La domenica fra una tradizione religiosa che declina e le nuove esigenze di socialità: la difesa di un giorno di festa collettivamente condiviso riemerge in forma imprevista dalle nuove condizioni della pandemia e del mercato di lavoro.
Non è più soltanto in difesa di una tradizione religiosa e sociale, ma come una sollecitazione che è originata dai limiti di aggregazione imposti dal virus e dell’esplosione del lavoro a casa, lo smart working. Si potrebbe dire: meno messa, più lavoro e più solitudine.
A 1700 anni dal decreto di Costantino che nel 321 stabilì che il dies soli, poi diventato dies Domini, divenisse un giorno libero dal lavoro, il 3 marzo è diventato la data di riferimento per la difesa del giorno festivo.
In occasione dell’anniversario si sono rinnovate le voci sia sul versante della tradizione sia sulle nuove condizioni create dalla pandemia e dal lavoro a casa. La prima è bene espressa da un testo del presidente dei vescovi polacchi, mons. S. Gadecki, firmato con il responsabile della Commissione pastorale, mons. W. Skwore.
La seconda, da un comunicato dell’Alleanza europea della domenica, una sigla che raccoglie un centinaio di Alleanze nazionali per la domenica, Chiese, sindacati e famiglie religiose che fanno capo alla Commissione dei vescovi dell’Unione Europea (Comece).
I vescovi polacchi
I vescovi polacchi richiamano la lettera apostolica di Giovanni Paolo II (Dies Domini, 1998) e l’appello dei pastori alle diocesi polacche sul rispetto e la celebrazione della domenica del 2015. Le loro richieste si possono così sintetizzare:
- un appello alle autorità per tutelare la domenica;
- una sollecitazione dai datori di lavoro per il rispetto della santità del giorno del Signore;
- una richiesta ai lavoratori a rifiutare lavori “non necessari” la domenica e nelle feste;
- un richiamo a tutti per comprendere i benefici sociali, religiosi e familiari del rispetto dei giorni festivi;
- «chiediamo ai parlamentari di salvaguardare la stabilità della legge in vigore sulla restrizione del commercio durante la domenica, affinché sia un giorno libero dal lavoro».
«È nostro dovere difendere la natura della festa domenicale. Non possiamo accettare i dettami di varie organizzazioni e società che si occupano del commercio e di distribuzione che, spinte esclusivamente dal profitto, non tengono conto dei costi sociali che ne derivano, distruggendo un tessuto di relazioni che permette di trascorrere del tempo libero insieme e celebrare la domenica da parte delle famiglie e della società, elemento permanente della nostra identità culturale… Non dimentichiamo inoltre il comandamento di Dio, per noi obbligatorio: ricordati di santificare le feste».
I vescovi UE
L’Alleanza europea per la domenica ha pubblicato una dichiarazione il 3 marzo per sottolineare il valore del tempo libero sincronizzato in tempi di crescente digitalizzazione, un giorno di riposo collettivo protetto dalla legge.
Ha incoraggiato la Commissione europea a inserire nella proposta di direttiva comunitaria sul “diritto alla sconnessione” (a spegnere il computer per il lavoro) l’articolo secondo della Carta sociale del Consiglio d’Europa che esige «di assicurare una giornata di riposo in coincidenza, il più possibile, con il giorno della settimana riconosciuto come giorno festivo prevalente dalla tradizione e dalle usanze del paese o della regione».
La dichiarazione ricorda: «uno dei principali impatti dei blocchi durante la disastrosa pandemia di Covid-19 è stata un’accelerazione delle tendenze precedenti verso livelli crescenti di lavoro mobile da casa. In particolare, con l’ascesa del lavoro digitale, la frammentazione e la limitazione dell’orario di lavoro sono ulteriormente progredite. Lavorare la sera e durante i fine-settimanana è sempre più comune e sollecitato da molti datori di lavoro. Ciò aumenta lo stress per i lavoratori mentre influisce sul loro equilibrio di vita e lavoro. E questo compromette la salute e il benessere dei lavoratori, rendendoli non solo più fragili a lungo termine, ma causando anche sempre più spesso l’assenza dal lavoro a causa di malattie psico-sociali per periodi di tempo prolungati».
Da qui la richiesta: «un giorno intero di riposo alla settimana è indispensabile per recuperare. Un giorno di riposo comune aumenta davvero il benessere e produce un affetto positivo sulla salute».
Qui si possono collocare attività di volontariato, impegno civile, attività sociali, sportive, di fede e un tempo per la famiglia. Gli uomini sono esseri sociali e per molti la salute è legata non solo al tempo libero individuale in momenti sporadici della settimana, ma ad un giorno comune condiviso e ritmato. «Un giorno riconosciuto dalla tradizione e dall’usanza, nella maggior parte dei paesi europei, è la domenica».
L’attuale discussione sul “diritto alla sconnessione” nell’ambito dell’Unione lo richiede, come esige un giusto equilibrio fra vita professionale e vita privata, fra ambienti di lavoro sani e diritti sociali.
L’Alleanza europea della domenica chiede di recuperare l’indirizzo in merito della dichiarazione europea del 1996, invalidata (per quanto riguarda il giorno festivo domenicale) da una sentenza discutibile della Corte di giustizia, che non considerava convincente l’affermazione del giorno domenicale come giorno festivo per tutti. È invece «necessario mettere il tempo libero sincronizzato come una priorità nell’agenda della politica sociale e contribuire a rendere tangibile, visibile e apprezzato, il miglioramento della vita dei cittadini in tutta Europa».
In Italia
Un passaggio di tono percepibile anche nelle prese di posizione dei vescovi italiani: dal richiamo martiriale e di testimonianza del testo Senza domenica non possiamo vivere (2004) alla preoccupazione di giustificare l’assenza di celebrazioni o la loro restrizione nel corso della pandemia.
Il titolo del documento del 2004 non è uno slogan, è la testimonianza di fedeltà alla domenica dei 49 martiri di Abitène, una località dell’attuale Tunisia, che nel 304 hanno preferito, «contravvenendo ai divieti dell’imperatore Diocleziano, andare incontro alla morte piuttosto che rinunciare a celebrare il giorno del Signore. Erano consapevoli che la loro identità e la loro stessa vita cristiana si basava sul ritrovarsi in assemblea per celebrare l’eucaristia nel giorno memoriale della risurrezione».
Il 27 febbraio del 2020 i vescovo lombardi, ad esempio, scrivono: «“Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore”. Questo grido dei 49 cristiani che sono stati martirizzati ad Abitène nel 304 ritorna questa nostra domenica in cui noi vescovi, sacerdoti e fedeli delle Chiese lombarde non possiamo celebrare comunitariamente l’eucaristia domenicale.
Vivere il giorno del Signore in assenza della celebrazione eucaristica è un vuoto e una privazione che tutti noi sentiamo con sofferenza. Oggi, però, non è la persecuzione che proibisce l’eucaristia, ma la sollecitudine per la salute di tutti gli abitanti della regione quella che invita tutti noi ad astenerci dalle assemblee eucaristiche».
Qualche mese dopo (novembre 2020) il Consiglio permanente della Conferenza episcopale può scrivere: «Anche le liturgie e gli incontri comunitari sono soggetti a una cura particolare e alla prudenza. Questo, però, non deve scoraggiarci: in questi mesi è apparso chiaro come sia possibile celebrare nelle comunità in condizioni di sicurezza, nella piena osservanza delle norme. Le ristrettezze possono diventare un’opportunità per accrescere e qualificare i momenti di preghiera nella Chiesa domestica».
Un esempio in cui le novità storico-civili rilanciano una discussione tradizionale sul ruolo del giorno della domenica in termini nuovi e per esigenze condivise.