Ancora una volta papa Francesco spiazza tutti e si conferma un pontefice che guarda lontano.
Attendevano tutti con febbrile impazienza questa esortazione apostolica. I “conservatori” con angoscia, per l’incombere di quella che a loro dire sarebbe stata la fine della figura del presbitero, decretata dall’eventuale «abolizione del celibato»; i “progressisti”, con speranza altrettanto febbrile, per la rimozione di quello che a loro avviso costituisce un’assurda eredità del passato e un fattore decisivo della crisi delle vocazioni e degli scandali di pedofilia e di corruzione del clero.
Dell’Amazzonia, diciamolo pure, non interessava niente a nessuno. Meno che meno, di ciò che, attraverso la realtà dell’Amazzonia, tutta la Chiesa deve riscoprire riguardo alla sua identità e al suo ruolo nel mondo contemporaneo.
I sogni del papa
E invece il papa ha parlato, nel suo documento, proprio di questo. Non sono il celibato dei preti o il sacerdozio delle donne il vero problema. La Chiesa non riesce più a parlare alle persone. Non riesce più a rispettare la grande legge dell’incarnazione, che pure dovrebbe costituire il suo DNA: «La predicazione deve incarnarsi, la spiritualità deve incarnarsi, le strutture della Chiesa devono incarnarsi» (Querida Amazonia, n.6)
Da qui i quattro “sogni” che il papa ha voluto comunicare «al popolo di Dio e a tutti gli uomini di buona volontà», che sono i destinatari del documento.
«Un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi». «Un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana». «Un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna». «Comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici» (n. 7).
L’ultima espressione è la chiave di lettura delle altre tre, in cui al posto di «un’Amazzonia» sarebbe possibile leggere «una Chiesa». Ma forse, ancora più ampiamente, «un’umanità».
Il sogno sociale
Il primo sogno del papa è sociale. In tempi bui, che vedono ovunque trionfare nel mondo lo spietato cinismo dei più forti, la passività e a volte la complicità delle persone “oneste”, la paradossale collaborazione di tante vittime, accecate dalla propaganda, con i loro manipolatori, la voce di Francesco si leva alta e forte per denunziare un neocolonialismo che si fa scudo delle leggi dell’economia per trasformare la globalizzazione in una operazione a vantaggio dei ricchi e a danno dei poveri.
Bergoglio ricorda che «spesso erano i sacerdoti coloro che proteggevano gli indigeni da assalitori e profittatori» e sottolinea che «nel momento presente la Chiesa non può essere meno impegnata, ed è chiamata ad ascoltare le grida dei popoli amazzonici» (nn. 18-19).
Il sogno culturale
Il neocolonialismo si manifesta anche come cancellazione delle culture più deboli e riduzione della terra all’unica cultura dei dominatori. «La visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità» (n. 33).
Il sogno ecologico.
«La cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono inseparabili» (n. 42). A una cultura dello sfruttamento illimitato bisogna sostituire quella della contemplazione. «Risvegliamo il senso estetico e contemplativo che Dio ha posto in noi e che a volte lasciamo si atrofizzi» (n. 56).
Il sogno ecclesiale
E, alla fine – ma in realtà era all’inizio – un sogno ecclesiale. «La Chiesa è chiamata a camminare con i popoli dell’Amazzonia» (n. 61), ma l’Amazzonia è la cifra, il simbolo di un dramma planetario. Ciò non svuota minimamente lo spessore dei drammi e delle sofferenze vissute dalle popolazioni di quel territorio, anzi ne valorizza la portata universalmente umana.
La scarsità dei preti e il celibato
Ma il punto su cui papa Francesco era più atteso era il problema della scarsità dei preti in Amazzonia. Era a questo che si riferiva la richiesta dei padri sinodali di permettere l’ordinazione di uomini sposati. La riposta dell’esortazione è articolata, ma non per questo meno incisiva.
Innanzi tutto il papa fa presente che la carenza denunziata non riguarda tutto il continente sudamericano, il quale anzi “esporta” presbiteri in gran numero, ma nelle regioni dove regna il benessere e la vita è più facile: «Colpisce il fatto che in alcuni Paesi del bacino amazzonico vi sono più missionari per l’Europa o per gli Stati Uniti che per aiutare i propri Vicariati dell’Amazzonia» (nota 132).
Da qui l’invito, rivolto ai vescovi, «a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia» (n. 90).
La comunità, non solo i preti!
In secondo luogo, l’esortazione osserva che «non si tratta solo di favorire una maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l’eucaristia. Questo sarebbe un obiettivo molto limitato se non cercassimo anche di suscitare una nuova vita nelle comunità» (n.93).
È tutta la comunità cristiana che deve essere in grado di animare la vita della Chiesa. Certo, «c’è necessità di sacerdoti, ma ciò non esclude che ordinariamente i diaconi permanenti – che dovrebbero essere molti di più in Amazzonia –, le religiose e i laici stessi assumano responsabilità importanti per la crescita delle comunità e che maturino nell’esercizio di tali funzioni grazie ad un adeguato accompagnamento» (n. 92).
In particolare, c’è urgenza che vi siano «responsabili laici maturi e dotati di autorità» (n.94). Un inveterato clericalismo ci ha abituato a credere che tutti i problemi si risolvano solo con la presenza dei presbiteri. Francesco sa bene che il sacerdote ordinato è indispensabile per alcuni sacramenti, in particolare per l’eucaristia (cfr. nn. 87-89). Ma, in un mondo dove le vocazioni sacerdotali sono sempre di meno, chiede ai cristiani – e non solo a quelli dell’Amazzonia! – di entrare in un nuovo ordine di idee, dove i presbiteri hanno delle loro funzioni peculiari, ma all’interno di una più ampia responsabilizzazione di tutta la comunità.
Il problema dell’ordinazione delle donne
Da qui anche la risposta implicita a coloro che da tempo insistono per l’ordinazione delle donne. Bisogna, scrive il papa, «evitare di ridurre la nostra comprensione della Chiesa a strutture funzionali». In altri termini, a strutture di potere.
«Tale riduzionismo ci porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso all’Ordine sacro. Ma in realtà questa visione limiterebbe le prospettive, ci orienterebbe a clericalizzare le donne, diminuirebbe il grande valore di quanto esse hanno già dato e sottilmente provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo»
È necessario entrare in una prospettiva diversa. «In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio (…). Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile» (n. 103).
Opposti clericalismi
È clericalismo arroccarsi nel falso dogma del celibato ecclesiastico. Ma lo è pure pensare che tutti i problemi della Chiesa si risolvano abolendolo, per aumentare il numero degli ecclesiastici. È clericalismo difendere il tradizionale potere degli uomini dentro la Chiesa e la riduzione delle donne a ruoli subordinati. Ma lo è anche pensare che l’unico modo di riscattare le donne da questa assurda situazione sia di aprire loro le porte della “casta” dominante.
La sconfitta del clericalismo passa, piuttosto, dall’abolizione della logica che ha spesso trasformato dei “servitori” – come lo fu Gesù – in una “casta”. Puntare sull’ordinazione femminile per dare anche a loro potere significa estendere ad un’altra categoria di persone un ruolo viziato proprio dalla mentalità del potere, lasciando “fuori” chi non vi viene assunto.
Paragonata agli intrighi e alle sterili polemiche che l’hanno preceduta, l’esortazione di Francesco sembra parlare un altro linguaggio. Qualcuno già accusa il papa di essersi “tirato indietro”. Qualcun altro si illuderà di averlo condizionato e fermato con le proprie minacce di scisma. Ma forse egli è solo rimasto fedele al Concilio e alla sua profezia di una Chiesa capace di incarnare il vangelo nella storia e che finalmente sia popolo di Dio e non gerarchia ecclesiastica.
Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo. Pubblicato nella rubrica «I chiaroscuri» (su www.tuttavia.eu), il 14 febbraio 2020.
L’amico Giuseppe Savagnone ripropone anche qui il suo immancabile e inveterato schema degli opposti estremismi, del tipo: “qui ci stanno questi, là ci sono quegli altri, ma la verità sta in mezzo ed è “ben altro”….
In effetti in questa vicenda non ci sono due opposti clericalismi, ma la sconfitta della tanto sbandierata, ma mai attuata, sinodalità nella Chiesa cattolica.
Non ci sono due clericalismi, ma oltre un centinaio di Padri Sinodali che per la loro Chiesa hanno evidenziato serie e drammatiche emergenze, che richiedono risposte magisteriali possibili, facili e persino dovute, ma che non sono state date proprio per rispettare tanto ineludibili, quanto fantomatici, opposti estremisti.
Questo anche a dispetto della storia e della consuetudine cattolica di ordinare sacerdoti uomini sposati (vedasi Chiese Latine di rito orientale o sacerdoti anglicani accolti nella Chiesa Romana per disposizione di Benedetto XVI!) o di ordinare diacone donne (pratica notissima da sempre e ancora in uso in alcune confessioni orientali).
Lo scontro non è tra opposti estremismi, ma tra esigenze delle Chiese locali e centralismo romano, che passa sopra e mortifica la sinodalità prescritta dal Concilio Vaticano II e da molti documenti magisteriali successivi.