Con tre domande proposte ai presbiteri della nostra diocesi [Bologna – ndr] ci è stato chiesto di esprimerci su quali indicazioni lo Spirito suggerisce alla nostra Chiesa in questo tempo; quali esperienze significative sono emerse durante il periodo di emergenza; quali le questioni urgenti a cui dare risposta.
Credo sia difficile dichiarare con sicurezza ora quali sono le indicazioni dello Spirito. Primo perché è risaputo che lo Spirito non parla in modo immediato, esplicito, e secondo le nostre modalità; secondo perché ognuno potrebbe dire quello che pensa lui presentandolo come indicazione dello Spirito, senza possibilità di essere subito smentito dallo stesso Spirito. Credo dunque che quello che lo Spirito sta dicendo alla Chiesa in questo tempo lo capiremo meglio più avanti. Possiamo però noi lasciarci interrogare profondamente da ciò che stiamo vivendo, confrontarlo con la Parola, tentare di darne una lettura sapienziale, senza la pretesa di trovare subito risposte pratiche e puntuali proposte.
Mi sembra utile invertire l’ordine delle domande proposte, perché, nel mio modo di ragionare, le esperienze significative emerse possono poi essere utili a cercare le indicazioni (dello Spirito…). Chiarisco che per “esperienze significative” non intendo gli specifici tentativi pratici che abbiamo escogitato in queste settimane per portare avanti attività e contatti comunitari (ognuno ha fatto del suo meglio e secondo la sua sensibilità), ma ciò che ha toccato in profondità la nostra vita personale e comunitaria e che per questo si è rivelato come esperienza significativa, appunto. E non sempre immediatamente gradevole.
Quali esperienze significative sono emerse?
- Spogliazioni
Credo che l’esperienza più forte che tutti abbiamo fatto in questo tempo sia quella di una grande e veloce spogliazione. Di fatto, va vista anche in termini psicologici come un trauma. Impotenza, incertezza, paura, (solitudine e/o isolamento) sono parole che sono diventate carne in noi e nelle nostre comunità. Siamo stati spogliati delle abitudini e delle attività che avevamo considerato la struttura portante della nostra identità. Il che ha messo inevitabilmente in discussione la nostra identità di Chiesa e di presbiteri. E il trauma richiede accompagnamento e tempi lunghi di elaborazione.
- Conferme
La sofferenza e il disagio che abbiamo provato noi e le nostre comunità ci hanno fatto vedere che un certo modo di vivere la messa e i sacramenti, le devozioni personali, con l’accentratura sul clero e sui locali parrocchiali, sono le cose su cui effettivamente si appoggia la nostra prassi pastorale consueta. Con il problema mai superato che queste cose, vissute in questo modo, manifestano una visione di Chiesa piuttosto preconciliare. Ma nel nostro immaginario pastorale sono le cose più ovvie e più facili (la messa è già pronta, e poi “va su tutto”, come il nero nei vestiti…). È stato difficile immaginare che la fede, la vita cristiana potesse esprimere delle forme diverse e letture profonde di quelle realtà, e quindi tutti siamo stati portati a replicare nelle piattaforme digitali quelle stesse cose. Abbiamo inoltre avuto conferma che il popolo nella maggioranza è impreparato a vivere in modo attivo, creativo e responsabile le espressioni della propria fede, con però la sorpresa appunto che, pur essendo impreparato, sono fiorite tante espressioni creative familiari.
- Reazioni
Con l’improvviso fermare tutto nella vita esteriore della Chiesa, sono venute alla luce tante e varie sensibilità che erano presenti nel sottobosco della vita della Chiesa e quindi anche nelle nostre comunità parrocchiali. Sono emersi con chiarezza e a volte con violenza modi di vedere differenti riguardo a: cosa è la Chiesa (nel mondo? di fronte al mondo? alternativa al mondo…?); cos’è la comunità, cosa deve fare la parrocchia; cos’è la messa (nutrimento spirituale? devozione personale? la forma più valida di preghiera comunitaria? una comunità che celebra la presenza del Signore…?); cos’è il presbitero (ministro? capo? padre? fratello? organizzatore? responsabile? mediatore tra Dio e gli uomini…?). Sono emerse tante e varie reazioni a questa situazione, reazioni pastorali, reazioni di riflessione, reazioni di creativa generosità, ma anche posizioni ideologiche che non hanno risparmiato giudizi sulle reazioni di altri. Di questa varietà emersa in modo problematico credo che bisognerà tenere conto, soprattutto quando si vorrà “tirare le fila”, o meglio quando si potrà fare un sereno discernimento.
- Riscoperte e sorprese
Credo che tutti stiamo facendo esperienza di vedere germogliare cose belle e per certi versi inaspettate: la riscoperta di relazioni più autentiche; la riscoperta della condivisione di fede in famiglia; la riscoperta di un contatto più profondo con la Parola di Dio.
Quali le indicazioni dello Spirito?
Come dicevo prima, non possiamo sapere ora quali sono le indicazioni dello Spirito. So però che abbiamo delle indicazioni preziose dall’Evangelii gaudium (e dal Convegno di Firenze) e vedo che queste indicazioni corrispondono alle sorprese che stiamo vedendo germogliare in questa situazione. E vedo anche che molto corrisponde alle sottolineature emerse dalle assemblee delle zone pastorali fatte prima dell’emergenza sanitaria. Diventare audaci e creativi nel ripensare obiettivi, strutture, metodi, per passare da una pastorale di conservazione a una pastorale missionaria, di prossimità e di incontro personale; affrontare l’individualismo coltivando legami, curando le relazioni e la comunione; coltivare il discernimento e uno sguardo contemplativo e non di controllo; la convinzione che tutto il popolo di Dio annuncia il Vangelo; la centralità della Parola e del kerygma; il volto materno della Chiesa.
- Prospettive e opportunità
Evangelii gaudium e anche questa situazione difficile ci “autorizzano” a immaginare e a provare forme nuove per esprimere la vita cristiana: riscoprire sobrietà ed essenzialità; curare la qualità delle relazioni e la ricerca di forme di prossimità; sviluppare la creatività, come comunità parrocchiali e soprattutto nelle famiglie. Rivalutare il sacerdozio dei battezzati e, allo stesso tempo, rivalutare il battesimo dei presbiteri: cioè, incoraggiare la creatività e la responsabilità ecclesiale dei laici e, allo stesso tempo, ritrovare una dimensione umana, evangelica e fraterna della vita del prete, ridimensionando tutto ciò che è accentrato su di lui: il potere, la visibilità e le responsabilità. Approfondire il senso profondo dell’eucaristia, secondo la Scrittura e il Concilio; di conseguenza, ridimensionare l’onnipresenza delle messe.
- Rischio
Le strutture (mentali e pastorali) di cui siamo stati spogliati mantengono di fatto un grande peso: ritorneranno con forza (nel nostro inconscio e probabilmente anche in tante richieste che riceveremo dalla gente) a pretendere di essere recuperate e ripristinate. Il rischio è appunto quello di voler raccogliere le cose belle e nuove che abbiamo scoperto “aggiungendole” alle cose che abbiamo sempre fatto e che inevitabilmente tenteremo di ripristinare e in fretta, il prima possibile (che sarebbe anche questo un modo di non ascoltare in profondità quello che ci sta accadendo).
Ma come, ad esempio, investiremo energie sulla ricerca di prossimità, di elaborazione della fede in casa e in famiglia se i locali parrocchiali saranno sempre al centro delle nostre attività e dei nostri pensieri (e dei nostri investimenti economici)? Come investire sull’accompagnamento dei ragazzi nel momento in cui si pongono le grandi questioni della vita se noi saremo tutti presi dall’organizzazione delle prime comunioni e delle cresime? Come curare le relazioni e l’ascolto se la gran parte del nostro tempo sarà dedicato all’organizzazione di attività, di liturgie (per non parlare degli impegni amministrativi dei parroci e ora anche degli adempimenti della sicurezza circa la diffusione del virus…)? Come metteremo al centro la Parola se andrà incastrata tra le celebrazioni delle varie messe?
Quali questioni urgenti a cui dare risposta?
Credo sia prematuro trovare subito delle risposte specifiche e proposte puntuali fatte a tavolino. Si tratterà di ridisegnare i rapporti e il tessuto ecclesiale, nell’intreccio delle trame date da Evangelii gaudium e da ciò che di promettente e generativo è emerso nelle famiglie e nelle comunità in questa tribolazione. Forse è anche da prevedere e accettare che delle risposte fattive non le avremo subito.
Tuttavia, questioni urgenti saranno evidentemente quelle relative all’ambito delle relazioni, in particolare l’accompagnamento delle persone e delle comunità nel disagio che ci travolgerà, dal punto di vista economico, umano-psicologico, spirituale, relazionale e comunitario, tenendo presente che questo disagio lo viviamo e lo vivremo anche noi presbiteri.
Infine, questa “spogliazione” è stata ed è ancora un importante esercizio di distacco. Per diversi è stato il distacco drammatico da persone care defunte. Per tutti il distacco dal poter incontrare persone anche molto care. E poi il distacco da abitudini e attività (e attivismo…) che riempivano i vari aspetti della vita. Credo perciò che una parola importante su cui siamo invitati a fermarci oggi, come questione urgente, è “lasciare”.
Come stiamo di fronte a questa parola? Chi ci aiuta ad attraversare il trauma di queste separazioni che hanno toccato la nostra vita e la nostra identità? Come affronteremo la paura di lasciare? Oltre ad aver subito questo trauma, dovremo anche scegliere di lasciare aspetti della nostra abituale vita ecclesiale. Saremo in grado di fare queste scelte? Come accompagneremo le comunità nel lasciare abitudini consolidate e non corrispondenti al tempo che viviamo e investire in strade inedite?
Per questo sarà importante come Chiesa (e anche come presbiteri) dare un nome alle paure, altrimenti esse domineranno le scelte (o non scelte): paura di diventare insignificanti, di perdere visibilità, di perdere rilevanza sociale, di perdere identità, popolarità, controllo… «Dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà» (2Cor 3,17): potremo immaginare anche che dove c’è libertà lì c’è lo Spirito del Signore?
- Don Filippo Passaniti è parroco nella zona pastorale di Granarolo dell’Emilia (diocesi di Bologna).