In ogni epoca della storia della Chiesa ci sono stati tensioni e contrasti per quanto riguarda nuovi percorsi pastorali da intraprendere. La mediazione tra vecchio e nuovo, tradizione e progresso, è compito che spetta sempre di nuovo a ogni generazione dei credenti.
In questi casi vi sono spesso reazioni dell’autorità ecclesiastica contrassegnate da una prospettiva teologica unilaterale, che non sono in grado di reggere l’ampiezza della cattolicità e cercano delle risposte univoche. Per questo è di fondamentale importanza quali siano i referenti teologici a cui i vescovi si rivolgono per avere dei consigli.
Spesso le conflittualità a livello di Chiese locali non sono solubili e questo richiede un ricorso a un’istanza superiore per trovare vie di mediazione e poter giungere a decisioni effettive. Un intelligente percorso verso l’individuazione di queste soluzioni da parte delle istanze vaticane presuppone però una buona conoscenza della situazione delle Chiese locali.
Chiese e Chiesa: la Curia come mediazione
Una mediazione della Curia romana può essere una forma di strategia per risolvere i problemi solo nel caso in cui le Chiese locali si rivolgano a essa come comunità coesa. Nella maggior parte dei casi, però, le cose vanno esattamente nel senso opposto: determinati gruppi si rivolgono a Roma in chiave strumentale per far valere i propri interessi di parte.
L’accettazione delle decisioni romane sarà tanto più grande quanto più esse non si limiteranno a mettere in atto un collegamento automatico tra rinnovamento e trasgressione del Codice di diritto canonico, ma avranno la forma di decisioni prese da un collegio arbitrale teologicamente competente.
Un pontificato agisce in maniera sovrana non quando usa conflittualità a livello di Chiese locali come appoggio unilaterale di una presunta ortodossia, ma quando contribuisce alla pluralità, alla comunicazione aperta e alla sinodalità della Chiesa locale.
Che Roma sia in grado di sostenere un pluralismo sul piano delle Chiese locali, e all’interno di ciascuna di esse, è un fatto evidente che si è mostrato, ad esempio, nel caso della lotta tra gli ordini mendicanti nel Medioevo. Sarebbe cosa desiderabile che questa capacità non rimanesse solo un vago ricordo storico, ma fosse una realtà attuale sperimentabile nella vita del cattolicesimo odierno.
Contrasti e conflittualità non sono la rovina della Chiesa, molto più rovinoso è il fatto di cercare di escludere alcune vie intraprese da altri bollandole come eterodosse, nascondendosi dietro il mantello del Codice di diritto canonico – armati con lo scudo del segreto e la lancia dell’ortodossia.
Il teologo Erik Peterson pretendeva dalla Chiesa cattolica la massima trasparenza: la disciplina del segreto è propria a un’istituzione il cui interesse è il mantenimento del potere e il possesso del denaro; la Chiesa invece è colei che tiene aperto lo spazio per una dimensione pubblica universale e non deve duplicare le strutture di questo eone, ma rappresentare gli interessi del Signore dell’eone che viene.
Dov’è Francesco?
Su questo sfondo è possibile formulare alcune domande alla Congregazione per il clero in merito alla recente Istruzione sulla parrocchia:
- Come si è giunti alla redazione di questo testo? Chi vi ha collaborato? Sebbene il cardinale svedese L.A. Arborelius sia membro della Congregazione per il clero, egli ha affermato di non sapere nulla sulla stesura dell’Istruzione e sullo scopo della sua pubblicazione.
- Chi, in merito, si è rivolto a Roma come istanza di mediazione? Come sono state coinvolte le Chiese locali nella redazione di questo documento? Dalla reazione della maggior parte dei vescovi si può evincere che non vi sia stato alcun coinvolgimento o, quantomeno, che esso sia stato insufficiente.
- Il testo è incoerente. Da un lato, fa propria la teologia di Francesco, mentre, dall’altro, le disposizioni giuridiche sono impregnate di quel clericalismo che il papa ha più volte stigmatizzato. Per riferimento a questa Istruzione si deve chiarire per quale teologia stia davvero Francesco, o se egli debba essere considerato come una polena di interessi altrui. Non è possibile che Francesco stigmatizzi il clericalismo in maniera così decisa come ha fatto nel discorso alla Curia romana del 2017 e, al tempo stesso, oggi lo pretenda a livello di Chiese locali.
- Il documento è privo di qualsiasi sensibilità per la realtà concreta delle Chiese locali. L’offerta da parte della Congregazione per il clero fatta ai vescovi tedeschi di essere ascoltati ancora una volta (una prima volta?) è sicuramente nobile, ma non salva di certo l’Istruzione.
- Il canonista Matthäus Kaiser, in casi simili, era solito raccontare questa storia: nel 1972 il vescovo di Regensburg R. Graber, in occasione di un incontro informale prima delle ordinazioni, abrogò il divieto per i preti di andare in bicicletta. In tal modo fece due errori: se il divieto fosse effettivamente sussistito, allora il vescovo non doveva abrogarlo mediante una comunicazione informale. Ma il divieto non sussisteva, perché nessun prete vi si atteneva. La non recezione di una diposizione giuridica la rende invalida. In questo il diritto ecclesiale è estremamente moderno. I vescovi non dovrebbero recepire l’Istruzione romana, dichiarandola così fin dal principio invalida.
Dopodiché si può anche iniziare a ragionare insieme sul modo in cui può essere attuata la guida di una comunità parrocchiale secondo quelle che sono le condizioni realmente esistenti di una Chiesa locale al giorno d’oggi. Di tanto in tanto, si dovrebbe pretendere una capacità di apprendimento anche da parte dell’istanza centrale della Chiesa.
“Il testo è incoerente. Da un lato, fa propria la teologia di Francesco, mentre, dall’altro, le disposizioni giuridiche sono impregnate di quel clericalismo che il papa ha più volte stigmatizzato. Per riferimento a questa Istruzione si deve chiarire per quale teologia stia davvero Francesco, o se egli debba essere considerato come una polena di interessi altrui. Non è possibile che Francesco stigmatizzi il clericalismo in maniera così decisa come ha fatto nel discorso alla Curia romana del 2017 e, al tempo stesso, oggi lo pretenda a livello di Chiese locali”.
Invece è possibile. E’ possibile che uno faccia discorsi profetici, ma non li metta in pratica fino in fondo. Vecchie storie : “fate quello che dicono, ma non agite secondo le loro opere, perchè dicono e non fanno”.
E’ ridicolo contrapporre una teologia di Francesco a una teologia di questa Istruzione o di altri documenti delle congregazioni sotto il suo pontificato, la teologia di Francesco infatti è anche questa istruzione. E’ ridicolo immaginare un Papa solo lui “buono” vittima della sua stessa curia. Il Papa ha il controllo sulle congregazioni e dà l’ultimo nulla osta per la pubblicazione dei documenti, le congregazioni agiscono con l’autorità conferita loro dal Papa e lo rappresentano pienamente. Occorre ricordare che in calce all’Istruzione ci sono queste parole “Il 27 Giugno 2020, il Santo Padre ha approvato il presente Documento della Congregazione per il Clero”. Sono invece del parere che il Papa nei suoi discorsi diffonde una mentalità, ma forse non ha la volontà di andare fino in fondo ad una reale riforma della chiesa, probabilmente la giudica prematura o non la percepisce così urgente, sennò agirebbe altrimenti e non darebbe la sua approvazione a simili documenti.
Se il “metodo storico critico” è accettabile e persino doveroso per la Sacra Scrittura, è giusto a maggior ragione domandarsi perchè e come si è arrivati alla redazione di un documento. Ma resta anche il dato di fede che nel documento approvato, è lo Spirito che ha detto qualcosa alla Chiesa. Se questo crolla…perchè dovrei credere a quello che dice il Papa nei discorsi più che a quello che dice una congregazione con la sua approvazione??? Non saremmo nel regno dell’ipocrisia? Le evidenti contraddizioni- che non possono facilmente essere liquidate come espressione della complessità della realtà- tra alcuni discorsi di Francesco e altri documenti approvati da lui stesso non aiutano i fedeli ad approcciarsi al Magistero come qualcosa che viene anche dall’Alto, anzi contribuiscono ad un indebolimento della fede. “Se un cieco guida un altro cieco cadranno tutti e due nella fossa” Ormai è sempre più chiaro che è Gesu stesso l’unico Pastore cui affidarsi e in grado di rischiarare la nostra cecità
Interessante l’abrogazione del divieto per i preti di andare in bicicletta! Da prete ciclofilo e un tempo addirittura ciclomane, anch’io potevo incorrere in sanzioni… Ricordo che quando entrai in seminario (1969) era stato da poco tolto il divieto – peraltro disatteso – della bicicletta ai seminaristi. E io avevo una bici da corsa superleggera! L’anacronismo ricordato la dice lunga su come tante volte la Chiesa ufficiale resti indietro rispetto alla vita: don Milani disse al card. Florit che lui, il suo arcivescovo, era indietro di cinquant’anni. Ora abbiamo testi vaticani che sono indietro (di quanti anni?) rispetto al papa. Ho avuto modo anch’io di rilevare come un documento che riguardi il futuro della Chiesa non possa essere emanato solo dalla congregazione del clero: ci vogliono anche il pontificio consiglio dei laici, e le sedi che si occupano della famiglia, dei giovani, della comunicazioni sociali, dei religiosi/e…
Condivido la questione di metodo richiamata dal professore E. Garhammer. V’è una sorta di schizofrenia fra cammino ecclesiale proposto da Papa Francesco e l’Istruzione sulla Parrocchia emanata dalla Congregazione.
Aggiungo solo due aspetti.
L’esigenza di un documento pastorale di tale portata non può essere emanato dalla sola Congregazione del clero come se la parrocchia/comunità pastorale fosse questione dei soli ministri ordinati. Ciò risolleva la tanto conclamata esigenza di una riforma delle Congregazioni romane, o meglio dell’intera Curia. E la questione della riforma della Curia esige una fondazione ecclesiologica, che da spessore al servizio dell’intera Curia romana, al rapporto fra Roma e Chiese locali, all’esercizio concreto del discernimento comunitario che dovrebbe essere elemento portante nel cammino pastorale (Ev. G.).
L’altro aspetto è la ricaduta (almeno in Italia) della comunicazione mediatica di tale Istruzione. Non entro in merito agli aspetti sbandierati come novità assolute. Tale comunicazione mette in luce la poca incidenza del nostro cammino post-conciliare. Nell’immaginario collettivo delle nostre comunità italiane il modello è ancora quello tridentino. Questo ci deve far pensare.
Andrea Caelli
Grazie per queste domande, che recepiscono il sentire di molti “semplici laici” (membra dello stesso Corpo!). Per fortuna “la realtà è superiore all’idea”… La realtà del presente è infinitamente superiore a questa Istruzione! (che appare perfino “ridicola” … )