Sono un parroco di lunga cordata. Ho letto tutto d’un fiato l’Istruzione della Congregazione per il clero sulla parrocchia, con la foga di chi cerca squarci di luce che irrompano in un grigiore pervasivo. Che delusione! Subito mi è balenata alla mente l’espressione dell’evangelista Matteo: «Nessuno mette un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio; perché quella toppa porta via qualcosa dal vestito vecchio e lo strappo si fa peggiore» (Mt 9,14-17).
Mi si è affacciata istintivamente l’impressione di un’operazione di rattoppo nei confronti di una realtà – la parrocchia – che da qualche tempo sta segnando il passo. È in stato di sofferenza. I rattoppi fin troppo vistosi sono dati dalle numerose citazioni dell’Evangelii gaudium.
Il Codice invasivo
È impossibile non notare come l’impianto teologico-canonistico non presenta alcun elemento di novità. Manca ogni prospettiva che si affacci sull’inedito della parrocchia. Si giunge persino ad affermazioni antinomiche: «Sembra superata quindi una pastorale che mantiene il campo d’azione esclusivamente all’interno dei limiti territoriali della parrocchia, quando spesso sono proprio i parrocchiani a non comprendere più questa modalità, che appare segnata dalla nostalgia del passato, più che ispirata dall’audacia per il futuro. D’altra parte, è bene precisare che, sul piano canonico, il principio territoriale rimane pienamente vigente, quando richiesto dal diritto» (n. 16).
Come non avvertire una sorta di imbarazzo gnoseologico nel comprendere il nuovo assetto dell’istituzione parrocchia? Come non rimanere perplessi dinanzi a tale acrobazia epistemologica nel definire che cos’è territorio, che cos’è parrocchia, che cos’è appartenenza?
Ci si trova in presenza di un impianto ermeneutico fondamentalmente “tradizionale” della parrocchia. A fronte di una iniziale prospettiva pastorale-missionaria si scivola via via sempre più verso una prospettiva quasi esclusivamente canonistica nell’attardarsi a definire le diverse forme giuridiche di accorpamento delle parrocchie.
Si indugia con una meticolosità da legulei a passare in rassegna ruoli interdetti a laici e a puntualizzare funzioni di esclusiva spettanza clericale, tradendo un’impostazione tridentina che sembra ignorare del tutto il principio di corresponsabilità del laicato. Emerge una cristallizzazione concettuale che elude completamente la riflessione teologica postconciliare sulla teologia del laicato e del popolo di Dio.
Emerge una preoccupazione eccessivamente istituzionalizzante, mentre si evidenziano nuove istanze dal punto di vista pastorale e missionario.
Si tenta di attagliare un vestito apparentemente nuovo all’istituzione parrocchia mentre emergono vistosamente delle toppe goffe.
Si ha l’impressione più di porre argine giuridico all’inedito, che qua e là affiora nelle diverse zone del pianeta, che a rimodulare in modo inedito questa antica istituzione che è la parrocchia.
Nel timore del nuovo che avanza ci si trincera dietro il già visto con un’operazione di ardito maquillage.
Rivedere il Codice, per il bene della parrocchia
Si infarcisce il testo, qua e là, di qualche indicazione ad effetto (per esempio: la questione delle “tariffe”: n. 40; le “offerte” per la Messa: n. 118.ss) per simulare una qualche ricezione delle provocazioni di papa Francesco, ma tutto l’impianto teologico-pastorale della parrocchia odora di stantio.
Ci si sarebbe aspettata una visione più profetica dell’Istruzione per svecchiare questa istituzione. Penso che rimanga questa la grande sfida per i parroci e per le comunità parrocchiali per ridare slancio e vitalità a un’istituzione che deve fare i conti con un nuovo senso dell’appartenenza, con una mobilità umana sempre più fluida, con nuove modalità di abitare il territorio, con il numero sempre crescente di “lontani” e con tante altre provocazioni che giungono dal mondo contemporaneo.
Dal momento che la natura dell’Istruzione è prevalentemente giuridica, è auspicabile una rivisitazione di tutto l’impianto del diritto canonico riguardo alla parrocchia. Non è possibile lasciare intatto il vestito vecchio e invitare al rinnovamento con aggiustamenti sovrapposti che mal si conciliano con una visione nuova della parrocchia.
Il vecchio vestito della parrocchia era quello che attirava il popolo. Questo nuovo , toppe o non toppe, ha troppi buchi da cui escono persone che se ne vanno verso altre vie . Che i preti vestissero nuovamente da preti, agissero da preti , pregassero come dovrebbero pregare i preti , parlassero nuovamente di Dio e non di ecologia e le chiese di riempirebbero , perché abbiamo bisogno di Dio non di troppi discorsi inutili.
È un segno di quanto sta avvenendo nella chiesa di oggi e che toglie il respiro a chi sta cercando una via di conversione così necessaria della parrocchia e del proprio essere prete insieme. Alla fine della lettura tutta d’un fiato piena di speranza la reazione è stata : se il cambiamento passa dau documenti il Signore deve aspettare migliaia di anni per vedere la sua sposa vestita come a lui piace.
non ho letto con cura il testo quindi le mie reazioni son istintive e forse sbagliate come ogni reazione non meditata ma sono suscitate dai molti commenti che già abbondano sulla istituzionalità esagerata dell’immagine data della parrocchia che però è proprio questa figura istituzionale ed istittuzionalizzata della chiesa che è necessaria purtroppo perchè l’essere umano è anche istituzione anche se non è solo quello…………………la vita l’esistenza il sentimento è anche istituzione ha bisogno di un cointesto di uno scheletro su cui vivere bisognerebbbe che lo accetassiomo senza negarlo ma con la consapevolezza che òla vita è sempre un pò più ampia del nopstro personale pensoiero indivifìduale
Si esatto, anche io mi sono fiondato e ho letto il documento tutto di un fiato, la mia sensazione non da intellettuale ma da semplice operaio è che una sorta di rilegatore ubriaco ha incollato insieme due libri completamente diversi