«È urgente discernere e trovare il battito dello Spirito per dare impulso, insieme ad altri, a dinamiche che possano testimoniare e canalizzare la vita nuova che il Signore vuole generare in questo momento concreto della storia. Questo è il tempo favorevole del Signore, che ci chiede di non conformarci né accontentarci, e tanto meno di giustificarci con logiche sostitutive o palliative, che impediscono di sostenere l’impatto e le gravi conseguenze di ciò che stiamo vivendo. Questo è il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci. Lo Spirito, che non si lascia rinchiudere né strumentalizzare con schemi, modalità e strutture fisse o caduche, ci propone di unirci al suo movimento capace di “fare nuove tutte le cose” (Ap 21,5)».[1]
Altre forme celebrative
Mi lascio ispirare da queste parole di papa Francesco e torno sul tema della celebrazione. Va bene è andata così: dopo un lungo tempo di sospensione delle celebrazioni eucaristiche comunitarie, abbiamo ripreso a celebrare con il popolo di Dio. Rifletto però sulla precipitosità di questo ricominciamento. Era davvero necessario ora e in questo modo? Non è che, nel frattempo, l’atto celebrativo della fede si fosse del tutto interrotto.
Altre forme celebrative, nel frattempo, avevano e hanno preso forma. Penso alle celebrazioni domestiche, ad un maggiore ascolto della Parola, al rosario, alla preghiera in tutte le sue variegate manifestazioni. La messa è il centro, ma non nel senso di essere l’unica forma celebrativa che ingloba e sostituisce le altre.
Faccio un esempio: conosco una comunità contemplativa che, nell’impossibilità di celebrare l’eucaristia, ha celebrato tutti i giorni una liturgia della Parola nella quale poi le sorelle vivevano un momento di silenzio e meditazione condivisa e un tempo di risonanza comunitaria. A detta di molte uno dei frutti più importanti di questo tempo di digiuno eucaristico! Ora la ripresa della messa quotidiana finirà per sostituire quella forma celebrativa della Parola che era stata così preziosa.
Tutto come prima?
Mi pare che qualcosa del genere stia succedendo nelle nostre parrocchie. Le chiese vuote[2] potevano essere un segno e non solo un incidente accidentale. Un vuoto che, come ogni mancanza, è capace di accendere il desiderio, di aprire varchi alla parola. Un vuoto che non va subito colmato, saturato, perché ci parla.
Ho come l’impressione che questo ritorno repentino alla celebrazione abbia funzionato come un meccanismo di saturazione compensativa. Adesso «tutto torna come prima», come se prima andasse tutto bene, come se questa frattura fosse solo da dimenticare. Non l’abbiamo interrogata, non l’abbiamo fatta parlare abbastanza, e invece aveva qualcosa da dirci.
Ci stiamo comportando come il bambino che ha fame e non sopporta la dilazione della soddisfazione delle sue necessità immediate. Eppure, nella cura, quella dilazione della soddisfazione è il motore del desiderio e della relazione: apre il tempo della parola. La madre prima di offrire il seno parla, perché il bambino prima di ciucciare possa parlare e riconoscere nel cibo il donatore, e rivolgergli la parola che lo nutre come e più del latte.
Fuor di metafora mi chiedo: la ripresa repentina e accelerata di tutte le celebrazioni che segno è? Forse il segno che non reggevamo il vuoto. Molti fedeli, ma io credo soprattutto molti preti, non reggevano il vuoto, perché non sembrava loro possibile altro che quello: la messa. Nelle pratiche pastorali la celebrazione della messa è stata in grado di assorbire ogni forma di celebrazione della fede.
Qui occorre – credo – fare una distinzione tra la celebrazione dell’eucaristia domenicale, memoriale della Pasqua origine di ogni celebrazione, e la celebrazione feriale. Mi domando: era necessario riprendere anche la celebrazione feriale, tutti i giorni sempre e solo la messa? In questi giorni di digiuno, di vuoto, si sono aperti nuovi spazi di celebrazione che potrebbero essere valorizzati e che credo invece rischino di venire azzerati dal ritorno del medesimo, dal «tutto come prima».
Una delle fatiche della ripresa è proprio questo: nel tempo dell’emergenza non è che le pratiche pastorali si siano fermate, anzi si sono per certi versi innovate. Ma se ora riprendiamo «tutto come prima», non possiamo pensare di aggiungere semplicemente il nuovo al vecchio.
Uno spazio per l’immaginazione
Qui ci sarebbe lo spazio per una immaginazione. Dobbiamo ogni giorno celebrare sempre e solo la messa? E perché non pensare ad una scansione diversa del ritmo celebrativo? Quello che non può mancare è la Parola, che la liturgia con una sua sapienza, distribuisce lungo il tempo, festivo e feriale.
Ma perché non pensare che lungo la settimana in alcuni giorni si celebra con l’eucaristia, in uno con il rosario (sempre alla luce della Parola quotidiana, facendo del rosario una pratica meditativa, di risonanza quella Parola), e in uno con una celebrazione penitenziale (la liturgia ambrosiana conosce il venerdì di quaresima a-liturgico, senza messa che potrebbe essere ampliato, sempre con il filo rosso della Parola del giorno).
Questo aprirebbe lo spazio per forme diverse di presidenza: se la messa viene sempre presieduta dal presbitero, le altre celebrazioni potrebbero venir presiedute da altre figure significative delle comunità. Questo permetterebbe di declericalizzare il culto e la celebrazione e di far emergere carismi che certamente saranno necessari per il tempo a venire.
So di stare sognando ad occhi aperti. L’inerzia del «tutto come prima» è così forte che sarà impossibile. Ma forse avremo perso l’occasione di vivere la crisi come generativa, una «frattura instauratrice» (Michel de Certeau). Avremo ceduto a logiche «sostitutive e palliative» come dice papa Francesco. Il vino nuovo chiede botti nuove.
[1]https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-04/il-coraggio-di-una-nuova-immaginazione-del-possibile.html
[2]Cf. Tomáš Halík, “Il segno delle chiese vuote. Per una ripartenza del cristianesimo”, Vita e Pensiero e-book.
Condividendo appieno i sogni ad occhi aperti (che sono i sogni di Papa Francesco nell’ultimo capitolo di Querida Amazonia) esprimo una riflessione dal punto di vista femminile, di moglie e mamma. Prima del Coronavirus partecipavo alla messa quotidiana, e alla domenica andavo con la famiglia. Da tempo però la vivevo con fatica, per lo stato di “decadenza” della celebrazione eucaristica a cui si era giunti nella mia parrocchia, per cui mi è sembrata un’occasione d’oro l’interruzione forzata, una vera e propria opportunità, come l’ha descritta Papa Francesco. Le Messe sul divano davanti alla TV, nel silenzio dell’ascolto e nella partecipazione “orante” sono stati preziosissimi momenti famigliari. E così la preghiera del 27 marzo del Papa, o la Via Crucis in Piazza San Pietro (al “posto” della “consueta” processione per il paese). Il giovedì Santo è stato per me la prima “partecipazione” alla Cena “col Signore” a tavola con noi: il “rito” si è svolto a tavola, mangiando insieme il pane fatto in casa, e conversando amabilmente fra noi. Io e mio marito abbiamo richiamato ai figli il nostro Sacramento, il Matrimonio, e questo ha avvolto semplicemente i normali gesti della cena. E’ stato molto diverso dal “solito” (cena di corsa per andare in Chiesa, alla Messa con la lavanda dei piedi ai bambini della Prima Comunione, con fotografi e mamme indaffarate ad aiutare, confusione su confusione…). Ho vissuto (e sto tuttora vivendo) il digiuno eucaristico accogliendone e leggendone immensi “annunci”, come tempo di Grazia, o addirittura di “Beatitudine” (degli affamati e assetati di giustizia). Questa specie di “bulimia eucaristica” espressa dai Vescovi e da molti preti, mi rende oltremodo perplessa. No, io e la mia famiglia non riusciremo a vivere la Messa come esperienza di Comunione nell’Unico Pane, nell’Unica Parola, in presenza di barriere così evidenti, di mascherine, distanze, sguardi sospettosi, disinfettanti, guanti… e di preti affamati di numeri, visibilità, e “potere” del loro ruolo. Confido nell’opera dello Spirito Santo, che sicuramente ispirerà nuove azioni… perchè quelle “vecchie” imploderanno su loro stesse. E se fossero (anche e finalmente) le donne i nuovi canali dello Spirito?
Mi stimola la riflessione, ma mi rendo conto della ‘realtà’, del materiale umano di cui concretamente si dispone… si tratta di portare avanti un lungo lavoro. Io penso, e parlo della mia esperienza ‘locale’, che la prima ‘conversione’ sia la capacità di garantire continuità pastorale in un contesto di mobilità pastorale eccessiva. Se ogni volta bisogna demolire per ricostruire a propria immagine non si va molto lontano… Quindi, trovato un ‘percorso condiviso’ (che non è uniformità) si può pensare di educare all’ascolto, all’adorazione, alla lode, ad altre esperienze di preghiera che abbia come ‘vertice’ la celebrazione dell’Eucaristia… Solo qualche decennio fa i vescovi parlavano di comunità battesimale e comunità eucaristica segnando una linea di demarcazione tra cristiani… oggi il linguaggio pare obsoleto, ma la realtà dice altro. Come ri-evangelizzare una massa di cattolici che fatica a credere e a vivere la fede? Se è una ‘sconfitta’ il ‘tutto come prima’ è ardito e rischia di demolire quel ‘poco’ il ‘tutto nuovo’… Penso al rinnovamento del post-concilio: è stata demolita una struttura per discutibile ma non è stato ricostruito nulla o poco, senz’altro molto meno di quello che c’era al punto che alla fine è rimasta solo la ‘messetta’ che tanto ha fatto sentire solo qualcuno – anche in alto loco – in questo tempo di prova… Comunque, la Messa è ascolto della Parola oltre che comunione al pane di vita. Allora, coraggio coniugato con pazienza: la pazienza di Dio che ci permetta di maturare percorsi e progetti autenticamente ispirati dallo Spirito Santo…
Domande a Galli della Loggia sulla cultura della classe dirigente
Caro don Antonio anch’io riconosco gli stimoli che spesso offri però non capisco due cose. La prima: da cosa puoi die che la ripresa è repentina? Anzi “troppo repentina”? Hai ragione, e anch’io ho cercato di fare così, quando dici che questa situazione ci ha obbligato a riscoprire altre forme di preghiera e che ha fatto nascere un desiderio differente …ma, e ritorno , perché sarebbe troppo repentino il ritorno? Quando non sarebbe più repentino?
Forse si tratta di riprendere con i consigli pastorali ciò che abbiamo vissuto e cercare di farne una lettura più sapiente.
La seconda. Non sono storico ne biblista ne teologò … però credo che l’unica alternativa alla messa quotidiana sia la lectio divina. … o sbaglio?
Caro Don Antonio, i tuoi scritti sono sempre stimolanti, ma stavolta questo, mi ha messo in crisi, mettendo in luce quanto l’abitudine, non ci aiuta per nulla ad essere coerenti, con delle scelte prese autonomamente e che pensavo fosse frutto della mia maturità umano-spirituale. Ho trascorso tutto il tempo del coronavirus nutrito solamente alla mensa della Parola, come era per il popolo di Dio che era fuori dalla chiesa/cappella dove i suoi ministri concelebravano. E per la verità mi ha aiutato moltissimo. E per usare un’immagine pasquale, quel nutrimento quotidiano mi ha reso consapevole che Qualcuno ha rimosso quella pietra che mi teneva chiuso nel sepolcro, trattenuto da quello che posso definire il “mio” demone … Uscito all’aria aperta ho cercato di cooperare e continuo a camminare… Le bende sono state sciolte e mi sembra di aver capito cosa vuol dire risorgere, anche se sono consapevole che non ancora la resurrezione finale … Ed il 18 scorso, entrati nella fase due, mi sono subito precipitato … come si faceva una volta!!! Grazie Don Antonio della tua correzione fraterna. Che Dio continui ad essere ispiratore non solo della nostra chiesa ambrosiana, ma di quella più vasta la Chiesa di Dio che è in Italia che arrivi a diventare una chiesa veramente ed autenticamente sinodale. Fraternamente p. Giovanni B.