Pastorale: cambiare, ma come?

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Abbiamo vissuto con angoscia l’esperienza della pandemia. Un fatto che avremmo dovuto trasformare in un evento, in un kairòs, perché era l’occasione buona per sganciarci da una prassi che da decenni i vescovi ci chiedono di rinnovare ma che poi, loro stessi, i vescovi, sono i primi a perpetuare lasciando il cambiamento sulla carta dei loro non sempre stimolanti documenti.

Non era allora il caso, ad esempio, di fermarci per verificare che cosa ne è stato di questa citazione presa da uno dei loro documenti? Siamo nel 2004 e il documento è Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia:

Nella vita delle nostre comunità deve esserci un solo desiderio: che tutti conoscano Cristo, che lo scoprano per la prima volta o lo riscoprano se ne hanno perduto memoria; per fare esperienza del suo amore nella fraternità dei suoi discepoli. Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società (n. 1).

Cambiamento … numerico

Ho citato un documento del 2004. Ma ne ho presente un altro a cui rimando e che, a mio modo di vedere, è uno dei documenti profetici ispirati dal Concilio Vaticano II e che andrebbe riletto e meditato per fare un doveroso esame di coscienza. Si tratta di Vivere la fede oggi e siamo nel 1971.

Nessuno può onestamente affermare che da allora – sono passati più di 50 anni – qualcosa sia cambiato. O meglio: il cambiamento c’è stato, ma solo a livello numerico. Nel tempo, infatti, si è assottigliato il numero di coloro che chiedono di celebrare i sacramenti ed è aumentato il numero di coloro che, pur avendo ricevuto il battesimo, decidono di vivere la loro vita senza alcun riferimento alla Chiesa, di cui, essendo battezzati, dovrebbero far parte.

Per la verità non si può negare che, in questo tempo, sono nate esperienze ecclesiali significative ed è aumentato il numero di persone che sentono il bisogno di approfondire la loro fede attraverso la lettura e la meditazione sistematica della Bibbia. Ma sono per lo più esperienze di nicchia che, per molteplici ragioni, poco incidono per il rinnovamento del popolo di Dio e, in non pochi casi, tendono più che ad animare la sua vita, a clonare sé stesse.

Ma il fatto più sconcertante che abbiamo visto realizzarsi in questi anni è stato quello di aver dato credibilità a quanti si sono buttati a capofitto nella difesa dei cosiddetti valori non negoziabili per puro calcolo e interesse politico senza un minimo di decenza e di pudore rispetto alla loro mancanza di coerenza. Basti pensare alla strumentalizzazione del tema famiglia.

Un altro aspetto, anch’esso piuttosto sconcertante, è ciò che è avvenuto e sta avvenendo con il drammatico fenomeno della migrazione. Nessuno può negare che sia un immenso problema che interpella la società e la politica e nessuno può proporsi come chi ha la ricetta giusta per affrontarlo. Ma nessuno può dimenticare che i criteri di valutazione di un cristiano hanno il loro fondamento nel vangelo che non lascia alcun dubbio su come si debba guardare lo straniero che bussa alle porte delle nostre case.

Sorprende come una percentuale altissima di sedicenti cristiani lo dimentichino e si lascino ammaliare da proposte socio-politiche e culturali che hanno il sapore della xenofobia e del razzismo. E, fatto ancora più grave, è che coloro che le propongono si spacciano anche loro come cattolici e non esitano a sbandierare pubblicamente simboli cristiani per dare forza ai loro ragionamenti senza che ci sia stato un coro unanime da parte della Chiesa italiana per dire chiaramente che Lui, Gesù, ragiona in un altro modo e che si è cristiani quando i suoi pensieri diventano i nostri.

Il sarto e il guardaroba

La faccenda è seria e io credo che sia arrivato il momento di scegliere se vogliamo continuare a proclamare la necessità del rinnovamento pensando di poterlo attuare con qualche toppa su un vestito logoro o se invece vogliamo finalmente cambiare vestito come raccomanda Gesù: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore» (Mt 9,16).

Il sarto c’è e il guardaroba è ben fornito: il sarto si chiama Gesù e il guardaroba che ci mette a disposizione è il suo vangelo. E io credo che, se vogliamo rinnovare la Chiesa veramente e seminare il futuro, dobbiamo avere l’umiltà e il coraggio di farci dire da Lui, Gesù, in che modo farlo.

Non credo che Gesù ci direbbe qualcosa di diverso da ciò che ha detto quando ha pensato e voluto costituire la sua Chiesa: «convertitevi», «seguitemi», «rimanete», «andate». Ho l’impressione che questi verbi costitutivi, iniziando dal primo, non siano particolarmente frequentati nelle nostre discussioni (chiacchiere) pastorali. Pensare di cambiare senza rimetterli in gioco con decisione e coraggio significa rimandare sine die il rinnovamento con l’aggravante che la realtà della Chiesa si sfilaccia sempre di più e si perde di vista lo scopo per cui Gesù l’ha voluta.

Lorenzo Blasetti, sacerdote della diocesi di Rieti, ha ricoperto vari incarichi pastorali in diocesi e fuori. Assistente spirituale degli studenti nell’Università Cattolica a Roma. Ha insegnato Teologia Trinitaria nell’ISSR di L’Aquila. È autore del volume Cambiare sì, ma come? La pastorale delle sfide, Prefazione di mons. Domenico Pompili, Tau editrice, Todi (PG) 2024, pp. 96, € 14,00.

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2 Commenti

  1. Giuseppe 10 ottobre 2024
  2. Danilo 10 ottobre 2024

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