Della Chiesa cattolica in Germania si parla molto, sovente senza conoscerla e senza prendersi la briga di informarsi a dovere. Esempio lampante sono le recenti lettere aperte di critica al Cammino sinodale, nelle quali diventa evidente che nessuno dei firmatari aveva letto i documenti discussi nella loro versione attuale. Per questo ci è sembrato opportuno offrire ai nostri lettori e lettrici un piccolo spaccato di una Chiesa locale tedesca, quella di Hildesheim. Poco si sa, infatti, anche sul rinnovamento della pastorale in atto in alcune diocesi tedesche – si tratta di esperienze che possono offrire degli spunti anche alla nostra Chiesa italiana. Abbiamo quindi raccolto il racconto di alcune persone impegnate nella diocesi di Hildesheim. Si ringraziano Peter Abel, Carmen Diller, Christian Hennecke, Carolin Herbke, Marina Seidel e Peter Wirth per aver condiviso con noi le loro esperienze pastorali che qui presentiamo.
Dopo aver gettato uno sguardo sul decanato di Göttingen nella diocesi di Hildesheim (cf. qui), passiamo a raccogliere la testimonianza che viene dalla parrocchia dello Spirito Santo di Sarstedt, una cittadina di circa 25.000 abitanti che si trova tra Hildesheim e Hannover.
Una esperienza interessante e singolare, perché unisce strettamente la dimensione più tipicamente pastorale a un processo di discernimento comunitario sulla gestione degli ambienti e degli immobili della parrocchia.
Pensando queste due dimensioni non come una mera giustapposizione, ma entrambe come elementi centrali del senso della presenza della comunità cristiana nel territorio cittadino. Per questo, è sorta l’esigenza di iniziare a pensare pastoralmente l’uso e la destinazione degli immobili di proprietà della parrocchia, con l’idea di fondo che anche il versante amministrativo della vita di una comunità cristiana è momento integrante del suo impegno e della sua cura pastorale.
Immobili e pastorale
Anche in questo ambito si è proceduto con un gruppo di lavoro a cui la comunità ha affidato il compito di elaborare un progetto sugli immobili: mantenerli o venderli; con quali criteri arrivare a prendere le decisioni in merito; per gli immobili mantenuti, come inserirli a supporto del progetto pastorale complessivo della parrocchia; per gli immobili destinati alla vendita, un attento bilanciamento tra destinazione dopo di essa e sostegno finanziario alla pastorale della comunità.
Si è venuta così a creare una sinergia una sinergia fra gli edifici parrocchiali e le pratiche pastorali della comunità, nella consapevolezza che queste hanno bisogno di ambienti adeguati che si evolvono con la storia della comunità stessa, il suo ancoramento al territorio e i bisogni/domande che da esso provengono, e con i mutamenti complessivi del tessuto sociale in cui la comunità cristiana vive e opera.
In questo quadro si inseriscono anche alcuni progetti pastorali della parrocchia dello Spirito Santo di Sarstedt. Perché sono le stesse pratiche pastorali che, modificandosi nel tempo, richiedono anche cambiamenti nella configurazione degli spazi e nella gestione degli ambienti a disposizione della comunità cristiana. Si tratta di processi pastorali che, in alcuni casi, sono iniziati più di un decennio fa. Partendo da una consapevolezza lentamente maturata in comune: non si può operare pastoralmente senza tenere conto delle capacità (personali e di tempo) che la comunità stessa può mettere in campo.
Catechesi: comunione e cresima
È stata anche questo realismo che ha portato al ripensamento di alcune pratiche pastorali, come gli itinerari di catechesi per la comunione e la cresima.
Si è notato che il modello classico che prevedeva la formazione di gruppi di bambini sotto la guida di un/una catechista in un qualche modo non era più efficace, perdeva il senso che lo aveva caratterizzato per lungo tempo. Soprattutto tenendo conto dei mutamenti del retroterra religioso delle famiglie che chiedevano alla comunità parrocchiale di preparare i loro figli alla prima comunione.
A partire dal 2009, si è optato per un diverso itinerario di catechesi che coinvolgesse insieme i genitori e i bambini – scegliendo come spazio catechetico quello liturgico e celebrativo della chiesa parrocchiale. Il tema guida di questo nuovo modello è quello dell’imparare insieme a celebrare l’eucaristia – dove insieme è una dimensione onnicomprensiva: bambini, genitori e comunità cristiana. Tutti hanno qualcosa da imparare quando si celebra la memoria del Signore, fosse anche solo riscoprire l’incanto dell’accedere per la prima volta alla sua mensa. In questo modo, i primi passi nel cammino della fede dei più piccoli diventa un’occasione per i loro genitori e per tutta la comunità cristiana, che assume su di essi una responsabilità credente non solo nominale ma fattiva e quasi fisica.
A partire da questa esperienza, nel 2017 si è deciso di modificare anche l’itinerario di catechesi per i giovani che intendono ricevere la cresima (in molte diocesi tedesche l’invito alla preparazione alla cresima viene mandato ai giovani della parrocchia negli ultimi anni delle scuole superiori). Per tre sere i giovani, insieme ai responsabili pastorali e ad alcuni membri della comunità parrocchiale, si ritrovano in chiesa per svolgervi la loro preparazione alla cresima. Anche in questo caso, lo spazio liturgico viene riconfigurato creando al suo interno una dinamica di cammino, da un lato, e per creare esperienze spirituali capaci di intersezione con la vita quotidiana dei giovani stessi.
Generazioni e territorio
Un altro laboratorio pastorale, iniziato nel 2011 e interrotto dalla pandemia, è stato quello di far convergere tutte le generazioni della comunità cristiana, dai bambini agli anziani, dai giovani agli adulti, in momenti di condivisione della fede. Un apprendimento reciproco al credere cristiano a cui potessero partecipare persone di età diversa, ognuna portando alle altre il proprio vissuto credente e il proprio modo di sentire la fede.
Un incrocio fecondo sia a livello personale che comunitario, perché ha rappresentato la possibilità di ascolto e comprensione di come la fede viene differentemente vissuta e declinata nelle diverse stagioni della vita.
La forma di questi incontri è stata quella della convivialità, della condivisione della mensa e della vita, organizzata intorno a un tema guida per ogni appuntamento comunitario. Il tutto con la massima libertà per i partecipanti: dal semplice ascoltare al raccontare qualcosa, dal discutere al fare creativo insieme. Un percorso di questo genere richiede tempo per essere ben preparato e partecipato, per questo si è preferito rinunciare a farne un appuntamento mensile preferendo fissare quattro/cinque date all’inizio dell’anno pastorale.
Un’iniziativa pastorale nata dall’ascolto del territorio è quella del Centro del Buon Pastore: nato per provvedere ai bisogni primari delle persone più bisognose, delle famiglie povere, dei senza tetto. Fin dagli inizi, il Centro è stato caratterizzato da una compartecipazione ecumenica delle comunità locali cattolica ed evangelica, con il sostegno della Caritas e della Diakonie. Tutto questo in collaborazione con i servizi sociali locali e altre organizzazioni attive in loco a livello assistenziale.
Pian piano si è cercato di coinvolgere anche altre realtà locali presenti nelle vicinanze del Centro, come le scuole. La risposta degli studenti è stata sorprendete, non solo per la loro disponibilità a collaborare ma anche per la fedeltà con cui hanno mantenuto gli impegni presi nel lavoro al Centro. Per gli operatori pastorali della parrocchia impegnati in questa attività è stata anche l’occasione di incontrare e lavorare insieme a molti giovani che non frequentano la parrocchia – e per questi ultimi di conoscere di persona qualcosa e qualcuno della comunità cristiana locale.
Per la comunità parrocchiale l’impegno presso il Centro ha significato un passo verso l’essere Chiesa oltre gli spazi e i ritmi abituali e assodati del suo vivere; un’esperienza di decentramento, guidata dalla domanda “chi ha bisogno di noi?” e “cosa hanno bisogno le persone da noi?”.
Lo spazio liturgico
Il processo comunitario di ripensamento degli ambienti e degli immobili ha coinvolto anche lo spazio liturgico della chiesa parrocchiale, in particolare per ciò che concerne la liturgia della Parola. Togliendo le prime cinque fila di banchi, si è così creato uno spazio in cui le persone si possono vedere in volto tra di loro – riscontrando che questo semplice cambiamento ha poi modificato anche l’atmosfera celebrativa nella chiesa e delle persone che partecipano alla celebrazione: un modo diverso di essere comunità convocata dalla parola di Dio. Si è poi deciso di dare stabilità a questa configurazione dello spazio liturgico, anche per la celebrazione dell’eucaristia sfruttandolo in alcuni momenti di essa.
Una piccola trasformazione dello spazio liturgico che lavora sulla comunità celebrante, che opera qualcosa sulle persone presenti: generando un altro rapporto gli uni verso gli altri e, insieme, verso la Parola celebrata. Essa ha inoltre reso possibile immaginare altre forme liturgiche, legate ad esempio a dei riferimenti iconici o artistici.
Così, a partire dalla celebrazione, è nata la consapevolezza del carattere ospitale della chiesa anche per azioni non strettamente liturgiche: come quella di una sua apertura serale durante l’avvento, con l’interno della chiesa illuminato solo da candele e riorganizzato per l’occasione, accompagnato da un sottofondo musicale – con le porte aperte a chiunque voglia entrare e fermarsi anche solo un momento.
Poi, con l’allentamento delle restrizioni dovute alla pandemia si è pensato di ospitare nello spazio liturgico della chiesa anche momenti pensati ad hoc per le generazioni più giovani. Tutte occasioni, queste, per la comunità cristiana di entrare in contatto con persone che non sarebbero altrimenti raggiungibili.
Con la pandemia si è deciso anche di tenere aperta la chiesa tutto il giorno, andando al di là di calcoli solo numerici e di convenienza – un’apertura accompagnata da piccole proposte di preghiera/meditazione personale, dalla possibilità di semplici gesti devozionali, di lasciare qualcosa del proprio passaggio su una tavola interattiva posta all’ingresso della chiesa. Vissuto in questo modo, lo spazio liturgico trasforma anche la percezione che ne ha la stessa comunità: “oggi quando entro in chiesa faccio un’esperienza ben diversa anche solo rispetto a qualche anno fa; è come se in essa rimanesse traccia di tutti questi passaggi anonimi che ha ospitato” – ha detto una parrocchiana.
L’anima degli immobili
La comunità cristiana della parrocchia dello Spirito Santo a Sarestedt è riuscita a fare di un processo di discernimento sugli immobili il punto di innesto per una riformulazione delle proprie pratiche pastorali.
In questo, essa ha coinvolto anche il territorio con una piccola indagine mediante un formulario, da cui sono venuti spunti interessanti e importanti per la comprensione di sé di una comunità cristiana radicata nella vita della gente comune.
Ne è venuta fuori la consapevolezza che gli ambienti e gli spazi parrocchiali sono un bene che non riguarda solo la comunità cristiana che li ha in esercizio, ma anche tutto il contesto sociale e umani in cui essa vive. Si è andati così in una duplice direzione: condividere la configurazione degli spazi parrocchiali, liturgici e non, con le persone che li usano – magari anche solo una volta, come in occasione dei matrimoni; dare parola al contesto sociale circostante rispetto al valore degli ambienti della comunità cristiana.
In quest’ultimo caso, è risultato che gli spazi della comunità cristiana, soprattutto a partire dalla pandemia, portano con sé una dimensione intrinsecamente spirituale che è proprio quanto molte persone vanno oggi cercando nella loro vita. Un’osservazione, questa, che viene anche dall’esperienza terapeutica di accompagnamento, che si avvede di un bisogno/domanda profondo delle persone che va al di là di ciò che la terapia può offrire.
A partire da questo, collaborando con il comune e con professionisti, è parso socialmente rilevante organizzare alcuni servizi alla persona proprio in spazi in cui questa dimensione di ulteriorità spirituale di radica anche nella materialità di un edificio o di una stanza.
Il percorso di discernimento sugli immobili è approdato a una riflessione comunitaria sull’ospitalità, che, per essere improntata a uno stile cristiano, non ha assolutamente bisogno di separarsi dal contesto sociale e culturale, anzi. Da questo contesto, infatti, giunge l’invito alla comunità parrocchiale di portare avanti il proprio compito evangelico, che nessun’altra istanza può realizzare. È come se la gente, nella pur necessaria trasformazione della parrocchia rispetto a quello che essa è stata per secoli, senta l’esigenza di una presenza territoriale stabile e identificabile della fede.
Si potrebbe dire, raccogliendo il portato di questa testimonianza, che il senso della parrocchia, come persone, comunità e ambienti, è quello di essere un luogo spirituale aperto e ospitale, un transito in cui le persone possono passare – alcune magari solo per un attimo fugace, altre invece più a lungo fino a coltivare un desiderio di appartenenza a una comunità cristiana aperta sull’oggi di Dio e del mondo.
Interessante articolo. Noto una certa difficoltà anche in Germania riguardo all’uso degli immobili ormai vuoti e non usati di proprietà della chiesa… chissà che la crisi energetica non dia un input al cambiamento.