Risale al 1999 la nota con la quale gli arcivescovi e i vescovi dell’Emilia-Romagna dettavano le norme per applicare il direttorio Christi Ecclesia (2 giugno 1988), il documento della Congregazione vaticana per il culto sulla celebrazione domenicale in assenza del presbitero. In questi 16 anni sono mutate le situazioni nella vita sociale ed ecclesiale delle nostre comunità.
Prima di offrire degli Orientamenti pastorali, la nota degli arcivescovi e dei vescovi della Regione Flaminia richiama i principi presenti in alcuni documenti magisteriali riguardanti la parrocchia oggi e il rapporto che intercorre tra la parrocchia e l’eucaristia nel giorno del Signore.
I vescovi italiani, riflettendo sulla presenza della Chiesa nel territorio, invitavano ad un «profondo ripensamento», nella consapevolezza «che è finito il tempo della parrocchia autosufficiente» e che doveva nascere «un nuovo modo di fare pastorale». Il Vaticano II, riguardo alla celebrazione eucaristica domenicale, ricordava che «non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della santissima eucaristia».
I criteri suggeriti
Guardando la situazione concreta delle diocesi, affiorano molte differenze (città, campagna e Appennino; consistenza numerica delle comunità e loro frazionamento; presenza e consistenza dei ministeri…), per cui non è possibile una ricetta valida per tutti, ma occorre – si legge nella nota – «un discernimento di tipo sinodale».
Sempre la nota, prima di parlare di celebrazione domenicale in assenza del presbitero (il testo preferisce parlare di «Liturgia della Parola con la comunione»), suggerisce alcuni criteri. Li sintetizziamo nei seguenti nove passaggi:
- si riveda il numero e gli orari delle messe,
- si richiami periodicamente nell’omelia il legame tra domenica, eucaristia, vita della comunità e presidenza del presbitero,
- si individui in ogni zona una chiesa facilmente raggiungibile anche dalle comunità che non hanno la messa ogni domenica, dove celebrare l’eucaristia festiva,
- si stabilisca una turnazione fra le parrocchie che non hanno più la messa festiva,
- quando la messa è anticipata al sabato, non si celebrino più messe nella stessa chiesa,
- non si celebri nella stessa chiesa la messa domenicale e la Liturgia della parola con la comunione,
- in occasioni particolari (triduo pasquale, festa patronale…) si invitino i fedeli delle parrocchie della stessa zona a radunarsi in un’unica chiesa come segno visibile di comunione,
- per favorire la partecipazione all’eucaristia domenicale, si curi il trasporto delle persone anziane e sole,
- se anziani e ammalati sono impossibilitati a partecipare, i diaconi o i ministri straordinari portino loro il pane eucaristico, invitandoli a seguire la messa alla televisione o alla radio.
Norme per la celebrazione
Come comportarsi quando realisticamente si scopre che l’unica prassi percorribile è la Liturgia della parola con la comunione? La nota fornisce sinteticamente otto indicazioni:
- si verifichi che le distanze per raggiungere il luogo della celebrazione domenicale siano davvero proibitive,
- si eviti che i fedeli facciano confusione tra l’eucaristia festiva e la Liturgia della parola con la comunione o che ci si abitui a ritenere normale questa seconda forma,
- si vigili perché l’assenza del presbitero non svilisca il suo ministero per la vita della Chiesa,
- quando ci si raduna per la Liturgia della parola con la comunione, ci si preoccupi che ci sia un «minimo di comunità radunata» e si favorisca la partecipazione attiva dei fedeli,
- in queste celebrazioni si preghi sempre per le vocazioni al presbiterato,
- la celebrazione sia presieduta da un diacono o da un ministro o da un animatore espressamente incaricato dal vescovo,
- nella celebrazione si proclamino le letture espressamente previste dal Lezionario per quella domenica,
- la struttura della celebrazione si «distingua chiaramente da quella della messa» e rispetti le peculiarità dei tempi liturgici.
Considerazioni finali
E, dopo la normativa, la nota si sofferma su due raccomandazioni.
La prima è per esortare che le comunità – anche se la loro preoccupazione riguarda in particolare la domenica – si raccolgano in chiesa anche durante la settimana. Ci sono infatti molte pratiche (liturgia delle ore, lectio divina, rosario, via crucis…) che possono nutrire la spiritualità del cristiano.
La seconda riguarda l’apertura della chiesa di domenica anche là dove il parroco non è residente, e questo come manifestazione della cura che la comunità dimostra verso quell’edificio e per tener vivo il legame con le generazioni che hanno vissuto la loro fede in quel territorio.
La nota, più che mostrarsi preoccupata per possibili abusi, sembra prendere atto con realismo di tante piccole comunità che, senza questa prudente apertura, sarebbero private dell’incontro domenicale con la Parola e con l’eucaristia.
Ammiro sempre più la qualità e la tempestività di questo nostro giornale ormai. purtroppo, non più cartaceo.
Lo ritengo necessario alla formazione dei preti e delle loro comunità.
Sono un prete anziano dopo aver trascorso una vita come padre spirituale nel seminario di Milano.
Come posso inviare un contributo?
Grazie