Intervista a don Antonio Guarnieri, parroco di Nembro – paese della bergamasca che fu tra i più drammaticamente colpiti durante la prima ondata della pandemia.
- Dopo i drammatici mesi dell’inverno e della primavera scorsa – di cui ci aveva detto – qual è ora lo stato della pandemia nel bergamasco e a Nembro in particolare?
So che negli ospedali bergamaschi stanno arrivando pazienti dal milanese. In questo momento non sto avvertendo tra la popolazione una emergenza sanitaria paragonabile a quella di allora, anche se naturalmente c’è molta apprensione. La nostra gente – dopo l’esperienza fatta – è molto prudente e attenta a prevenire l’infezione, ma non è paralizzata dalla paura. In fondo non lo è mai stata.
I sentimenti vissuti nei mesi tra febbraio e aprile sono ancora ben presenti in noi. Nella festa di tutti i Santi abbiamo ricordato 230 persone decedute nell’anno (su circa 12.000 abitanti della parrocchia): circa il doppio dell’anno precedente. Il tributo pagato all’epidemia è stato evidentemente molto alto. Ero arrivato a contare sino a 8-9 defunti al giorno. Oggi – e da 15 giorni – non stiamo celebrando funerali. Questo di per sé è un buon segno. Naturalmente nulla sappiamo di ciò che sarà.
- Aveva scritto di una riflessione pastorale necessaria dopo un accadimento di tale intensità. Come è ripartita la parrocchia?
Ad agosto-settembre, quando ancora non potevamo prevedere un nuovo colpo, ci siamo detti di voler ripartire bene. Ho invitato tutti – i miei confratelli e i laici – a ridarci slancio ed entusiasmo da cristiani. Certamente nel rispetto di tutte le regole, ma col chiaro desiderio di far avvertire che la Chiesa è viva, non è morta ed ha una gran voglia di stare in mezzo alla gente. Ho avvertito infatti più di tutto il pericolo di lasciarci scoraggiare e di lasciarci andare al sentimento della inutilità. Non può essere così: non possiamo in alcun modo rinunciare ad annunciare il Vangelo, ossia una notizia molto buona, “utile”, a tutti.
Abbiamo costruito un nuovo calendario di attività badando all’essenziale, ma senza rinunciare a nulla di ciò che abbiamo ritenuto tale. Ed essenziale è farci sentire presenti come Chiesa, come comunità cristiana, dalle persone, dalle famiglie, prestando attenzione a loro stessi e avendo cura della loro formazione cristiana. Ci sta molto a cuore la catechesi degli adulti e perciò ci siamo organizzati – con prudenza ma anche con determinazione – confidando di riuscire sino in fondo nei nostri propositi.
Abbiamo, ad esempio, iniziato l’anno pastorale con tre incontri sul “sentirci cristiani nel nostro tempo”. Potendo contare su 6-7 chiese e quindi su ampi spazi, stiamo aggregando gruppi in grado di rispettare le norme di distanziamento e il numero massimo di persone partecipanti agli incontri. Stiamo facendo questi incontri e li faremo sinché si potrà.
Con una certa, bella, sorpresa vediamo che le nostre eucaristie non hanno conosciuto flessioni di partecipazione rispetto al periodo precedente la chiusura. Anzi! Anche per questo ci siamo organizzati a dovere. Io stesso mi sto chiedendo perché questo stia accadendo con una facilità inaspettata. La mia risposta è che c’era a Nembro una comunità cristiana, una Chiesa: c’è ancora nonostante quel che è accaduto! Anzi, c’è un senso di comunità rinnovato da quanto è accaduto. La gente ha proprio bisogno di ritrovarsi, di sentirsi parte, di poter contare su una comunità.
Avendo a disposizione una chiesa parrocchiale molto ampia, non abbiamo tolto nulla neppure alle nostre liturgie (nel rispetto delle norme): ci sono due cori che cantano e che animano le celebrazioni col distanziamento e ci sono i laici sul presbiterio per leggere e per svolgere il servizio.
Chiaramente abbiamo dovuto ridurre le circostanze complessive di incontro in presenza con i ragazzi, ma senza rinunciarvi totalmente. Teniamo ogni Domenica incontri a rotazione dei vari gruppi perché, almeno una volta al mese, si incontrino. I catechisti intrattengono poi frequenti contatti online. Quel che mi preme evidenziare è che, in coincidenza di ogni incontro in presenza dei ragazzi, avviene un incontro in presenza dei loro genitori, con successiva messa “fuori orario” per genitori e figli insieme. Questo perché abbiamo considerato, appunto, quanto sia importante coltivare il senso di appartenenza alla comunità cristiana, innanzi tutto.
- La volta scorsa la sua testimonianza ha riguardato soprattutto i malati, gli anziani, le famiglie dei defunti: cosa sta facendo la parrocchia per queste persone?
Già dall’inizio dell’estate abbiamo cercato di incontrare tutte le famiglie, in specie quelle che hanno avuto dei lutti nelle circostanze drammatiche di isolamento e di solitudine di cui avevo scritto. Abbiamo organizzato i nostri incontri all’aperto, in piazza, visto che non si poteva fare diversamente. La gente è venuta. Così ogni persona ha potuto di nuovo avvertire la presenza e la partecipazione della Chiesa al loro lutto.
La linea pastorale – se così si può dire – è dunque offrire la presenza della Chiesa, donare la nostra semplice presenza, sinché possibile e sin dove possibile. Con i confratelli sto continuando la visita ai malati nelle loro case. Abbiamo circa una ottantina di malati anziani nella nostra parrocchia. Li andiamo a trovare mensilmente, portiamo la comunione e ci fermiamo a fare due parole con coloro, ovviamente se lo vogliono e se i parenti non hanno troppa paura del contagio. Usiamo tutte le precauzioni.
Posso testimoniare la grande gioia che queste persone manifestano quando ricevono la nostra visita. Una tale gioia conferma che è proprio questo che la gente aspetta: la prossimità. Possiamo rinunciare ad altre cose, ma non a questo. Spero pertanto ardentemente che non si debba giocoforza ritornare alle telefonate e alle video-chiamate. Se necessario ovviamente lo faremo. Non vorrei tuttavia rinunciare a partecipare una così grande gioia “di persona”.
- Da Nembro, nei mesi scorsi, ci è stata testimoniata pure una grande mobilitazione di carità: c’è ancora?
La Caritas è stata molto importante nel periodo di chiusura nelle case per sentirci comunque una comunità, specie per le persone in maggiore difficoltà sociale e soprattutto per raggiungere, con i generi alimentari, le persone sole isolate nelle loro case. Ora la Caritas continua ad essere importante nel coordinamento degli interventi del Centro di ascolto delle povertà, della San Vincenzo e del Centro femminile. Grazie a Dio qui a nessuno viene a mancare il necessario per vivere.
- In Lombardia e in tutto il nord-ovest dell’Italia la condizione pandemica sembra di nuovo precipitare e presto scatteranno le nuove misure di limitazione; quali saranno le conseguenze in parrocchia?
Non so come andrà. So che nella nostra comunità abbiamo entusiasmo cristiano e che non abbiamo intenzione di disperderlo. Come detto, faccio di tutto per alimentare l’entusiasmo. Ci siamo preparati e ci stiamo preparando poi con tutte le norme.
Posso solo dire di aver capito meglio – ovviamente non da solo ma con i confratelli e i parrocchiani – qual è la parrocchia e la Chiesa che desideriamo: una Chiesa vicina alla gente, che ha cura dei rapporti personali e comunitari, una Chiesa attenta ai bisogni e desiderosa di annunciare il Vangelo, ossia la parola umana e divina di Gesù rivolta a tutti.