Nel dibattito sulla parrocchia, avvitato da don Gigi Maistrello (cf. SettimanaNews 26 giugno e 1 luglio), riprende la voce di mons. Michele Giulio Masciarelli, sacerdote della diocesi di Chieti-Vasto laureato in teologia, filosofia e diritto canonico (qui il suo primo intervento). Le altre voci sono quelle di Antonio Torresin (5 luglio), Claudio Galimberti (6 luglio), Stella Morra (8 luglio), Fabrizio Carletti (13 luglio), Emanuele Sgarra (25 luglio, 30 luglio e 3 agosto).
Sempre interessante e ancor più pressante è oggi la domanda: parrocchia di popolo o parrocchia d’élite? Conviene rispondere a questa domanda per non compromettere lo sforzo di riforma della parrocchia da tutti sentita come necessaria.
La risposta a questa domanda non va data appellando alle proprie tendenze caratteriali (più inclini a stili élitari o popolari), ma a ragioni teologiche, le sole che possono dirci cos’è la parrocchia e le sole che posso guidarci a determinare quale forma storica essa debba assumere in conformità alla sua identità e alla sua missione. E allora, parrocchia di popolo o di élite? Vediamo.
La parrocchia è un popolo
La parrocchia non è un gruppo di pari o di affini, cioè persone omogenee per età o per interessi o per altro; essa è un popolo, nel quale tutte le differenze umane convergono in quella straordinaria esperienza aggregativa che è la comunità, questa volta convocata e tenuta insieme, e che sono amalgamate da Dio stesso. La parrocchia non nasce élitaria, ma popolare: «La comunità parrocchiale – scrivono i vescovi italiani – riunisce i credenti senza chiedere nessun’altra condivisione che quella della fede e dell’unità cattolica. La sua ambizione pastorale è quella di raccogliere nell’unità persone le più diverse tra loro per età, estrazione sociale, mentalità ed esperienza spirituale» (CEI, Comunione e comunità [1.10.1981], n. 43).
La parrocchia nasce popolare perché partecipa all’essere e alla missione della Chiesa, che nasce dalla convocazione di Dio, il quale le affida consegne, le prospetta fini, le dona mezzi per realizzare i suoi divini propositi.
La parrocchia, in piccolo, vive il mistero della Chiesa, della quale sa realizzare un’essenziale presenza di grazia, dal momento che sa realizzare la presenza salvifica e gloriosa di Cristo: «in queste comunità [diocesi e parrocchie] – afferma il Concilio – sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica» (LG 26).
La parrocchia è casa di tutti
Proprio perché esprime la realtà del popolo di Dio, la parrocchia è la casa di tutti, aperta a tutti. In essa, conseguentemente, ognuno si deve sentire a casa propria, poiché è – come afferma Giovanni Paolo II – una «casa di famiglia, fraterna e accogliente con tutti» (Christifideles laici 26-27), o – come amava dire papa Giovanni XXIII – la fontana del villaggio alla quale tutti corrono a dissetarsi per l’arsura che la vita crea.
La parrocchia non è la comunità dei migliori (i santi), né per i gruppi cristiani d’“élite” (aggregazioni ecclesiali particolari per carismi, impianto organizzativo e quant’altro); è la comunità cristiana dove passa una concreta porzione del popolo di Dio, connotato da doni di creazione e di grazia.
Fra l’altro, la parrocchia è lo spazio missionario, nel quale è convocata la comunità degli uomini, già irradiata da riflessi di santità e purtroppo anche ombrata dall’oscurità del peccato.
«La parrocchia rimane la Chiesa di tutti: impegnati o dubbiosi, buoni o cattivi, obbedienti o critici, assidui o lontani. La ragion d’essere di una comunità parrocchiale è quella di costituire la struttura di base per l’appartenenza ecclesiale dei cristiani prima, dopo e fuori da qualsiasi appartenenza particolare. La parrocchia, come la diocesi, ha bisogno di restare se stessa, rendendola la Chiesa di tutti […]. Anche questa è una forma di Chiesa dei poveri e povera. Tutta la vita e l’azione della Chiesa, della parrocchia hanno bisogno di ristrutturarsi nell’atto del vangelo, cioè nell’annuncio della bella notizia a chi ancora non crede o ha interrotto il suo percorso di vita cristiana» (Severino Dianich, Atti del 24° Convegno nazionale Caritas diocesane, Modena, 15-18 giugno ’98).
La parrocchia fra prossimità e distanza
Allora, parrocchia d’“élite” o parrocchia di popolo? La risposta è: parrocchia di popolo. In questa “popolarità” (che evita le derive di alcuni significati inaccettabili, come quello di populismo) c’è tutto l’umano con quanto di buono, di mediocre e di avvilente possiede, e va compresa tutta la variegata fenomenologia religiosa, con quanto di raffinatezza, di lacunoso, di scadente, di debole ci sia dal punto di vista spirituale.
La parrocchia è lo spazio dove la geografia e la storia, spesso rattristanti, degli uomini trovano ospitalità e attenzione; e si deve dire anche il contrario: in quella geografia e in quella storia la parrocchia è inserita e immersa (come “casa” fra le case, come “casa” accanto alle case degli uomini, abitandovi con prossimità profonda, ma anche con alterità alta: la parrocchia, infatti, ha da narrare (testimoniando) la storia di Dio-con-l’uomo, deve annunciare una sapienza altra, quella della croce, e una profezia inattesa, quella della risurrezione.