Quando ci mettiamo a trattare il tema del futuro della Chiesa, siamo costretti ad affrontare un tema fondamentale: quello economico.
È un tema complicato e, per molti aspetti, spinoso. Per secoli “la cassa dei denari” è stata tenuta saldamente nelle mani del potere sacerdotale, quasi per esorcizzare questo potenziale demonio e sfuggire alla tentazione dell’accumulo indebito, pericolo sempre incombente.
La gestione del denaro è sempre stata organizzata all’interno di una bolla di sfiducia, di paura, di sospetto e per questo il potere sacerdotale ha tenuto nelle sue mani la chiave di tutte le decisioni, come a dire: “mammona è il più grande nemico di Dio, meglio se lo gestiamo noi, per il bene di tutti!”.
La scena sta cambiando
Bisogna riconoscere che, in questi ultimi decenni, si sono fatti significativi passi avanti, sia sul versante della trasparenza sia su una gestione maggiormente partecipata. In ogni comunità parrocchiale è stato istituito il Consiglio per gli affari economici, favorendo una maggiore condivisione nella gestione di questo delicato capitolo.
Come Conferenza episcopale nazionale e come diocesi, la gestione dei fondi ricavati dall’otto per mille è stata fatta alla luce del sole, anche se non sempre le scelte sono state capite e condivise da tutti.
I fondi sono assegnati per tre capitoli di spesa: il mantenimento del clero, i poveri (i fondi per le Caritas) e la manutenzione degli edifici.
Lo scenario, però, sta cambiando e sempre più rapidamente: il gettito dell’otto per mille si sta via via assottigliando, le offerte dei fedeli (soprattutto dopo la pandemia) si stanno riducendo significativamente e diventa sempre più difficile gestire l’immenso patrimonio immobiliare delle parrocchie e delle diocesi. È necessaria una nuova visione di Chiesa e, al suo interno, una nuova gestione del denaro.
Non bisogna aver paura di affrontare un nuovo modo di gestire gli affari economici. La paura porta alla sfiducia e all’immobilismo.
Non dobbiamo ragionare come coloro che hanno bloccato l’iter per l’organizzazione, a Roma, delle Olimpiadi 2024, dicendo: «Un simile evento non porta che corruzione: meglio non fare niente; quindi, rinunciamo al ballottaggio per l’assegnazione dell’incarico!». Un chiaro esempio di sfiducia che porta all’immobilismo: invece di optare per una gestione coraggiosa e trasparente, ci si è arresi, dando per scontato che il malaffare vince sempre.
La fiducia, invece, è il vero motore evangelico, il vero progresso. Se vogliamo combattere la corruzione, dobbiamo salire sul carro della fiducia e della trasparenza. Su questa strada, ci potranno anche essere dei passaggi infelici, ma sicuramente il grosso della cassa sarà gestito in modo limpido e ci sarà anche un giusto benessere.
Non dimentichiamo che Gesù ci ha insegnato proprio la modalità della gestione economica (la moltiplicazione dei pani): il “poco” che possiedi, gestiscilo nell’ottica del dono e si moltiplicherà e si trasformerà in “molto”!
La crisi delle comunità
Un problema grave della Chiesa è che stanno morendo le comunità!
In questo clima di individualismo, anche noi ci siamo adattati e ci stiamo chiudendo, vivendo una stagione di declino.
Per capire l’individualismo ecclesiale, basta un piccolo dato: normalmente, le sante messe feriali sono frequentate da poche persone, per lo più anziane; le chiese si riempiono (escluse le festività: Natale e Pasqua) solo per i funerali e, nelle messe domenicali, solo quando c’è la memoria di qualche defunto della propria famiglia.
La comunità del futuro è la stessa che abbiamo vissuto nei secoli passati, solo che quest’ultima era sostenuta dalla dottrina, dalla liturgia e dal ruolo incontrastato del sacerdozio.
Le comunità del domani dovranno andare a pescare il proprio alimento dal pozzo della relazione d’amore! La vecchia, banale, dimenticata “relazione quotidiana”! Quella delle persone che si incontrano, si aiutano, si parlano “vis à vis”, imparano a creare un clima di condivisione e, quindi, di fiducia.
Noi cristiani, se vogliamo, abbiamo una risposta appropriata anche per questo tempo difficile. Ed è fare comunità, cioè crescere insieme, tra persone diverse, tra ragazzi e giovani che provengono da storie diverse, tra famiglie che devono imparare a investire non solo nei sistemi di sicurezza ma soprattutto nelle relazioni che le aiutano a condividere il tempo.
In un presente complicato, dove i giovani sembrano vivere una vita senza riferimenti, facili prede di nuovi padroni, si invoca la presenza della scuola, dello sport, della cultura e di tutti i referenti giovanili.
Perché non viene invocata la presenza delle parrocchie? Di queste istituzioni che hanno segnato l’educazione di generazioni e generazioni? Perché stanno diventando insignificanti; stanno riducendosi a un luogo di passaggio per momenti e avvenimenti sporadici; sono viste come il rifugio dei vecchi e degli sfortunati.
La modalità attuale di gestione delle parrocchie – quella delle Unità Pastorali sempre più grandi e con i preti sempre più compressi e stressati – non ha futuro, anzi, si finirà per far morire le comunità.
Investire sul futuro
Per farle ripartire, bisogna fare quello che una qualsiasi buona azienda in crisi cerca di fare: investire! Non sui muri, ma sulle persone.
Ogni comunità deve avere persone che facciano del servizio alla comunità una professione/missione della propria vita. Bisogna trovarle, bisogna cercarle, mettersi con calma a studiare le varie candidature. Non devono essere dei volontari o dei pensionati; men che meno delle persone che già esercitano una professione. Perché il servizio alla comunità deve essere considerato una professione e, come tale, giustamente retribuito!
È un capitolo nuovo, che ci spinge ad organizzare le nostre comunità assumendo persone stipendiate totalmente a servizio della Chiesa, un numero nettamente superiore a quello dei presbiteri, i quali – a questo punto – dovranno ripensare il proprio ruolo.
Non è una bestemmia affermare che la Chiesa può essere anche un’impresa economica: in fondo, si tratta solamente di una nuova distribuzione dei soldi presenti nella cassa.
La “ricerca fondi” è una delle funzioni che vede le parrocchie in prima fila: organizzazione delle sagre, raccolte varie, attività per sostenere dei progetti caritativi… Il problema è che, quasi sempre, questi fondi vanno per la gestione degli edifici (chiese, canoniche, asili, oratori, strutture sportive…) e quasi mai per retribuire le persone.
Certamente, per una simile gestione, non basteranno i fondi provenienti dall’otto per mille: si dovrà andare ad attingere ad altre fonti.
La Chiesa dovrà aprirsi, trovare il coraggio di confrontarsi con le proprie comunità e con il territorio dove risiedono le parrocchie. La vera rivoluzione può partire proprio da una nuova gestione della cassa e dal coinvolgimento delle persone che fanno parte della comunità, credenti e non, praticanti e non. Tutti devono essere coinvolti.
La domanda potrebbe essere formulata così: “Volete partecipare alla gestione economica della parrocchia, permettendo che una o più persone si dedichino a tempo pieno alla vita della comunità? Che operino quotidianamente in canonica, dove possono anche risiedere? Che siano al centro delle relazioni tra famiglie, persone, gruppi, volontari…?
La stessa domanda dovrebbe essere rivolta agli amministratori comunali. Un sindaco che abbia una visione non può rimanere indifferente di fronte alle chiese e alle canoniche chiuse, ai centri di paese abbandonati, alle piazze che diventano terreno della malavita.
Le due prospettive sono: o investire maggiormente sulla pubblica sicurezza usando il pugno duro; o investire nella prevenzione, nelle comunità attive, creando spazi aggregativi (che spesso già ci sono e in abbondanza), permettendo così ai ragazzi e ai giovani di essere seguiti da persone preparate anche fuori dal tempo scolastico o sportivo (tenendo gli oratori aperti tutti i giorni, dal pomeriggio a sera tarda).
Ci vuole coraggio per dirottare dei fondi pubblici in simili progetti, ma non c’è alternativa: o apriamo i nostri paesi alla speranza o dobbiamo rassegnarci al declino.
Una modalità la si trova, basta sempre avere coraggio, fiducia e una visione.
La proposta di assumere persone andrebbe nella direzione da anni assunta dalla Chiesa in Germania. Per le conoscenze dirette che ho non mi pare che la pastorale migliori di molto.
Forse per rivitalizzare le nostre comunità occorrono anche e ben altre proposte… il Vangelo non si annuncia semplicemente perché assumi delle persone, anche se sicuramente alcune potrebbero essere assunte. Credo che il problema sia assai più complesso di questo articolo che trovo assai riduttivo.
Dove spendono i loro soldi le parrocchie? A fare veglie di preghiera per la comunita’ LGBTQ+.
Di grazia, quante, dico quante parrocchie fanno veglie di questo tipo?
Pochissime, perché spesso sono iniziative a livello diocesano che hanno dei target a quel livello
La mia comunità organizza una breve veglia una volta a settimana, e i temi sono stati vari: l’Eucarestia, Maria, la Comunione, la Cresima, il volontariato, la Quaresima…
Ma forse lei è un tradizionalista che vede le attività della chiesa conciliare solo dal buco della serratura
Sono d’accordissimo sul fatto che la trasparenza sarebbe tanto auspicabile quanto utile, ma a mio vedere non bisogna perdere di vista che la Chiesa ha troppi soldi. Non dovrebbe. E’ lontana anni luce dall’impostazione nativa. Cosa c’entra il figlio del falegname ed il suo punto di vista con questa “roba”? Se non si risolve tale aspetto è ragionevole immaginare che i maquillage serviranno a poco. L’incoerenza strutturale con il messaggio evangelico, tra le varie, interviene masscicciamente nell’allontamento dei fedeli. La Chiesa donasse tanto di ciò che ha, recupererebbe rapidamente quella credibilità oggi risibile. Mi sono sempre domandato come chi ha fatto una scelta di principio, di valori, possa scivolare sulla buccia di banana del fascino del potere e di una gestione disinvolta del danaro, consapevole che c’è chi muore per denutrizione, per freddo, etc… L’essere umano, per carità e per ovvietà, non cambia indossando una tonaca, ma l’onestà intellettuale, se non la coscienza, dovrebbe risuonare, prima o dopo in chi dice di aver dato la vita al Signore per essere costruttore del suo modello. E’ abbastanza evidente che una volta entrati nel “gruppo” i valori con la “V” maiuscola, nei più, si volatilizzino. L’animo è facile a sviare, purtroppo. Siamo umani. Quello che si perde, però, curiosamente è proprio l’onestà intellettuale. Si parte con slancio, ideali, energia, ma poi ci si appiattisce sulle consuetudini, considerandole cosa normale, buona e giusta. L’ordinarietà, poi, prende posto e tutto procede verso un’estinzione annunciata. Serve un cambiamento sostanziale, basta nascondersi dietro un dito; i palliativi hanno stufato.
Senza offesa per nessuno, ma credo che la riflessione qui proposta manchi di onestà intellettuale. Per la Chiesa Cattolica ci sono stati, dal punto di vista economico, anni di vacche grasse (anni ’90 e primi anni 2000), in cui si è speso tanto, oggi si direbbe troppo. Oratori, nuove chiese, scuole paritarie sono stati edificati senza una visione. Oggi siamo in un periodo di vacche magre: quegli oratori sono chiusi, quelle chiese sono vuote, quelle scuole vendute o stanno per vendere. Non è stato forse questo uno sperpero di denaro pubblico??? Manca una vera gestione economica con organi di seria vigilanza. Per fare un esempio nella mia parrocchia il precedente parroco ha speso 1 milione e 300 mila euro per rimodernare una chiesa che ora è vuota, ha problemi di microfoni che non funzionano, il tetto presenta problemi di infiltrazione d’acqua e ha dell’amianto che non è stato bonificato. Più di un milione di euro!!!!!!!! A livello civile – dato che si parla di sindaco nell’articolo – una persona del genere subirebbe un processo per frode. Invece nella Chiesa si prende il parroco e lo si sposta in un’altra parrocchia (tanto continuerà a fare ciò che ha sempre fatto: sperperare il denaro altrui). Mancano davvero organi di vigilanza anche perché poi certi problemi gravano su chi verrà dopo!!! Per non parlare di quando si aprono i testamenti di certi sacerdoti, passati a miglior vita: quanti soldi accumulati… per cosa? … per chi?
Dalla domanda con cui è intitolato l’articolo “Interessante”, et sempre di Attualità, io credo che in ogni realtà di comunità parrocchiale sia immancabile la stesura di un documento finale che con tutta “TRASPARENZA” faccia conoscere ai parrocchiani il Conto Economico delle Entrate (offerte-donazioni-lasciti ecc.) e delle spese (fiori-ostie-vino-luce-acqua-pulizie-lavanderia-luce-acqua-manutenzioni varie ecc.). Perché essere a conoscenza spesso porta le persone ad avere maggiore fiducia e di conseguenza a dare più disponibilità a collaborare gratuitamente. Per mia esperienza ho notato che il volontariato non manca mai. E naturalmente il Parroco è chiamato, come in vari scritti su questa rivista, ad agire in piena armonia e collegialità nel proprio consiglio parrocchiale. Fraternamente, Buon Lavoro
Sono pienamente d’accordo!!! Ma quando potrà mai succedere?