A memoria potremmo dire che sono almeno 30 anni che nella Chiesa italiana si parla della riduzione del clero. E contemporaneamente si è messa in moto qualche iniziativa nella linea dell’unificazione delle parrocchie. Allora, però, c’erano ancora preti tra i 50 e i 60 anni e dunque il tema era far sì che qualcuno acconsentisse a non essere più parroco, come pure convincere i seminaristi, che ancora c’erano, a non pensare di diventare parroci subito.
Tutto questo però in ordine sparso, per via di sperimentazioni e di alchimie tra preti, e qualche volta, religiose. E, soprattutto, senza mai guardarsi indietro: chi stava arrivando?
In questo contesto la lettera del vescovo di Torino (cf. SettimanaNews, qui) apre strade e offre l’occasione per qualche considerazione di diverso tenore. Nel contesto della lettera sembra chiara la consapevolezza che le piccole comunità non sono abbandonate, sono collegate tra loro e a loro è offerto un centro eucaristico per una celebrazione degna del nome, ma anche per un esercizio della carità e della formazione di respiro ampio.
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Ḕ assolutamente vero che si impiega l’auto per tutto, e per le nostre comunità la distanza del luogo della celebrazione non dovrebbe far problema. D’altra parte, c’è una pigrizia nei confronti del luogo e dell’orario di celebrazione insostenibile e per nulla giustificata.
Molte comunità però sono anziane, soprattutto quelle dei piccoli centri, perciò sorge la domanda se, per loro, sarà efficace lo spostamento. E poi il Piemonte ha montagne, e in generale l’Italia con le sue Alpi, Prealpi, Appennini, è fatta di tanta montagna… e qui entra in gioco la fattibilità concreta.
Neve e ghiaccio, acqua? L’instabilità del clima ci suggerisce fenomeni molto più forti del solito producendo situazioni in cui è sconsigliato spostarsi. In questo caso, il rischio è di tornare ancora alla messa in tv, magari con la diretta streaming del centro eucaristico della zona.
Ma tutte queste difficoltà, tecniche e via via affrontabili, diventano in realtà elementi significativi perché lo sfondo in cui questa strutturazione della vita delle comunità viene a collocarsi è quella di uno schema tradizionale: il prete è presidente di fronte al popolo di Dio.
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Sì ci sono ministri, e ci sarà il trio dei laici responsabili nei piccoli centri, ma l’unicità della presidenza deve essere preservata. E difatti i compiti del trio si riducono a poco: tener aperta la chiesa e genericamente far pregare. L’aspetto convincente è di essere un trio e di avere una durata determinata dell’incarico. Il numero dispari serve per giungere alla decisione.
Si è sentita ipotizzare come naturale l’idea di una coppia di sposi che fosse responsabile della comunità. Quest’ultima idea, invece, ha veramente molti elementi negativi: sottolinea ulteriormente come, nelle nostre comunità cristiane, chi non è sposato non sia considerato come figura significativa. Un’ipotesi del genere, poi, dimostra di non conoscere bene le dinamiche di una famiglia; il lavoro dei genitori e l’impegno pastorale di entrambi come condizionano la vita di coppia e la vita di famiglia?
Ma la debolezza dei compiti affidati al trio e la preoccupazione della presidenza fanno un po’ effetto.
Che ne è, per esempio, dell’antica ma sempre utile “cura d’anime”, la visita ai malati, e altro: pensiamo ancora che sia tutto sulle spalle di un unico presidente?
E poi nella famosa domenica in cui raggiungere la messa potrebbe essere impossibile, la comunità non potrà vivere la comunione ecclesiale con una liturgia della Parola, affidando magari al catechista il compito di “presiedere”?
In molte comunità c’è questa abitudine della preghiera con la distribuzione dell’eucarestia, che, se diventa prassi, è un orrido liturgico. E bene ha fatto il vescovo Repole a non evocare questo. Detto questo, rimane però la domanda: il popolo di Dio non può celebrare con dignità liturgica la Parola?
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Ci sono diverse soluzioni per affrontare il calo numerico dei preti. La diocesi di Milano, per esempio, per la cura delle unità pastorali ha pensato lo strumento della “diaconia”. La presidenza è sempre chiaramente del parroco, ma la presenza di incaricati dei vari settori (ministri, religiosi, laici), in dialogo con il consiglio pastorale, e in obbedienza a esso, prospetta – almeno sulla carta – una prassi di cammino insieme che è interessante. Tuttavia, questa struttura prevede ancora una presenza significativa di popolo e ministri.
La vera obiezione a proposte diverse alla fine rischia di essere sempre più legata al ruolo e al significato della presidenza nella comunità… e questo perché, nonostante tutto, qualche presidente ogni anno viene pur sempre ordinato.
Effettivamente, è questo il versante che non muta e, invece, dovrebbe mutare. Se il pastore deve condurre ed essere con le pecore, in tutto questo c’entra anche il percorso! Fuor di metafora: non dev’essere ripensato il ministero del presbitero?
Le titubanze sopra indicate mostrano come, ad ora, non sia bastata la sempre più evidente mancanza di ministri per incentivare la riflessione. In ordine alla partecipazione del laicato, il papa ha dato un aiuto istituendo il ministero del catechista, presenza molto importante in altri luoghi del mondo. Ma la ministerialità diffusa, il sacerdozio battesimale, sono talenti ancora poco trafficati. E poi il prossimo Sinodo sulla sinodalità…
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L’impressione, però, è che, finché la situazione delle comunità non ci porta a rileggere il ministero, non possiamo che sperare nella tenuta psico-fisica e spirituale dei pastori. Un uomo così preso da mille incombenze, fosse solo per coordinare, riuscirà ad avere il tempo per riflettere da solo o con altri su come stare nell’oggi e avere quella paziente delicatezza per avvicinarsi alle persone lontane che, in qualche modo, interpellano la vita ecclesiale?
Ma ripensare la configurazione del ministero non è compito di un singolo vescovo e neppure di una diocesi.
Nel cammino sinodale italiano la questione è stata messa a tema, speriamo che si vada verso la capacità di raccogliere gli aspetti più convincenti proposti finora, che portano in sé i connotati del territorio ma anche aspetti ecclesiologici che riguardano tutte le Chiese.
Ma la parrocchia può cambiare solo se si rilegge il ministero, altrimenti diventa un circolo amicale, che esclude gli altri, e può cambiare solo se si avranno ministri, uomini o donne, poco importa, capaci di fare i ponti tra esperienze credenti diverse, di fare comunione prima ancora che comunità….. capaci di contattare le pecore e scoprirne i carismi…..
L’idea di una coppia di sposi che fosse responsabile della comunità. Quest’ultima idea, invece, ha veramente molti elementi negativi. Su questa frase non sono per nulla d’accordo. Penso che dal Concilio in poi si potrebbero fare centinaia di citazioni a me basta ricordare il CCC 1534 e sottolineare che gli sposi cristiani sono un sacramento è non di serie B. I vantaggi sarebbero molti di più di quelli negativi. Il tema è la ministerialità degli sposi che mai si è voluta affrontare fino in fondo: cfr Aquila e Priscilla
Credo che la diminuzione dei presbiteri sia stata una scelta obbligata del Padreterno perché la Chiesa si renda conto della presenza dei laici pure essi appartenenti al popolo sacerdotale, profetico e regale. Ma mentre l’annuncio del Vangelo ha fretta i nostri pastori non riescono a fare un passo avanti pregni di una mentalità da cui non riescono ad uscire.
Tutti tentativi lodevoli per avvicinare i vari ministri e ministeri al Popolo santo di Dio; bisognerebbe però anche trovare il modo di “svegliare” il Popolo a muoversi, dirigersi, camminare insieme… La Chiesa appare sempre di più come una Bella Addormentata…