preziosa: lasciare quando le forze vengono meno e non è possibile portare a termine il compito, è una buona cosa. È salutare. È meglio per tutti. Ed è, a livello spirituale, un modo per rimanere sulla Croce. Solo in un modo diverso: rinunciando per generosità.
Quando Joseph Ratzinger si è presentato al mondo in bianco, con il nome di Benedetto XVI, non ci ha ingannato. Era davvero «un umile lavoratore nella vita del Signore».
Invece della lode sperticata, ricordando il posto nei manuali di storia della chiesa che si è guadagnato Papa Benedetto, come instancabile difensore della fede, si dovrebbe anche riflettere se le strutture e le modalità con cui ha portato avanti il suo servizio, anche disciplinare, corrispondano ai criteri evangelici di carità. Questo non per sminuire il bene che Benedetto XVI ha certamente fatto nel suo lungo e generoso servizio per il Signore, ma perchè la Chiesa possa avanzare e purificare le sue strutture. A tale proposito è illuminante la testimonianza di un sacerdote irlandese sulle “barbare” procedure di correzione fraterna ancora purtroppo in atto nella chiesa
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