Il digiuno eucaristico provocato dalla pandemia nei primi mesi dell’emergenza sanitaria ci ha lanciati in una situazione di inattesa “solidarietà” con tutte quelle persone che, per diversi motivi, non possono accostarsi al sacramento della comunione: divorziati risposati, conviventi e fedeli che risiedono in territori con uno scarso numero di presbiteri (vedi le comunità della regione Panamazzonica).
Questa esperienza ci consegna diverse riflessioni in merito a scelte che la Chiesa è chiamata a fare e che, in fondo, hanno anche animato i dibattito sia durante i due Sinodi sulla famiglia (2014-2015) che sull’Amazzonia (2019). Alla comunità ecclesiale in cerca di segni credibili di rinnovamento, la Parola di Dio si propone come un tesoro antico e sempre nuovo: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore […] ha sempre considerato e considera le sacre Scritture come la regola della propria fede […] nei libri sacri infatti il Padre che è nei cieli con molta amorevolezza viene incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro»[1].
Il parallelismo con l’eucarestia non piacque a diversi padri conciliari, in realtà trasmette l’enfasi che il Vaticano II ha conferito alla Parola di Dio pregata, meditata e vissuta. Un anziano fedele di una comunità parrocchiale che ho servito una volta mi confidò lo stupore della mamma quando iniziò ad ascoltare la proclamazione delle letture domenicali in lingua italiana: “Finalmente capiamo cosa dice Dio e cosa vuole da noi!”.
Il confronto costante con la sacra Scrittura consente di entrare in un contatto con il Dio della rivelazione cristiana che possiamo definire sacramentale[2]: per tale motivo essa non funge solamente da testo, per così dire, informativo ma anche performativo nella vita del credente. La sacra Scrittura infatti è «atto vivo del Dio che parla, sollecitando qui e ora l’adesione del cuore e della mente»[3], all’interno del contesto liturgico e comunitario sotto la guida dello Spirito Santo.
Durante la pandemia diversi hanno riscoperto la possibilità di cibarsi di Parola di Dio: quanto cammino la Chiesa deve compiere ancora perché tutti abbiano contatto vivo con le sacre Scritture? Al ricorso quasi assillante di continue celebrazioni eucaristiche perché non alterniamo profondi e sistematici incontri attorno alla Parola di Dio?
Essa d’altronde riveste un compito molto importante per la conversione pastorale delle comunità dal momento che «non ci può essere fine del clericalismo se non c’è uno stato permanente di endemia della Scrittura, diversamente tutti gli altri modi con cui si cerca di porvi fine sono modi indebiti»[4].
Il clericalismo si supera soltanto se ciascun battezzato recupera la centralità della Parola di Dio nella vita spirituale e comunitaria: in questo senso, l’invito alla pratica della sinodalità acquista un valore decisivo in merito alla corresponsabilità di tutti i soggetti ecclesiali.
Le possibilità di diffondere questa endemia della Parola sono molteplici e già praticate in diverse comunità del mondo. Ne condivido solo alcune tra le tante: favorire la tradizionale lectio divina (anche online per chi lavora), la lettura comunitaria della Bibbia, piccoli laboratori sulla Parola di Dio nelle case dei fedeli o nei quartieri, veri e propri incontri biblici su particolari temi (creato, giustizia, povertà, scelte ecc.) o libri della Scrittura.
Inoltre, si potrebbe pensare ad un’ora settimanale in cui chi desidera (in particolare famiglie e operatori pastorali) si ritrova attorno alla liturgia della Parola domenicale per condividere la propria esperienza umana e spirituale al fine di favorire una partecipazione realmente attiva alla Pasqua settimanale.
Questo percorso genera anche i presupposti per la cosiddetta omelia partecipata, per il coinvolgimento maturo dei genitori dei ragazzi dell’IC i quali non si sentono spettatori inermi e per la proposta di segni o collette per i bisogni delle persone più svantaggiate.
[1] Dei verbum, 21.
[2] Benedetto XVI, Verbum domini, 56.
[3] A. Bozzolo – M. Pavan, La sacramentalità della Parola, Queriniana, Brescia 2020, 322.
[4] G. Dossetti, La Parola di Dio seme di vita e di fede incorruttibile, a cura della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Bologna 2002, 108.
Altrimenti uno spreco
Tutte proposte belle… ne aggiungo una anch’io: e se i preti iniziassero a fare omelie che “spezzino la Parola” piuttosto che propalarci sempre i loro fervorini narcisistici infarciti dei loro punti di vista sulle cose e sul mondo?
Magari noi fedeli potremmo incontrare davvero Dio… oops “il Dio della rivelazione cristiana” (espressione di sapore fortiano che personalmente aborro).
Temo – però – che questo non avverrà.
La Parola è scomoda. Lo è per tutti. Per tradizionalisti e progressisti, lefebvriani e modernisti, ricchi e poveri. Ognuno di noi cerca di piegarla ai propri fini, a volte con esiti esilaranti.
Ci vorrebbe proprio un nuovo Erasmo da Rotterdam con un contemporaneo “Elogio della follia”…
e magari – già che ci siamo – anche un nuovo Mosè Maimonide con una moderna “Guida dei perplessi”.
Bell’articolo che coglie nel segno la forza della Parola nel radunare e fare crescere le comunità cristiane. Queste sono ciò che in molte parti dell’Occidente manterranno viva la fede in Cristo in assenza di presbiteri