Hanno chiamato d’urgenza Annamaria dall’ospedale perché suo figlio si era fatto male giocando con i compagni. Così mi è toccato sostituire in extremis la catechista mancante e mi sono ritrovato in una classe di terza elementare senza sapere bene che cosa fare. I ragazzini erano davvero tanti e non proprio disciplinati. Mi tocca riconoscere che ho perso un po’ la mano: conosco poco il loro linguaggio, rischio di rivolgermi a loro come faccio con gli adulti, di spazientirmi subito per le loro intemperanze. Come spesso mi capita, dopo i primi istanti di nervosismo ha prevalso il mio senso del dovere e mi sono disposto al compito imprevisto cercando di prenderlo per il verso giusto. Ringrazio mio padre per aver inculcato in me un po’ del suo senso del dovere: ci sono cose che si fanno non per piacere, non perché scelte, ma perché ci vengono assegnate come compito e come tali vanno onorate. Anche se piovono dal cielo nel momento più inaspettato e ti possono trovare mal disposto.
In ogni caso sono entrato nell’aula cercando in pochi secondi un’idea, uno spunto a cui aggrapparmi per affrontare l’ora. Per formazione o deformazione professionale mi è venuto in mente di prendere il Vangelo del giorno. Sono stato fortunato perché oggi abbiamo letto il testo di Marco 2, la guarigione del paralitico. Ho semplicemente raccontato il miracolo ai bambini. Mentre lo facevo mi accorgevo che piano piano ci stavo prendendo gusto, e mi convincevo sempre più che il vangelo va anzitutto narrato. In una narrazione non è sufficiente l’esattezza dei contenuti, ma sono decisive l’intensità e il coinvolgimento nel racconto, e il coinvolgimento riguarda sia chi narra sia chi ascolta. È successo proprio così. Io mi scaldavo cercando di far immaginare la scena, i bambini mi seguivano con progressivo interesse. Mi interrompevano spesso con le loro domande: «Come si fa a scoperchiare una casa?»; «Ma tutta la gente non poteva spostarsi per far passare il paralitico come quando arriva l’ambulanza?» … «Come si chiamavano i quattro barellieri?».
Mi ha colpito anzitutto il fatto che per loro quello era un episodio reale, quasi contemporaneo. Le loro domande mi aiutavano ad entrare nella logica del racconto per leggere il testo. Anche le cose più evidenti (e per questo spesso glissate da me “lettore esperto”) ritrovavano una loro collocazione e un significato preciso. Le domande dei piccoli mi costringevano a diversi cambiamenti: semplificare il linguaggio, esprimermi con maggiore chiarezza, entrare nei particolari, offrire un senso complessivo di tutta la narrazione … Ho sempre nel cassetto il sogno di scrivere un libro raccogliendo le domande dei piccoli sulle cose di Dio. Non riuscirò mai a farlo, e in ogni caso dovrei chiedere aiuto a tante mamme che a volte non hanno neppure l’idea di quanto possano essere preziose quelle domande che a loro paiono così imbarazzanti. Non ho nostalgia del catechismo di Pio X fatto a domande e risposte, ma riconosco che dietro a quell’impianto c’è una buona dose di saggezza. Non si può insegnare nulla se prima non si innesca una buona domanda. Certo, non tutto è filato proprio liscio, in particolare devo confessare la fatica a reggere il disordine la confusione a volte perfino la maleducazione di qualche soggetto. Anche per questo mi sono sentito ancora più grato nei confronti del lavoro delle mie catechiste. Ogni settimana per quasi tutto l’anno si dedicano con grande passione a questi piccoli. A volte mi viene da pensare: “anche troppo”. Soffriamo una sproporzione pericolosa tra l’esilità della domanda (dei genitori in particolare) e l’investimento di forze ed energie per offrire percorsi che di per sé non ci vengono richiesti. Abbiamo creato un sistema inesorabilmente destinato a suscitare vicendevoli frustrazioni: le catechiste non sono contente ma i genitori sembrano doversi difendere da pretese eccessive. Eppure in questo difficile incastro, di fatto, accadono cose buone. Come l’incontro di oggi: non solo quello con i bambini, ma anche quello imprevisto con le loro mamme. Le ho trovate tutte fuori di chiesa al termine dell’ora di catechismo e mi è venuto spontaneo invitarle ad entrare con i loro ragazzi per una preghiera attorno al fonte battesimale. Dopo aver ascoltato il miracolo del paralitico i bambini hanno pregato spontaneamente per le persone malate che conoscevano; una mamma si è intenerita perché tornava proprio in quel momento dall’ospedale dove era ricoverata suo padre, e in un attimo si è creato un clima commosso e partecipe.
Non succede ogni volta così, anzi solo raramente, ma mi dico che un attimo come questo vale la fatica di tante ore che sembrano sprecate. Mi dico che seminare una parola di vangelo nel cuore dei piccoli, e anche in quello dei grandi, è il regalo più bello che possiamo fare.
don Giuseppe