Non si contano più le volte nelle quali papa Francesco parla dello “sguardo” in contesto spirituale e pastorale: lo ha fatto, specie i primi anni del pontificato, nelle udienze del mercoledì e negli Angelus. È un tema che egli svolge in tanti modi. Forse la modulazione più articolata la troviamo nella lontana meditazione mattutina tenuta nella Cappella della Domus Sanctae Marthae il 21 settembre del 2013.
Lì papa Francesco ha sottolineato il potere degli sguardi di Gesù, capaci di cambiare per sempre la vita di coloro sui quali si posano. Commentando l’incontro di Gesù con Matteo, afferma: «Appena sentito nel suo cuore quello sguardo, egli si alzò e lo seguì». E fa notare che «lo sguardo di Gesù ci alza sempre; ci porta su», ci solleva; mai ci «lascia lì» dov’eravamo prima d’incontrarlo, né toglie qualcosa a colui sul quale si posa il suo sguardo: «Mai ti abbassa, mai ti umilia, ti invita ad alzarti». E conclude raccomandando di «… lasciarci guardare da lui».
Altra volta papa Francesco parla dello sguardo che occorre fissare su Gesù. Dunque, egli compone un andirivieni: dal passivo lasciarsi guardare da Gesù occorre passare all’attivo guardare Gesù.
Così, nella meditazione mattutina in Santa Marta del 3 febbraio 2015 raccomanda di leggere ogni giorno una pagina del Vangelo per «dieci, quindici minuti e non di più», tenendo «fisso lo sguardo su Gesù» per «immaginarmi nella scena e parlare con lui, come mi viene dal cuore» e conclude dicendo: queste sono le caratteristiche della «preghiera di contemplazione», vera sorgente di speranza per la nostra vita.
Evidentemente, non ogni sguardo è così significativo; lo è indubbiamente quello non superficiale, ma tale da mirare alla persona: «quando aiutate gli altri, li guardate negli occhi?», si chiede. Questo è uno sguardo che impegna il volto; in cuore e il volto, infatti, sono posti, nell’uomo, in un forte collegamento spirituale fra di loro. Il cuore è nascosto e il volto è visibile ed esposto, ed è proprio per queste due qualità opposte che il loro legame risulta necessario e intrigante. Intanto, soprattutto l’occhio e il cuore si richiamano a vicenda: sono reciproci e interdipendenti.
L’importanza dello sguardo cordiale
Nella Scrittura troviamo un singolare legame tra cuore e volto (occhio): è il filo chiarissimo della semplicità e quello della bellezza. Il cuore dà lucentezza e trasparenza allo sguardo: lo rende sottile, acuto, penetrante, bello; probabilmente, acuisce la vista, rischiara l’orizzonte, illumina e fa vedere bello ciò e chi è guardato.
Rovesciando i termini di queste considerazioni, appare ancora più decisiva la forza purificatrice, rischiaratrice, abbellitrice del cuore nel guardare dell’uomo: è il cuore che si fa volto e occhio; è il cuore che trasferisce la sua bellezza sul volto e sull’occhio: si ricordi che il volto per i neoebraici e per il nostro don Italo Mancini è l’uomo intero.
Il vero dialogo nasce dall’essere guardati e dal riguardare evidentemente con l’implicazione del cuore: «Quando gli occhi e la mente sono guidati e animati dal cuore, allora lo sguardo si fa luminoso e penetrante come una lama di coltello e focalizza l’obiettivo in modo perfetto con contorni nitidi e colori genuini, senza pericolo di alterazione alcuna».
È rimasta celebre la raccomandazione che la volpe fa al piccolo principe per ricompensarlo dell’amicizia: «“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. “L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe per ricordarselo. […] “Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare”».
Il volto come lo specchio del cuore; anzi il cuore fa il volto, poiché lo forma: «Il cuore dell’uomo modella il suo volto, in bene e in male» (Sir 13,25). Sul volto si mostra la bellezza dell’anima e anche il suo contrario. La bellezza nasce dal cuore dell’uomo: un’interpretazione affatto dubitativa è che la bellezza nasce dall’intimo desiderio dell’uomo, ossia dal cuore come simbolo dell’interiorità dal quale ogni desiderio nasce e si esprime, perciò anche quello della bellezza. Questo significa che la bellezza nasce e rinasce, si rinnova continuamente.
Una proposta: uno sguardo nuovo sull’uomo contemporaneo
L’uomo contemporaneo è quello che è, come il mondo, in cui egli vive il suo “mistero”, è anch’esso quello che è. Serve uno sguardo prospettico. Dopo tutto quello che s’è detto sulle caratteristiche dell’uomo contemporaneo, sulle sue carenze, sui suoi abbandoni, sui suoi smarrimenti, forse è il caso di fare una considerazione sul come vedere e interpretare il difficile corredo del nostro tempo. Per esprimere tale urgenza, si potrebbe usare il titolo di un libro d’un famoso critico d’arte, John Berger, che recita proprio così: È questione di sguardi (Il Saggiatore, Milano 2009): si aggiunge solo “anche” per dire subito che, nei discorsi che sono stati affrontati sul tempo e sull’uomo d’oggi non c’entra solo lo sguardo.
Tuttavia, per guardare l’uomo contemporaneo che abita un tempo singolare e complesso, occorre adottare uno sguardo prospettico, ossia l’arte di disporre lo sguardo in modo nuovo, aggiungendo alle due dimensioni piatte (l’orizzontale e la verticale) una terza, quella della “profondità”. Quest’aggiunta ha costituito la rivoluzione che è avvenuta nella pittura da oltre cinque secoli. «L’avvento della prospettiva – scrive – è penetrare la terra, contemplarla come l’essere umano la vede, decide di abitarla meritevolmente, ma in armonia, poeticamente, con lo sguardo degli altri mortali».
L’applicazione della prospettiva allo sguardo è uno dei perspicaci pensieri con cui Barbara Spinelli introduce il piccolo libro di un monaco italiano che si pone il problema di adottare uno «sguardo cristiano» per guardare l’uomo contemporaneo e che, fra l’altro afferma: «Non si tratta di studiarlo, l’uomo di oggi, come da incuriosita sapienza antropologica. Si tratta di chiedersi: che sguardo posso, debbo avere, su quelle che chiamiamo malattie del secolo…».
Lo sguardo prospettico non è uno sguardo truccato con cui, mediante posizioni artefatte, si vede l’uomo contemporaneo solo dai lati belli, sorpassando difetti e deformità. Lo sguardo prospettico non evita né il discernimento severo né l’eventuale necessaria riprovazione: è uno sguardo veritiero e affidabile.
Guardare l’uomo del nostro tempo con occhi cristiano-mariani
Con l’affermazione già fatta, che è anche questione di sguardi, sono sottintese due negazioni: che non basta descrivere chi sia e come sia malridotto l’uomo contemporaneo e che la prima cosa da fare non è giudicare e condannare l’uomo contemporaneo, ma, prima, inoltrarci a dire sullo “sguardo cristiano” da volgere su di lui; fra l’altro, va avvertito che noi rischiamo di estraniarci da lui se dimentichiamo che quell’uomo è ciascuno di noi e che il post-moderno, in cui egli vive, è il nostro tempo e che perciò de re nostra agitur.
1) Non aver paura («Non sgomentatevi…»). È in riferimento al proprio tempo che non bisogna aver paura, ma essere oggettivi, critici, prudenti, pacati, benevoli, miti. La paura non vinta non fa indovinare la giusta distanza, la giusta visione, le giuste parole, il giusto giudizio e, perciò, crea aggressività: il proprio tempo non va aggredito mai… Giustificate il vostro sperare dice san Pietro nella sua Prima Lettera («… pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza…»: 3,15-16): si tratta di ricercare incessantemente i motivi per credere e sperare e mostrarli testimonialmente, ricordando che l’evangelo è sempre più grande dei discepoli che lo accolgono e lo diffondono.
2) Praticare la mitezza («con dolcezza e rispetto…»): si richiede pertanto l’attenzione all’altro, il rispetto, la benevolenza. «Il cuore del cristianesimo è scoprire la misericordia di Dio, viverla e riviverla. Ecco un altro esempio dell’atteggiamento cristiano dinanzi all’uomo contemporaneo: comunicare speranza, incoraggiare a vivere».