Le nostre comunità parrocchiali potrebbero presto avere bisogno, per necessità imposta o per sapiente cautela, di trovare alternative alla pastorale ordinaria vecchio stile, intorno alla quale sembrano essersi riattestate dopo la fine del (primo?) lockdown. La cosa si impone già in alcune regioni italiane e presto potrebbe estendersi ad altre.
Abbiamo qualche tempo, forse non troppo, per organizzarci de visu – apprendendo e confrontandoci insieme su punti deboli e forti sperimentati nei mesi scorsi, tra fine inverno e primavera, quando ci siamo arrabattati come meglio potevamo senza alcuna esperienza che ci potesse orientare.
Sul versante delle pratiche della carità, credo, possiamo sentirci abbastanza tranquilli – molte sono state reinventate e altre sono state scoperte in quei tempi difficili, dobbiamo solo attrezzarci per riuscire ad attivarle tenendo conto delle ricadute che un eventuale nuovo blocco, parziale o totale, avrà sulle persone: dai bambini agli anziani, dai legami di coppia ai senzatetto.
Un punto su cui si è latitato nella riflessione del post-lockdown è quello dell’accompagnamento dei malati, dei morenti, degli anziani in strutture di ricovero – e della celebrazione cristiana delle esequie. Questa impreparazione rischia di generare attriti con le istituzioni pubbliche se faranno scelte, e alcune sono già in atto come la chiusura degli accessi alle RSA e la stretta contingentazione delle visite in ospedale, che chiederanno di inventare altri modi di prossimità della comunità cristiana a queste persone. Semplicemente non ci abbiamo pensato, o ci siamo auto-convinti che come si faceva fino ad adesso fosse l’unica forma possibile.
Per la catechesi dei bambini e dei ragazzi è bene coinvolgere il più rapidamente possibile le famiglie, investendole con convinzione del compito di assumerla come una pratica di casa. Pochi, semplici strumenti di accompagnamento potrebbero sostenerli in questa avventura – la grazia del Signore lavora sempre insieme alla fede e al suo desiderio, non mancherà sicuramente in questi esperimenti inediti che il tempo del vivere ci chiede di osare.
Credo che per giovani e adulti la cosa sia più semplice, non fosse che per la maggiore familiarità di queste fasce di età con le possibilità che la Rete può offrire anche in questo ambito.
Preparare davvero insieme, come comunità parrocchiale, questo possibile nuovo tempo sospeso ci farebbe entrare in esso accompagnati da un legame comunitario che poi dovremo, e potremo, declinare in forme nuove anche nel caso non si possa convenire tutti negli spazi condivisi della parrocchia. Forse dovremo imparare ad apprezzarne la tenuta non più sulla base di una mera frequentazione, ma su quella di un’affezione di appartenenza che nessuna distanza e nessuna separazione possono far venire meno.
Se poi non dovremo mettere in atto il piano B, anche se i numeri non ci lasciano molto spazio, avremo in ogni caso imparato qualcosa: avremo almeno imparato l’esercizio di essere comunità di fede in modi altri da quelli a cui oramai ci siamo assuefatti, che sono anche un po’ caduchi e hanno fatto, per molti aspetti, il loro tempo.
Alla luce dei fatti, con un chiarissimo soffio dello Spirito Santo nella storia (che ha spazzato via tutta la “pastorale ordinaria vecchio stile”), è meglio evitare di pensare a “piani strategici”, e metterci in ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese … e … «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!» (Lc 8,8). Ma … duole constatare quanto molti pastori (preti e vescovi) siano evidentemente sforniti di orecchi. Da loro quindi nessuna speranza; ma lo Spirito soffia dove vuole, ed è Lui che “fa nuove tutte le cose” … e quindi tanta speranza!