Parrocchie sinodali

di:

sinodo-cont

Non diventeremo mai Chiesa sinodale missionaria se le comunità parrocchiali non faranno della partecipazione di tutti i battezzati all’unica missione di annunciare il Vangelo il tratto caratteristico della loro vita. Se non sono sinodali e missionarie le parrocchie, non lo sarà neanche la Chiesa.

La Relazione di sintesi della Prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi è molto chiara a tale riguardo: le parrocchie, a partire dalle loro strutture e dall’organizzazione della loro vita, sono chiamate a concepirsi «principalmente a servizio della missione che i fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle attività che si svolgono al loro interno e sulle loro necessità organizzative» (8,l).

Occorre, perciò, che le comunità parrocchiali diventino sempre più luoghi da cui i battezzati partono come discepoli missionari e a cui fanno ritorno, pieni di gioia, per condividere le meraviglie operate dal Signore attraverso la loro testimonianza (cf. Lc 10,17) (Papa Francesco, dalla lettera in data 2 maggio 2024 indirizzata ai partecipanti all’Incontro internazionale dei parroci del 28 aprile/2 maggio 2024).

Una comunità cristiana può essere sinodale e missionaria solo se impara ad esserlo, cosciente di essere «all’inizio di un percorso di apprendimento esigente ma importante».

Imparare ad essere sinodale e missionaria «richiede tempo». Si tratta di camminare «insieme mano nella mano» per maturare «una più profonda consapevolezza» delle relazioni che intercorrono tra fratelli e sorelle in Cristo e della «comune responsabilità di essere una comunità di salvati che, con la parola e con la vita, annuncia al mondo intero la bellezza del Regno di Dio», condividendo una vita fatta di preghiera e amore per il prossimo, «a fianco delle donne e degli uomini che, in ogni parte del mondo, si adoperano come artigiani di giustizia e di pace».

Lo si legge nella parte introduttiva dell’Instrumentum laboris (d’ora in poi IL) predisposto per la Seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi in programma per il prossimo mese di ottobre.

L’IL, dal titolo “Come essere Chiesa sinodale e missionaria”, invita a fornire risposte alla seguente domanda «come l’identità di popolo di Dio sinodale in missione può prendere forma concreta nelle relazioni, percorsi e luoghi nel cui intreccio si svolge la vita della Chiesa».

Domanda che la parte finale dell’IL esplicita ulteriormente in cinque direzioni – «come essere una Chiesa sinodale missionaria»:

  1. come impegnarci in un ascolto e in un dialogo profondi;
  2. come essere corresponsabili alla luce del dinamismo della nostra vocazione battesimale personale e comunitaria;
  3. come trasformare strutture e processi in modo che tutti possano partecipare e condividere i carismi che lo Spirito riversa su ciascuno per l’utilità comune;
  4. come esercitare potere e autorità come servizio» (n. 111).

Sulla base di quanto indicato nella Costituzione apostolica Episcopalis communio, il processo sinodale in corso non terminerà a fine di ottobre 2024 con il Documento finale approvato dall’Assemblea, ma proseguirà con la relativa «fase attuativa» curata dai vescovi diocesani.

È a questo punto che ci si potrà rendere conto dell’importanza di quanto scritto da papa Francesco nella lettera del 2 maggio 2024 indirizzata ai partecipanti all’Incontro internazionale dei parroci del 28 aprile/2 maggio 2024: «Se non sono sinodali e missionarie le parrocchie, non lo sarà neanche la Chiesa».

Come, allora, l’identità di popolo di Dio sinodale in missione può concretizzarsi nelle relazioni, nei percorsi e nei contesti parrocchiali che possono essere considerati i luoghi «in cui possiamo sperimentare più immediatamente la vita sinodale missionaria della Chiesa tutta» (n. 89)?

Come essere una parrocchia sinodale in missione?

Una parrocchia sinodale missionaria, percepibile come «casa e famiglia» (n. 33), dovrebbe, in primo luogo, assimilare il concetto di sinodalità maturato nel corso del processo sinodale iniziato nel 2021: «la sinodalità è il camminare insieme dei cristiani con Cristo e verso il Regno, in unione a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, la creazione del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata» (n. 5).

Dovrebbe conseguentemente acquisire la profonda convinzione che la sinodalità, in quanto «dimensione costitutiva della Chiesa» (n. 5):

  • designa lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione» di una parrocchia (n. 6);
  • si esprime nel modo ordinario di vivere e operare» della parrocchia (n. 7);
  • «si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e, nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione» (n. 7);
  • «non comporta in alcun modo la svalutazione della particolare autorità e lo specifico compito che Cristo stesso affida ai Pastori» (n. 8);
  • «non è fine a sé stessa» e «consente alla comunità di coloro che credono e guardano a Gesù di annunciare nel modo più adeguato il Vangelo alle donne e agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo» ed è quindi intimamente congiunta con la missione (n. 9);
  • è «una testimonianza sociale che risponde al profondo bisogno umano di essere accolti e sentirsi riconosciuti all’interno di una comunità concreta», richiamandoci «alla cura reciproca, all’interdipendenza e alla corresponsabilità per il bene comune» (n. 20);
  • «va vissuta come l’insieme dei modi in cui i discepoli di Gesù intessono relazioni solidali, capaci di corrispondere all’amore divino che continuamente li raggiunge e che essi sono chiamati a testimoniare nei contesti concreti in cui si trovano» (introduzione, parte I, relazioni).

Non v’è ombra di dubbio che, per rispondere alla domanda «come essere parrocchia sinodale in missione», vada attribuita assoluta priorità «alla predisposizione di percorsi formativi coerenti, con particolare attenzione alla formazione permanente per tutti» (n. 51).

Prendersi cura della propria formazione è la risposta che ogni persona battezzata è chiamata «a dare ai doni del Signore, per far fruttificare i talenti ricevuti e metterli a servizio di tutti» (n. 51).

«Lo scopo della formazione nella prospettiva della sinodalità missionaria è che ci siano testimoni, uomini e donne capaci di assumere la missione della Chiesa in corresponsabilità e in cooperazione con la potenza dello Spirito (cf. At 1,8). La formazione assumerà quindi come base il dinamismo dell’iniziazione cristiana, puntando a promuovere l’esperienza personale di incontro con il Signore e di conseguenza un processo di conversione continua di atteggiamenti, relazioni, mentalità e strutture» (n. 55).

Come impegnarci in un reciproco profondo ascolto?

La fede, che nasce dall’ascolto (Rm 10,17), dell’ascolto vive. La sinodalità designa «uno stile che parte dell’ascolto come primo atto della Chiesa» (n. 6). Per una parrocchia sinodale in missione, la prima conversione è, pertanto, quella dell’ascolto: l’ascolto dello Spirito Santo, l’ascolto reciproco, l’ascolto delle persone che sperimentano vari tipi di povertà e di emarginazione (nn. 19 e 54), l’ascolto e il dialogo «con istituzioni civili, rappresentanti di altre religioni, organizzazioni non cattoliche e la società in generale» (n. 98).

La capacità di ascolto «richiede di riconoscere che nessuno è autosufficiente nell’esercizio della propria missione e che ciascuno ha un contributo da offrire e qualcosa da imparare dagli altri» (n. 54).

È attraverso l’ascolto della voce di tutti, anche e soprattutto di quei gruppi e comunità tenute ai margini della comunità cristiana come della società (n. 60), che vanno elaborate le soluzioni ai problemi comuni (n. 46).

La formazione all’ascolto è un’esigenza irrinunciabile. L’intreccio dell’ascolto della Parola di Dio e dell’ascolto dei fratelli e delle sorelle apre pian piano all’ascolto della voce dello Spirito. Lo strumento per sperimentare tale intreccio è la «conversazione nello Spirito» (n. 54) come forma peculiare di discernimento ecclesiale «particolarmente consona all’esercizio della sinodalità» (n. 65).

La formazione all’ascolto dev’essere integrale: punta non solo «all’acquisizione di nozioni o di competenze», ma anche alla promozione della «capacità di incontro, di condivisione, di cooperazione e di discernimento in comune» (n. 56). Per crescere nella conoscenza e nella stima reciproca e nella capacità di collaborare quanto mai necessaria risulta essere «una formazione comune e condivisa, a cui prendono parte insieme uomini e donne, laici, consacrati, ministri ordinati e candidati al ministero ordinato» (n. 57).

Quanto alle opzioni procedurali per acquisire uno stile che parta dall’ascolto, l’IL suggerisce quanto è stato proficuamente sperimentato nel processo sinodale:

«a) una vita di preghiera personale e comunitaria, che includa la partecipazione all’eucaristia;

  1. un’adeguata preparazione personale e comunitaria, fondata sull’ascolto della Parola di Dio e della realtà;
  2. un ascolto rispettoso e profondo della parola di ciascuno;
  3. la ricerca di un consenso il più ampio possibile non per intersezione (dunque al ribasso), ma per traboccamento, puntando a evidenziare quello che più fa ardere i cuori (cf. Lc 24,32);
  4. la formulazione del consenso da parte di chi conduce il processo e la sua restituzione a tutti i partecipanti, a cui spetta confermare o meno di sentirsi riconosciuti in quella formulazione» (n. 63).

Relativamente all’ascolto della Parola di Dio, «punto di partenza e criterio di riferimento di ogni discernimento ecclesiale», l’IL ricorda che le sacre Scritture costituiscono la testimonianza per eccellenza che Dio ha parlato al suo popolo e continua a farlo attraverso diversi canali di comunicazione nessuno dei quali va trascurato.

«Dio parla attraverso la meditazione personale della Scrittura, nella quale risuona qualcosa del testo biblico su cui si prega. Dio parla alla comunità nella liturgia, luogo ermeneutico per eccellenza di ciò che il Signore dice alla sua Chiesa. Dio parla attraverso la Chiesa, che è madre e maestra, attraverso la sua tradizione viva e le sue pratiche, comprese quelle della pietà popolare. Dio continua a parlare attraverso gli avvenimenti che hanno luogo nello spazio e nel tempo, a condizione di saperne discernere il significato. Ancora, Dio comunica con il suo Popolo attraverso gli elementi del cosmo, la cui stessa esistenza rimanda all’azione del Creatore e che è riempito dalla presenza dello Spirito Santo che dà la vita. Infine, Dio parla nella coscienza personale di ciascuno, che – cf. GS 16 – è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (n. 61).

Appare, allora, sommamente opportuno dar vita in ogni realtà parrocchiale ad un «ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento», riconosciuto ed eventualmente istituito, che renda concretamente sperimentale un tratto – quello dell’ascolto – così caratteristico della sinodalità. Tale ministero può essere considerato alla stregua di «una porta aperta della comunità, attraverso cui le persone possano entrare senza sentirsi minacciate o giudicate».

La presenza di uno specifico ministero non significa però riservare l’impegno all’ascolto ai soli ministri, dal momento che ascolto e accompagnamento «sono un servizio ecclesiale» e impegnano tutte le persone battezzate (n. 34). Il battesimo, infatti, «non è un atto puntuale chiuso nel momento della sua celebrazione, ma un dono che deve essere confermato, alimentato e messo a frutto attraverso l’impegno alla conversione, al servizio della missione e alla partecipazione alla vita della comunità» (n. 24).

Come realizzare una corresponsabilità differenziata di tutti per la missione?

Potrà essere sinodale e missionaria solo la parrocchia che avverte il desiderio di «ampliare le possibilità di partecipazione e di esercizio della corresponsabilità di tutti i battezzati, uomini e donne, nella varietà dei loro carismi, vocazioni e ministeri».

Questo desiderio «punta in tre direzioni»:

  • aggiornamento della «capacità di annuncio e di trasmissione della fede con modalità e mezzi appropriati al contesto attuale»;
  • «rinnovamento della vita liturgica e sacramentale, a partire da celebrazioni belle, dignitose, accessibili, pienamente partecipative, ben inculturate e capaci di alimentare lo slancio verso la missione»;
  • realizzazione di iniziative pastorali efficaci in grado di porre rimedio alla «mancata partecipazione di tanti membri del Popolo di Dio» al cammino di rinnovamento ecclesiale in atto e alla mancata o debole comunione «tra uomini e donne, tra generazioni e tra persone e gruppi di diverse identità culturali e condizioni sociali, in particolare i poveri e gli esclusi» (n. 12).

Una parrocchia sinodale missionaria è, comunque, consapevole che «l’ambito primario in cui i carismi di cui ciascun battezzato è portatore sono chiamati a manifestarsi non è l’organizzazione delle attività o delle strutture ecclesiali: è nella vita quotidiana, nelle relazioni familiari e sociali, nelle più disparate situazioni in cui i cristiani, singolarmente o in forma associata, sono chiamati a far fiorire i doni di grazia ricevuti per il bene di tutti» (n. 28).

«Nella parrocchia sinodale missionaria tutta la comunità, nella libera e ricca diversità dei suoi membri, è convocata per pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere e consigliare nel prendere le decisioni pastorali più conformi al volere di Dio […]. Più che di un approfondimento, questa affermazione ha bisogno di essere attuata. È difficile immaginare un modo per promuovere una Chiesa sinodale più efficace della partecipazione di tutti ai processi decisionali. Questa partecipazione avviene sulla base di una responsabilità differenziata che rispetta ogni membro della comunità e ne valorizza le capacità e i doni in vista della decisione condivisa» (n. 67).

La parrocchia sinodale missionaria è tutta ministeriale. In essa vi è una varietà di ministeri che possono essere denominati «ministeri battesimali» in quanto la loro radice comune è il battesimo, mentre i ministeri ordinati sono radicati nel sacramento dell’ordine. «Si tratta di servizi non occasionali, riconosciuti dalla comunità e da chi ha il compito di guidarla».

Ecco alcuni esempi di ministeri battesimali esercitabili indifferentemente da uomini e donne: coordinamento di piccole comunità ecclesiali; animazione e guida di momenti di preghiera (in occasione di funerali e altro); distribuzione della comunione eucaristica; assistenza ai matrimoni e conferimento del battesimo; altri servizi «anche al di fuori dell’ambito liturgico» (n. 29). Il tutto accanto ai ministeri istituiti già oggi presenti nella vita parrocchiale: il ministero dei lettori e delle lettrici, il ministero degli accoliti e delle accolite, il ministero dei catechisti e delle catechiste (n. 30).

Fedeli laici, uomini e donne, adeguatamente formati, dovrebbero poter «contribuire alla predicazione della Parola di Dio anche durante la celebrazione dell’eucaristia» (n. 18). In che modo? L’IL non lo dice, ma si potrebbe pensare quanto meno ad una predicazione che sia il frutto di un previo ascolto comunitario, orante e condiviso, dei testi biblici proclamati nel contesto della celebrazione eucaristica.

Come trasformare strutture e processi perché la comunità sia tutta ministeriale?

Nella parrocchia sinodale missionaria gli organi di partecipazione già previsti dal vigente diritto canonico (Consigli degli affari economici e Consigli pastorali) vanno considerati alla stregua di «strumenti essenziali per la pianificazione, l’organizzazione, l’esecuzione e la valutazione delle attività pastorali».

«Con gli opportuni adattamenti, potrebbero rivelarsi ancora più adatti a dare forma concreta ad alcuni aspetti di uno stile sinodale: possono diventare soggetti di processi di discernimento ecclesiale e di processi decisionali sinodali e luoghi della pratica del rendiconto e della valutazione di coloro che ricoprono ruoli di autorità, senza dimenticare che dovranno a loro volta rendere conto del modo in cui svolgono i propri compiti» (n. 91).

«Si tratta di un punto di grande importanza e urgenza per la credibilità del processo sinodale e della sua attuazione» (n. 79). Essi vanno non solo valorizzati (n. 91), ma resi obbligatori (n. 93).

La designazione dei membri degli organismi di partecipazione va fatta con l’obiettivo, tra l’altro, di contribuire credibilmente alla promozione di una cultura della trasparenza e del rendiconto (n. 92).

La maggioranza dei membri, pertanto, non dovrà essere indicata dal parroco, ma designata esprimendo effettivamente la realtà della comunità (n. 92).

Nella composizione di questi organismi dovrà essere favorito un maggiore coinvolgimento delle donne, dei giovani e di coloro che vivono in condizioni di povertà o emarginazione (n. 93).

È fondamentale, poi, che facciano parte di questi organismi persone (uomini e donne) impegnate «nella testimonianza della fede nelle ordinarie realtà della vita e nelle dinamiche sociali, con una riconosciuta disposizione apostolica e missionaria, e non solo persone impegnate nell’organizzazione della vita e dei servizi interni alla comunità» (n. 93).

Come esercitare potere e autorità in stile sinodale?

Una parrocchia sinodale missionaria «ha bisogno di cultura e pratica della trasparenza e del rendiconto […] che sono indispensabili per promuovere la fiducia reciproca necessaria per camminare insieme ed esercitare la corresponsabilità per la comune missione. Nella Chiesa l’esercizio del rendiconto non risponde, in primo luogo, a esigenze di carattere sociale e organizzativo. Il suo fondamento è piuttosto da ricercarsi nella natura della Chiesa quale mistero di comunione» (n. 73).

«Trasparenza e rendiconto devono essere al centro dell’azione ecclesiale a tutti i livelli e non solo al livello dell’autorità. Tuttavia, chi ricopre ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo. Trasparenza e rendiconto […] devono riguardare anche i piani pastorali, i metodi di evangelizzazione e le modalità con cui la Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio per quanto riguarda le condizioni di lavoro all’interno delle sue istituzioni» (n. 76). La mancanza di trasparenza e di forme di rendiconto, infatti, «alimenta il clericalismo, che si fonda sull’assunto implicito che i ministri ordinati non debbano rendere conto a nessuno nell’esercizio dell’autorità loro conferita» (n. 75).

Nel corso dei secoli ad essere valorizzata è stata la pratica del rendiconto nei confronti dei «superiori». Oggi va recuperata la dimensione del rendiconto dell’autorità nei confronti della comunità. La trasparenza dev’essere una caratteristica dell’esercizio dell’autorità (n. 77) anche nella vita parrocchiale.

«La domanda Come essere Chiesa sinodale in missione? ci spinge a riflettere concretamente sulle relazioni, le strutture e i processi che possono favorire una rinnovata visione del ministero ordinato, passando da un modo piramidale di esercitare l’autorità a un modo sinodale. Nel quadro della promozione dei carismi e ministeri battesimali, si può dare corso a una riallocazione dei compiti il cui svolgimento non richiede il sacramento dell’ordine. Una più articolata ripartizione delle responsabilità potrà indubbiamente favorire anche processi decisionali improntati a uno stile più chiaramente sinodale» (n. 36).

«Nessun ministro può pensarsi come individuo isolato a cui sono stati conferiti dei poteri; egli deve, piuttosto, concepirsi ma come partecipe dei doni (munera) di Cristo, conferiti dall’ordinazione, insieme agli altri ministri, in un legame organico con il Popolo di Dio di cui fa parte e che, pur in modo diverso, partecipa di quegli stessi doni di Cristo nel sacerdozio comune fondato sul battesimo» (n. 37).

Print Friendly, PDF & Email

3 Commenti

  1. Giuseppe 4 settembre 2024
  2. Fabio Cittadini 31 agosto 2024
    • anima errante 2 settembre 2024

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto