Questa pagina – più che scritta – andrebbe disegnata, ma io non sono capace. Mi viene in mente un vecchio racconto di uno scrittore francese. Gli era capitato di assistere ad una celebrazione, e di vedere come per un’illuminazione l’assemblea che si recava a ricevere l’eucaristia come trasfigurata: una processione di santi incamminata verso il paradiso.
Quello che, a volte, io vedo guardando qualcuno dei miei parrocchiani – e lo dico con immenso affetto – somiglia più ad una rassegna di personaggi dei fumetti. Per questo, per parlarne ci vorrebbe un caricaturista, capace di cogliere con un tratto distintivo la singolarità e la bellezza di un carattere, di una storia, di uno che diventa “personaggio”. Ecco, la mia parrocchia (ma credo un po’ tutte) è piena di “personaggi”.
Oggi passo in rassegna tre “tipi”: gli storpi, i maniaci e i buoni. Detto così sembra il titolo di un film di Sergio Leone, ma realtà è perfino migliore.
Gli storpi
Gli storpi: nessuno si offenda. Qualche volta sembra proprio di assistere ad una scena evangelica. Peccato che io non sappia fare i miracoli, anzi in questo caso i miracoli li fanno loro. Sto parlando di una serie di vecchi (anche in questo caso detto con grande affetto) deformati dagli anni e dall’artrosi che arrivano in parrocchia a prezzo di grande fatica e sostenuti da una fede ancora maggiore.
M., ad esempio, è una donna particolare; viene sempre a confessarsi perché bestemmia. In realtà, le sfugge solo qualche imprecazione quando le cadono dalle mani (ormai quasi prive di sensibilità) una tazzina, un piatto o un bicchiere. Grande tifosa del Milan, come la sua squadra non sta passando tempi particolarmente felici. Dietro il corpo che si deforma rimane uno spirito retto e combattivo, libero nei pensieri e negli atteggiamenti; anche con Dio tutt’altro che rassegnata o remissiva. Una fede forte in un corpo che va alla rovina.
Oppure penso a P. e S., una coppia storica che non ha mai perso finora un appuntamento parrocchiale. Vengono mano nella mano, all’inizio certo per amore, ora anche per necessità: si sorreggono a vicenda e la loro andatura ha preso un ritmo ondeggiante pericoloso, sempre sul punto di perdere l’equilibrio ad ogni passo. Sembrano due piante di ulivo, di quelle nodose che sono cresciute dando vita a figure contorte, di una bellezza unica e quasi maestosa. Nella loro fragilità sono vecchie colonne che tengono in piedi la parrocchia.
I maniaci
Ed ora veniamo ai maniaci. Non si tratta di quelli di cui, purtroppo, sentiamo parlare spesso a riguardo della Chiesa. Le parrocchie sono molto più sane di quello che sembra. Sono sane anche perché accolgono tra le loro mura una tipologia di comportamenti al limite del patologico integrandoli e accompagnandoli con grande naturalezza. Le manie – lo sappiamo – trovano nel religioso un possibile campo di contenimento ma anche un pericoloso additivo che le incrementa.
Succede così che le chiese siano piene di personaggi che compiono riti compulsivi con devozione e scrupolo.
F. entra in chiesa, e ogni volta inizia una processione passando per ogni altare e ogni statua. Ha tutta una ritualità sua, diversa per ciascun santo. Qualche volta è fastidiosa e non tutti la vedono di buon occhio. Io stesso ne sono irritato, eppure non riesco a cancellare l’impressione che dentro quei gesti certamente maniacali ci sia una fede sincera. Mi stimola anche a mettermi in sintonia con i tanti linguaggi – soprattutto non intellettuali – attraverso i quali la fede si esprime, e a prendermi cura della mia gestualità quando celebro e quando prego.
Poi c’è R., che è tutto un caso a parte. Oltre alle manie delle preghiere che recita dondolandosi ritmicamente, da qualche anno ha fatto voto di silenzio in chiesa. Voto del tutto inutile e piegato a suo uso e consumo. Probabilmente un prete prima di me ho ha sgridato perché chiacchierava troppo. Da allora, con i preti e le suore non parla più mentre è nel luogo “sacro”. In compenso, ti perseguita in ogni angolo della parrocchia e ti citofona almeno cinque volte al giorno per dirti cose del tutto inutili. In più, non trattiene il suo bisogno di comunicare e saluta tutte le vecchiette che entrano in chiesa con un inchino devoto. Mi fa tenerezza. Qui almeno ha trovato casa, è capace di esprimere – a modo suo – degli affetti, ricorda a memoria gli indirizzi di una serie infinita di parrocchiani, le date dei loro compleanni, degli anniversari di matrimonio…, insomma senza di lui mancherebbe un pezzo della parrocchia.
Gente così deve starci di diritto nelle nostre chiese, sono quei poveri che il Signore ci ha assicurato che saranno sempre con noi. Accoglierli non è sempre facile. Qualche volta corriamo anche il rischio di usarli. Ci sono parrocchie nelle quali “personaggi” di questo genere sono investiti di ruoli di responsabilità e sovraesposti in modo improprio. Ne pagano le conseguenze loro stessi e l’immagine della Chiesa. Un rosario animato da F. di cui sopra, per esempio, sarebbe un vero e proprio disastro. Mi chiedo spesso quale sia il loro posto, quello giusto. Da un lato, sento che non lo troverò mai, ma che non potrei fare a meno di cercarlo; dall’altro, chiedo alla comunità di aiutarmi a contenere con affetto queste presenze.
Ora dovrei parlare dell’ultima tipologia, ma lo farò un altro giorno, e magari parlerò anche di me: non sono io stesso una buona caricatura? Tu, Signore, potrai certamente disegnare una buona storia anche a partire dai tratti goffi e improbabili di un volto come il mio.
don Giuseppe