Brambilla: il “Liber pastoralis”

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Liber pastoralis

La pastorale come arte

La pastorale è un’arte. Lo dice fin dall’inizio il vescovo Franco Giulio nel suo libro Liber pastoralis, citando Gregorio Magno – autore di una Regula pastoralis. È qualcosa che riguarda l’intelligenza dell’agire, che ha a che fare con delle pratiche che hanno una loro ratio ma che non si lasciano semplicemente dedurre da astratti teoremi. Non è un sapere deduttivo, piuttosto una sapienza che s’impara vivendo, agendo, praticando, sperimentando.

Quando si è introdotti a questa pratica, è un po’ come quando uno diventa padre o madre: non sai prima quello che dovrai fare con precisione. Quando un prete viene destinato, diventa parroco o vicario, quando un credente viene chiamato a fare il catechista o il ministro dell’eucaristia, non gli viene dato il “libretto delle istruzioni”. Non significa che non ci si possa preparare studiando, significa che tutti gli studi non bastano per introdurti ad una pratica che impari facendo. Come per le arti: tutti i libri sulla pittura non ti bastano per affrontare una tela. Si impara in bottega e, certo, anche studiando.

Neppure questo è un “libretto delle istruzioni”, non propone ricette facili. Il suo intento è un altro, quello di tenere viva una passione per le pratiche ordinarie che sono l’anima di una pastorale. Lo dice lo stesso vescovo Franco Giulio presentando il testo: «Il libro intende rimediare alla grave tentazione dell’accidia pastorale e risvegliare la passione della carità pastorale, cuore della spiritualità del presbitero diocesano e della dedizione alla Chiesa locale. La passione è prima di tutto una cosa che si patisce. Essa porta nella vita del pastore le ferite delle persone e soprattutto delle famiglie. Poi, però, il pastore secondo il cuore di Dio si lascia contagiare dalla storia della gente che gli è affidata, si appassiona per la loro vicenda, cammina con loro e si consola quando riesce a far brillare la luce del vangelo nel cammino della comunità. In questo continuo scambio tra patire e appassionarsi, egli trova la bellezza del ministero pastorale e la sua intima gioia».

Dalla “cura animarum” alla testimonianza del popolo di Dio

Sempre l’autore ci indica l’intenzione che anima il libro: «Il focus della proposta è molto semplice: a partire dalla visione di Chiesa conciliare come popolo di Dio, occorre passare dalla cura animarum alla cura della testimonianza dei cristiani e della Chiesa come testimonianza».

La stanchezza che a volte abita nelle nostre comunità non è dovuta a una mancanza di generosità, quanto al fatto che dopo il concilio Vaticano II, che ha rivisitato l’immagine della Chiesa, la parrocchia stenta a trovare il suo volto; essa sembra rimasta sostanzialmente quella tridentina: centrata sulla figura del prete, con un ruolo passivo dei laici; avendo come centro una pratica sacramentale e un approccio dottrinale e moralistico nell’annuncio del Vangelo; oltre, certo, al perdurare di un’attenzione caritativa che non è venuta mai meno.

Non che queste cose non vadano più bene: è che devono trovare un nuovo assetto. Anzitutto nel soggetto della pastorale: il popolo di Dio nel suo insieme. E poi nel linguaggio e nelle forme dell’annuncio che, prima di essere dottrinali, devono ritrovare la forza persuasiva di una narrazione, dove la testimonianza e la biografia dei protagonisti (uomini e donne, giovani e vecchi, credenti con i loro dubbi e la loro fede) impara la gioia di camminare a fianco degli uomini e delle donne regalando la luce del vangelo con gratuità e freschezza. Dalla cura animarum, che era sostanzialmente un compito del prete vissuto in modo isolato, alla testimonianza dei cristiani, e alla forma profetica di una fraternità – quella della parrocchia, appunto, fatta da cristiani comuni, che tiene dentro cammini diversi – che diventa Chiesa che testimonia. Lo fa con uno stile di comunione, sinodale che sarebbe già una buona notizia! (cf. i capp. 1-5).

Le cose di sempre: la sapienza nella vita ordinaria di una parrocchia

Spesso gli amici mi chiedono: “Che cosa succede in parrocchia?”. “Nulla di nuovo – mi piacerebbe poter dire –, le cose di sempre”. Non si tratta di inventare cose nuove, ma di ritrovare la sapienza iscritta nella vita ordinaria di una parrocchia. E così nel Liber pastoralis troviamo capitoli che articolano le pratiche normali di una comunità cristiana: la parola di Dio (annuncio e omelia, capitoli 6-7), i sacramenti e la liturgia (capitoli 8-9; 15-16; 18-20) e la carità (capitoli 10-12). Con una precisazione importante. Se negli anni dopo il concilio si è provato a ripensare alla pratica della parrocchia articolandola secondo lo schema dei tria munera (profetico, sacerdotale e regale), ovvero parola di Dio, liturgia e sacramenti, e carità, ci si è accorti che questo schema, pure lecito, rischiava di assecondare un’immagine autoreferenziale dell’azione pastorale.

La Chiesa italiana con il convegno di Verona (che non a caso ha avuto come teologo di riferimento Franco Giulio Brambilla allora non ancora vescovo) ha provato a spostare l’asse verso gli ambiti della vita (affetti, lavoro, festa, fragilità, tradizione, cittadinanza) e, nel convegno di Firenze, di «raccordare la trilogia della missione della Chiesa con gli ambiti della vita umana, mediante cinque vie – uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare – che fossero capaci di accogliere la forza dirompente dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco» (p. 61). Come si vede, il cantiere è in movimento!

L’arte della pastorale ha il suo cuore nel discernimento

Questo testo, se non vuole essere un ricettario, a cosa mira? A riaccendere una passione intelligente, che aiuti nell’arte pastorale, in particolare in quel compito delicato e difficile che consiste nel discernimento pastorale. Una parrocchia, mentre continua a fare le cose di sempre, deve sempre tenere viva la domanda: “dove ci sta spingendo lo Spirito, dove agisce, dove ci sta indicando le priorità?”. Questa è forse la domanda più difficile, che non ha risposte pronte, ma chiede l’arte di ascoltare e di scegliere, di dare delle priorità e di accettare di tralasciare alcune altre cose. Un testo come questo fornisce criteri di discernimento più che ricette di facile consumo. Poi ciascuna comunità dovrà cucinare con quello che ha, sapendo che, come una brava donna di cucina, a volte nessuno ti ridà la dose giusta, e devi trovare il famoso q.b. (“quanto basta”) con il fiuto della pratica!

Un pastore teologo

L’opera del vescovo Franco Giulio è un bell’esempio di che cosa succede quando un teologo viene chiamato a fare il pastore. Certo, prima di fare il vescovo, Franco Giulio ha coltivato una passione per la pastorale sul campo: nel sostegno alla Chiesa di Milano (penso all’aiuto considerevole nei diversi ambiti di rinnovamento, e soprattutto nella nuova articolazione delle parrocchie, Unità Pastorali e Comunità Pastorali), nel servizio in tutte le diocesi per la Formazione dei preti (credo che non siano molte le diocesi nelle quali non è stato a fare una qualche conferenza). Poi, all’intelligenza dello studio e della formazione si è aggiunta la pratica di chi, come vescovo, deve guidare una porzione di Chiesa a lui affidata. Ma si capisce che non mai perso il gusto di leggere le questioni pratiche entro un quadro teoretico: a lui non manca certo la capacità di “inquadrare” le questioni pratiche con i fondamenti teologici, cristologici, antropologici, ecclesiologici, spirituali e morali. È un bell’esempio di come la teologia serva alla Chiesa ma anche di come la pratica della Chiesa stimoli l’intelligenza del teologo. Speriamo che continui!

Franco Giulio Brambilla, Liber pastoralis, Queriniana, Brescia 2017, pp. 248, € 14,50.

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Un commento

  1. Bartesaghi Rita 12 agosto 2017

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