Lorenzo Baldisseri, toscano, nato nel 1940, dopo l’ordinazione sacerdotale e la frequentazione della Pontificia Accademia Ecclesiastica, intraprende una lunga esperienza nella diplomazia vaticana. Nel 2013 viene nominato da papa Francesco segretario generale del Sinodo dei vescovi e cardinale l’anno successivo. Gli abbiamo chiesto di commentare l’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo dei giovani.
– Card. Baldisseri, dopo l’onda lunga della recezione dell’Amoris lætitia e del sinodo sulla famiglia i media sembrano già proiettati sul sinodo sull’Amazzonia. I giovani ne faranno le spese?
Per niente. L’interesse sta crescendo esponenzialmente per il sinodo sui giovani. D’altra parte, è naturale che l’annuncio del sinodo speciale sulla “Panamazzonia” abbia avuto un impatto, che però ha bisogno ancora di un respiro globale: siamo agli inizi. È interessante comunque che si sia pensato subito ai giovani così numerosi delle popolazioni autoctone di quella regione in relazione al sinodo di ottobre.
Da Cardin a Francesco
–“Riconoscere-interpretare-scegliere”: la struttura del testo dell’Instrumentum laboris (uscito il 19 giugno) richiama il celebre metodo di Cardin, “vedere-giudicare-agire”. Quali sono le differenze?
«Si tratta di tre verbi che coniugano l’intera struttura dell’Instrumentum laboris, pubblicato il 19 giugno scorso. Non vi sono sostanziali differenze di significato tra questi tre verbi e quelli classici di Cardin. “Riconoscere-interpretare-scegliere” sono mutuati dall’Evangelii gaudium di papa Francesco, per esprimere meglio lo sguardo con cui si vuole conoscere la realtà, la luce della fede con cui vogliamo interpretarla, le adeguate azioni pastorali che vogliamo scegliere. I tre verbi giocano un ruolo importante nel discernimento come tre passaggi nei dinamismi interiori che raccolgono sentimenti, emozioni e desideri provenienti dalla vita quotidiana, legati a idee, immagini e progetti.
– È difficile trovare una sintesi a livello mondiale della condizione giovanile. La genialità cattolica di leggere assieme Neet – disabili – felicemente globalizzati – vittime della guerra – migranti – minoranze e maggioranze ecc., in che cosa diverge dai processi di globalizzazione? In che modo li sollecita?
L’Instrumentum laboris è una sintesi certamente non esaustiva della condizione giovanile di oggi, quale risultato di un’ampia consultazione a diversi livelli nei quasi due anni di preparazione del sinodo.
Il documento è scaturito da cinque fonti: le risposte delle conferenze episcopali e degli altri enti aventi diritto al questionario del documento preparatorio, il supporto scientifico del Seminario internazionale del settembre 2017, il sito online con un questionario adatto ai giovani, i contributi spontanei, il documento finale della riunione presinodale dei giovani del marzo scorso.
Il vasto raggio di investigazione effettuato ha permesso di guardare dentro al fenomeno globale giovanile per poter individuare cammini di soluzioni alle problematiche e creare interessi e stimoli che suscitino speranza e futuro ai giovani.
L’aver incluso gli emarginati risponde al grande progetto di coinvolgere fin dall’inizio tutti i giovani del mondo. Questi, di fronte alla globalizzazione, rivendicano la libertà di espressione, la diversità come ricchezza, il pluralismo come opportunità contro ogni omologazione e appiattimento, e desiderano preservare la loro identità culturale e religiosa.
Digitali e globali
– La religione nella globalizzazione non è più strutturante la vita personale e sociale. Si apre uno spazio per intransigenti-settari e impauriti in difesa?
Il sinodo che si rivolge a tutti i giovani della terra apre un orizzonte nuovo, varca i confini confessionali e va al di là delle convinzioni, le credenze e le non credenze.
La Chiesa in questa vasta realtà parte dall’annuncio del vangelo, diviene missionaria, apre le porte a tutti, non teme il fenomeno della globalizzazione e vuole rinnovare la sua pastorale per strutturare umanamente e cristianamente la vita personale e sociale delle nuove generazioni. Sa anche guardare indietro e lo fa per assicurare la continuità e il patrimonio di fede che la abita. Ciò dovrebbe scoraggiare chiusure, fughe in ritroso, costruzioni di muri di difesa.
– I nuovi media non riconoscono autorità fuori del consenso e istituzione fuori dei contatti. Per questo i giovani frequentano senza problemi temi come l’omosessualità o il gender. Quali le reazioni dei responsabili ecclesiali?
I media sono un mezzo potente di opinione pubblica e di attrazione per i giovani, che ne seguono le logiche, le opportunità e anche le derive.
La Chiesa con il sinodo vuole affrontare questa sfida: stare con i giovani, ascoltarli, usare il loro linguaggio e offrire loro la fede e i valori ispirati dal vangelo. Non teme il confronto e i temi cosiddetti “scomodi”. Anzi, se i giovani parlano di omosessualità e di gender come di altri temi sensibili – inclusi tra l’altro nell’Instrumentum laboris –, i responsabili ecclesiali sono chiamati ad affrontarli con chiarezza e offrire la giusta chiave di lettura secondo la fede cristiana, senza paure o reticenze. La via maestra per raggiungere questo obiettivo è quella di accompagnarli nel loro cammino di ricerca, di apprendimento e di crescita.
Giona: dalla sindrome al segno
– Come sintetizzerebbe i valori diffusi e condivisi dal mondo giovanile?
Oltre ai valori comuni a tutte le culture come la giustizia, l’uguaglianza o la fraternità, quelli più diffusi e condivisi tra i giovani sono la creatività e l’audacia nelle scelte, la libertà e la solidarietà. Essi sono attratti verso le persone che sperimentano il limite, diremmo meglio, che vivono in maniera eroica e fuori dagli schemi. Non mancano ovviamente atteggiamenti di autoreferenzialità che possono deviarli verso percorsi pericolosi.
Al riguardo, quando papa Francesco invita i giovani a “rischiare”, vuol dir loro che non devono lasciarsi andare o divenire “giovani da divano”. Li vuole invitare a sognare ad occhi aperti e guardare al futuro con gioia. È diffusa e condivisa nel mondo giovanile la forte aspirazione alla felicità, che li galvanizza e li proietta in esperienze concrete spesso discutibili, passeggere, ma sempre per loro di estremo interesse.
Si deve riconoscere che i giovani possono insegnare molto agli adulti su abbattimenti di muri e per la costruzione di ponti.
– Quali le domande più intriganti per la Chiesa? Cosa significa la “sindrome di Giona”?
I giovani non vogliono una Chiesa chiusa, senza coraggio e autoreferenziale, si aspettano una Chiesa trasparente, accogliente, onesta, vicina, gioiosa e interattiva.
“Sindrome di Giona” è un’espressione di papa Francesco per indicare la “malattia” che può minacciare i cristiani d’oggi, quella cioè di sentirsi perfetti e puliti come appena usciti da una tintoria, ma pronti a giudicare e a condannare tutti gli altri. Giona fuggì dinanzi alla missione.
I cristiani, e quindi i giovani, possono essere affetti da questa “sindrome” che impedisce di avanzare, annunciare la misericordia di Dio e condividere l’intenzione che anima il cuore di Dio. Occorre passare dalla “sindrome di Giona” al “segno di Giona”, che è la misericordia del Signore.
Discernimento
– Vocazione, accompagnamento, discernimento: potrebbe indicarne il senso all’interno del testo?
La vocazione nell’Instrumentum laboris è intesa nel suo senso ampio di chiamata alla santità, in virtù del battesimo. Questo senso è proposto oggi per allargare l’orizzonte di azione della Chiesa che è per sua natura missionaria e quindi protesa verso il mondo, una Chiesa in uscita, come papa Francesco si esprime. Lo sguardo si fa allora vasto e, allo stesso tempo, comprensivo. Vi è diversità e pluralità di percorsi vocazionali, quali la famiglia, il ministero ordinato, la vita consacrata, la professione, l’inedita condizione dei “single”…
L’accompagnamento per realizzare questo cammino vocazionale è indispensabile, com’è fondamentale il discernimento per giungere ad una scelta di vita meditata, ponderata, autentica e vera.
Il discernimento è un «processo in cui si prendono decisioni importanti (…) e corrisponde alla dinamica spirituale attraverso cui una persona, un gruppo o una comunità cercano di riconoscere e di raccogliere la volontà di Dio nel concreto della loro situazione» (n. 108).
L’accompagnamento è a sua volta «un processo in grado di liberare la libertà, la capacità di dono e di integrazione delle diverse dimensioni della vita in un orizzonte di senso» (n. 121). Si realizza in diversi modi e forme. Si passa da un accompagnamento psicologico e spirituale a quello sacramentale della riconciliazione. Vi è un accompagnamento familiare, formativo e sociale, quello della lettura dei segni dei tempi e della vita quotidiana, quello che si riferisce specificamente al percorso vocazionale dei seminaristi o dei giovani per la vita consacrata. Ovviamente entra qui l’importanza delle qualità che si esigono nella persona dell’accompagnatore, tra cui primeggiano la testimonianza e l’approccio.
Il Cristo
– Mi ha incuriosito l’uso dei personaggi biblici: Giosuè – forza; Geremia – giovinezza; Padre misericordioso – fragilità; Salomone – sapienza ecc. E Gesù?
Gesù, la sua figura, è centrale nel documento e lo è soprattutto nella seconda parte dedicata a “interpretare”. Infatti, nel percorso vocazionale si parte dal presentare Gesù come «giovane tra i giovani», per poi, citando passi biblici, patristici e dottrinali in cui si preferisce usare il termine Cristo, parlare di «vocazione a seguire Gesù», che è il “clou” di tutto il cammino di discernimento per arrivare ad abbracciare il proprio stato di vita. L’uso dei personaggi biblici è funzionale e relazionale a questa centralità che fa meglio capire ai giovani la sua figura e la portata della sua chiamata.
– Nel mondo giovanile, oltre allo sport, è riconosciuta molta importanza per la musica. Il fatto di essere un buon pianista l’ha aiutato in questo?
Moltissimo. La mia esperienza di musicista in mezzo ai giovani è stata di grande importanza nella mia pastorale parrocchiale e diplomatica al servizio della Santa Sede in diversi continenti e anche a Roma. Mi ha permesso di percepire direttamente il valore dell’arte in genere e della musica, come linguaggio universale, che attrae, unisce, supera barriere, sensibilizza, innalza al trascendente.
La musica, come lo sport, riempie stadi, piazze, auditorium, ed è diventata oggi un “luogo” dove la presenza degli operatori pastorali non può limitarsi al solito “cappellano” di turno. I giovani sono lì, e soprattutto lì dove si incontrano, si divertono e imparano.
Quotidiano ed eventi
– Grandi eventi e formazione quotidiana: quale rapporto?
I grandi eventi che coinvolgono i giovani sono un’esperienza ecclesiale di prima grandezza. Giovanni Paolo II ha avuto un’intuizione geniale e profetica nell’istituire la Giornata mondiale della gioventù che, nel gennaio 2019, è alla 34ª edizione.
Per questa Segreteria generale, eccezionale è stata la celebrazione della riunione presinodale dei giovani nel marzo scorso, cui hanno partecipato oltre 300 giovani provenienti da tutto il mondo a Roma, cui si sono aggiunti 15 mila in rete durante i lavori. Ovviamente sono importanti le iniziative di questo genere anche a livello continentale, nazionale e diocesano.
Questa partecipazione dei giovani ai grandi eventi, come quelli agli altri livelli, presuppone un intenso lavoro di formazione e di preparazione individuale e collettiva, che si esplica normalmente nella quotidianità delle comunità e delle parrocchie. Emerge, allora, la necessità di un coinvolgimento ancor più effettivo di giovani “istruttori”, “formatori”, “operatori”, proprio in forza della loro richiesta di essere attori e non spettatori, soggetti e non oggetti, protagonisti e non gregari delle loro scelte e in prospettiva pastorale.
– Quale compito per i religiosi e i movimenti ecclesiali?
L’esperienza sinodale sui giovani coinvolge direttamente le vocazioni alla vita consacrata. I responsabili delle istituzioni interessate sono interpellati in maniera diretta e urgente di fronte alla realtà giovanile di oggi che, com’è conosciuto, è segnata da rotture e discontinuità, da distanze e accelerazioni siderali per i media, la tecnologia e per la cosiddetta «società liquida». Questa realtà ha messo in discussione gli schemi formativi, i parametri utilizzati e le strutture esistenti.
Il sinodo, a mio avviso, può essere un’occasione propizia per fare un passo avanti, per compiere una rivisitazione e stabilire uno stile e un approccio nuovo in tutto questo percorso. Ciò vale anche per la formazione dei candidati al sacerdozio. Per i movimenti è pure tempo di riflettere su come cogliere, nonostante la complessità e le rilevanti negatività, gli elementi positivi del presente panorama giovanile e aggiornarsi alla stagione attuale postconciliare. I fondatori o le fondatrici, pur nella loro funzione profetica, sono da seguire in ciò che è essenziale e non in quello che è contingente e legato al tempo in cui si stabilì l’istituzione.
Il rinnovamento in questo senso ben delineato con il Vaticano II e messo in atto nelle decadi successive, sembra rallentarsi ed è spesso limitato da paure e reticenze. L’“uscita”, l’apertura auspicata, l’accoglienza fiduciosa, di cui parla papa Francesco si riferisce anche alla vita consacrata e al sacerdozio, ai movimenti e alle associazioni. I giovani lo dicono a caratteri cubitali: «vogliamo una Chiesa vicina, aperta, autentica, trasparente, rispettosa delle differenze».