Servire la vita dove la vita accade è il titolo della lettera pastorale datata 26 agosto 2020, solennità di sant’Alessandro, che il vescovo Francesco Beschi ha scritto alla sua diocesi duramente colpita dal dramma della pandemia seminando dolore ma anche segni di bene.
«Non dimenticherò – nota il vescovo – la testimonianza di un’anziana signora che ha tenuto a dirmi e scrivermi: nella vicinanza della mia parrocchia e dei miei sacerdoti ho riconosciuto la vicinanza di Dio». Certo l’uragano davvero si è abbattuto violentemente su tutto quel territorio, ma lasciando anche tracce di solidarietà, attenzione all’altro, carità.
«Il Signore ci ha chiesto e ci chiede di servire la vita dove la vita accade, come ha fatto Lui. È il Soffio dello Spirito che il mondo intero ha riconosciuto nelle parole e nei gesti di papa Francesco, che ha rappresentato agli occhi di tutti l’inesauribile speranza che scaturisce dal Vangelo e dal Signore crocifisso e risorto». E questo paradossalmente in una Pasqua, che si può dire silenziata nei riti, ma non nella sostanza e nella sua realtà più profonda e vera.
È il tempo della conversione
Due possono essere le icone che sottostanno a questa pregnante e profonda Lettera: da un lato, quella biblica della vedova di Nain, una donna che ha perso il marito e ora il suo unico figlio, che Gesù le restituisce vivo; e poi l’icona del papa sotto la pioggia nella piazza deserta di quel terribile 27 marzo 2020.
Ed ecco le sottolineature del vescovo: «Non vogliamo dimenticare le sue parole, ispirate al Vangelo della tempesta sul lago e al gesto di Gesù. Ad un certo punto, il papa ha parlato del “giudizio”: “È il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è”. È il tempo dunque delle scelte, è il tempo della conversione. Ha parlato, come l’Apostolo, di armi: la preghiera e la carità».
La prova è stata dura, ma si tratta pur sempre di un enorme patrimonio di vissuto da non sprecare, come anche papa Francesco e tanti altri vescovi evidenziano. Rapidi e vari i sentimenti provati: noncuranza, sgomento, paura, fatica, dolore, strazio; ammirazione per il personale sanitario e i volontari; responsabilità verso i più fragili. Ma poi lo sconcerto per la scomparsa anche dei gesti della fede.
«Ci siamo resi conto – scrive il vescovo – di una vulnerabilità, di una fragilità e debolezza che avevamo dimenticato. Abbiamo riconosciuto in molti un sentimento di fede che non poteva esser solo riportato alla paura o all’attesa di un miracolo. Con la diminuzione della violenza del contagio sono emersi altri sentimenti: lo smarrimento, la rassegnazione, la depressione, la rabbia, la rimozione, ma anche la determinazione, la speranza, l’impegno nel ricostruire le condizioni fondamentali della vita sociale. Su tutti ha dominato un sentimento di solidarietà che ancora una volta ci ha stupito, allargato il cuore: un sentimento che non vorremmo veder svanire man mano diminuisce il pericolo».
E, dopo tutto questo, una sorta di sentimento diffuso «è quello della “sospensione”: una miscela di attesa, speranza, determinazione, incertezza, confusione, contraddizioni, tensioni, paure»… Alla domanda del Perché Signore? Non ti importa che siamo perduti? ora subentra «la necessità di individuare luci e segnali; di non dividerci, di condividere la “meta”; di mettere a frutto l’esperienza accumulata, di rallentare, di verificare la solidità della terra su cui si posa il piede, di non perdere la calma, di pregare… di non sprecare il patrimonio di dolore e di amore che abbiamo accumulato».
Un rinnovato senso di comunità
Infatti, nota mons. Beschi, la pandemia non è una parentesi, che prima o poi si chiuderà. «Oltre, e non dopo, la fase 1,2,3… risuona un’istanza di cambiamento, di conversione: dalla prevalenza dell’individualismo ad un rinnovato senso di comunità». Occorre far tesoro, oltre che memoria, della grande prova vissuta e “non sprecare il patrimonio di dolore e di amore che abbiamo accumulato”. Da notare che un messaggio simile si ritrova in pressoché tutti gli interventi ecclesiali in merito, dal papa, ai vescovi, all’intera Chiesa.
Sembrava d’un tratto che la stessa Chiesa fosse sparita, diventata inutile. Eppure, annota il vescovo di Bergamo, «in un momento in cui ciò di cui avevamo maggiormente bisogno era l’ossigeno e l’aria per coloro che stavano soffocando, il vento dello Spirito ha percorso le comunità e i cuori di fedeli e di pastori. Lo Spirito è vitale e dà vita: così è successo nelle nostre comunità. Impedite, private del “corpo”, si sono lasciate pervadere dallo Spirito».
Sembrava di rivivere i tempi biblici dell’esilio, senza più alcun riferimento: una totale privazione e spoliazione. Eppure in quella surreale Pasqua del 2020 ci si è resi conto che davvero morte e vita si sono affrontati a duello, e il Signore della vita che pareva morto, era vivo e trionfava.
«Mi sono reso conto – si legge nella lettera – che stavamo veramente vivendo quella Pasqua, che non potevamo celebrare come di consuetudine. Il rito era ridotto all’essenziale ma la vita era contrassegnata, come non mai, in ciascuno e in tutti dal mistero della Pasqua… Le donne e gli uomini della nostra terra hanno avvertito di essere comunità, che qualcuno c’era, che distanziati eravamo prossimi l’uno all’altro».
Ed è proprio questo il grande insegnamento di cui fare tesoro per servire la vita ovunque e in ogni modo. Pare essere proprio questa la vera ripartenza, con passi nuovi: di comunità e di solidarietà.
Del resto, il vescovo stesso ha proposto che anche i preti iniziassero a por mano al portafoglio per iniziare a dare concreti segni di vicinanza e sostegno alle situazioni di nuova povertà.
Forse pochi hanno letto – oltre ai gesti e alle parole di papa Francesco nel cuore di questo dramma globale – un suo messaggio rivolto a chi promuove le opere missionarie della Chiesa. E mons. Beschi ne richiama degli spunti, quasi eco oggi dell’Evangelii gaudium.
La gioia del Vangelo è frutto dello Spirito
«La gioia del Vangelo è frutto dello Spirito Santo. La missione non è una difesa o una conquista di spazi o di persone, ma si propone con la forza attraente del Vangelo: non si tratta di attirare a sé o alla Chiesa. Si tratta di attrarre a Cristo. Si tratta di favorire le condizioni per un’attrazione che non è opera nostra.
L’esperienza della Grazia è capace di suscitare la gratitudine: l’esercizio della memoria e la pratica del memoriale di ciò che Dio ha fatto per noi, sono capaci di suscitare stupore e diventano condizioni per alimentare il sentimento della gratitudine. Non dobbiamo stupire, ma stupirci: testimoniamo il nostro stupore! Dallo stupore e dalla gratitudine, scaturirà la gratuità della missione. Alla gratitudine si accompagna l’umiltà. È espressione della consapevolezza e della meraviglia suscitate dal dono di Dio.
Insieme all’umiltà vi è la misericordia che attende con pazienza, che accompagna il cammino. La misericordia diventa prossimità. Si tratta di annunciare, testimoniare, incarnare, servire il Vangelo nei luoghi e nei tempi dove si vive. … Lo Spirito non accende un eccesso di attivismo, ma un’attenzione rivolta al fratello… Non aggiungendo qualche gesto di attenzione, ma ripensando insieme, se occorre, i nostri stessi modelli dell’abitare, del trascorrere il tempo libero, del festeggiare, del condividere».
«Ho desiderato condividere con voi – conclude il vescovo – questo percorso, che ritengo di autentico discernimento spirituale, per consegnare a ciascuno e a tutte le nostre comunità questo mandato: “Serviamo la vita, dove la vita accade!”».