Il commissario mi saluta come un vecchio amico. È la terza volta in poche settimane che mi tocca andare a trovarlo. Senza tanti preamboli mi domanda: «Che cosa le hanno rubato questa volta?». Mi offre perfino un caffè, mentre compilo la denuncia del furto avvenuto in chiesa questa notte. Ma intanto se n’è andata la mattinata. Poco alla volta, riesco a sbollire la rabbia, e torno in parrocchia provando a prenderla con filosofia. Dovrò fare i conti con il dispiacere e il nervosismo di molti fedeli, e conviene che io sia un poco tranquillo. Quando un furto avviene in chiesa, non è più un fatto privato, ma coinvolge tutta la comunità, perfino chi in chiesa non viene. Tutti saranno pronti a dare consigli, suggerire nuovi impianti di sicurezza, lamentarsi della delinquenza che non risparmia nessuno… in attesa del prossimo furto.
È stato il terzo furto in poche settimane. In qualche modo ce l’aspettavamo: avevano rubato in casa parrocchiale e in oratorio, mancava solo la chiesa. Una volta le chiese forse erano “porti franchi”, le rispettavano anche i ladri. Oggi sembra quasi il contrario: sono i posti più sicuri dove andare a rubare, perché certamente si trova qualcosa da portar via anche se poco, senza prendersi grossi rischi. Di fatto, anche nelle parrocchie limitrofe sono aumentati i furti. Il commissario mi ha raccontato di essere rimasto impressionato di quello che è successo a S. Agostino, una parrocchia poco lontana dalla mia. I ladri si erano chiusi in chiesa per tutta la notte. Hanno portato via poco, qualche vaso sacro, un paio di candelabri e una cassetta delle offerte. In compenso, hanno fatto un’infinità di danni. Le porte della sacrestia sfondate, resti di cibo sparsi per dappertutto, un paio di vetri rotti, la scatola delle candele rovesciata per terra, qualche panca bruciacchiata, ma soprattutto le ostie del tabernacolo sparpagliate per terra. Un piccolo scenario di guerra che colpisce la bocca dello stomaco, un danno morale ben superiore a quello economico. Anche perché i soldi che portano via in chiesa sono quelli dei poveri. Fa male sapere che i ladri rubino qualche pezzo della pensione di Giuseppe che vive con poco, o parte delle offerte di Maria per il proprio marito defunto. E dispiace avere di meno per chi “onestamente” chiede un aiuto al centro di ascolto.
Ben altro danno è quello che ho ricevuto io quando mi hanno rubato in casa. Al di là dei pochi soldi che tengo e qualche piccolo oggetto di valore, il guaio vero è stato il furto del computer, con tutti i dati che erano contenuti. Un bel po’ di lavoro andato perduto, e in più la percezione di essere stati violati nell’intimità. Nulla di diverso da quello che ti racconta la gente: i cassetti rovesciati, i materassi tagliati, il mobilio buttato in aria e tutti i libri aperti sul pavimento.
A forza di subire furti corriamo il rischio di trasformare le nostre parrocchie in fortini blindati. Penso soprattutto alle parrocchie ordinarie, non quelle che hanno patrimoni artistici da conservare o un quadro del Caravaggio da proteggere. Anche tra preti, quello dei furti e della sicurezza è diventato un argomento tra i più dibattuti. Facciamo quasi a gara a chi ne ha subìti di più e poi ci confrontiamo sui modelli più moderni di videosorveglianza o di sistemi di allarme. Quasi tutti, alla fine, rinunciano ad installarli perché costano troppo. Io stesso ho lasciato perdere. Ne abbiamo discusso nel consiglio pastorale e non ci andava l’idea che entrare in chiesa somigliasse ad entrare in una banca, o in un centro commerciale. Senza per questo cadere nella retorica opposta, quella delle chiese sempre aperte, con le porte spalancate. Immagine molto romantica ma alla fine un poco ingenua. Le nostre chiese sono come le case di tutti: vanno tenute aperte ma anche protette, e l’equilibrio è di difficile bilanciamento.
Piccolo o grande che sia il furto ti lascia il senso di una perdita, da rileggere e da rielaborare. Come riparto adesso, come aiuto la gente a curare la ferita?
La prima considerazione è che ogni volta che ci portano via qualcosa diventiamo più poveri e questo non è sempre un male. Quella povertà che non riusciamo a darci da noi stessi ce la impongono gli altri. Se non avessimo niente, non potrebbero portarci via nulla. Giustamente ce la prendiamo con i ladri. In realtà, molte volte quelli che entrano nei nostri appartamenti rubano nella forma più antica e più elementare. Ben altri sono i ladri che oggi fanno dei veri e propri affari (loro): dalla corruzione al cattivo uso del denaro pubblico, agli interessi privati in luoghi pubblici, dal gioco d’azzardo alle collusioni con la politica o in odore di mafia… le cifre che girano sono di gran lunga superiori ai quattro soldi dei nostri cassetti. Come responsabile di una comunità io stesso mi devo chiedere – forse più di quanto non lo faccia – come curo i beni della parrocchia, come spendo e utilizzo il denaro che mi passa tra le mani.
Questa sera mi toccherà pregare per i ladri (o il ladro) che mi hanno fatto visita questa notte. So che devo farlo, anche se non mi viene proprio naturale. Non ho idea del perché continuino a rubare proprio nella nostra parrocchia. Le tipologie possono essere tante: si ruba per disperazione, per una dritta che indica un bersaglio accessibile, o per dispetto. Preferisco non pensarci e pregare per loro e basta, lascio che con loro se la veda il Signore. Dai salmi imprecatori imparo che l’eventuale vendetta è bene che rimanga nelle sue mani.
D’altra parte, Gesù stesso ha detto che verrà come un ladro e se l’ha detto avrà avuto i suoi buoni motivi. E non posso dimenticare che muore tra due ladri e che uno dei due gli ruba il paradiso. L’accesso al tesoro del regno dei cieli in ogni caso sembra un’effrazione, somiglia proprio ad un furto. Dio si lascia derubare volentieri. Il paradiso non ce lo meritiamo con i nostri sforzi, è lui che se lo lascia portar via.
don Giuseppe