Prosegue anche per il 2023 la rubrica «Opzione Francesco», firmata dal teologo Armando Matteo per la rivista Vita Pastorale. Per gentile concessione del direttore, don Antonio Sciortino, la rubrica viene interamente pubblicata in digitale su SettimanaNews.
Collegata all’immaginario del cristianesimo quale luogo del contenimento dell’angoscia adulta del dover affrontare il duro mestiere di vivere e dunque all’immaginario della fede quale esperienza di consolazione, è la forma concreta assunta dall’agire pastorale nei secoli scorsi. Si tratta della forma dell’accompagnamento.
Accompagnare
Lo scopo specifico che gli operatori pastorali del passato si assumevano nei confronti dei loro contemporanei consisteva, infatti, nell’accompagnarli a verificare come proprio la visione cristiana del mondo potesse offrire sufficienti garanzie per affrontare la complessa stagione della maturità. La quale, non lo si dimentichi troppo facilmente, sino ad anni recenti ha rappresentato un tempo di grandi sfide e di grandi fatiche.
Basterebbe fare mente locale ai discorsi dei nostri genitori o dei nostri nonni, nel caso dei più giovani tra di noi. Quante volte ci hanno intrattenuto sulla fame che hanno provato da bambini, sui numerosi malanni già in tenera età, sui loro ricordi della guerra, su quei microcosmi di paesi e villaggi in cui hanno vissuto ed in cui ciascuno veniva chiamato quasi sempre e quasi solo per soprannome, e poi sul ricordo della morte precoce di parenti e su altro ancora di quel che fu il tempo passato!
Ed ecco che, proprio a quegli uomini e a quelle donne che sono stati i nostri nonni e i nostri genitori, il cristianesimo – ovviamente quella certa versione del cristianesimo propria dei secoli scorsi – veniva presentato come la scelta migliore per un’esistenza adulta vissuta con il minimo di frustrazioni e di risentimento.
Diventare adulti
È stato così, quello, il tempo in cui si diventava adulti, diventando cristiani, e si diventava cristiani, diventando adulti. La scommessa di fondo di chi ci ha preceduti nel lavoro pastorale era esattamente questa: nessuna occasione come quella del diventare adulti era perfettamente adatta a far scorgere a chiunque la credibilità della religione cristiana.
Da qui si capisce perché, proprio intorno a questo nucleo, si organizzava il resto del lavoro pastorale. Nei confronti dei ragazzi e dei giovani, da una parte, l’interesse principale ruotava nell’accompagnarli al tempo dell’adultità, fornendo loro un minimo di conoscenze bibliche e religiose (la «dottrina»), dato che il resto lo avrebbe fatto proprio il loro diventare adulti. Per i non molti anziani del passato (la longevità di massa è conquista recentissima), dall’altra, non v’era molto altro da fare se non accompagnarli verso la tappa finale del cammino umano, permettendolo loro di pregustare la gioia del paradiso, giusta ricompensa per coloro che di buon grado s’erano sforzati di corrispondere ai propri doveri familiari, civili e religiosi.
Se ora non possiamo non ammirare la straordinaria capacità pastorale di chi ci ha preceduti, pur non negando alcuni elementi di ambiguità nel loro procedere, il problema vero – secondo l’Opzione Francesco – è quello per il quale la mentalità pastorale attuale è rimasta ancora quella dell’accompagnamento, come se tra noi e i nostri genitori e i nostri nonni non ci fosse stato alcun cambiamento d’epoca!
Credo che nei documenti e nella prassi della Chiesa cattolica il verbo accompagnare sia tra i più abusati o usati in modo inappropriato. Dietro questo verbo si nascondo tanti problemi. 1) Chi è la figura che accompagna? Nel 99% dei casi sono maschi, preti o consacrati ed ecco, pertanto la prima ambiguità: il clericalismo. 2) Chi va accompagnato? Qui si oscilla tra giovani, sposati, seminaristi, consacrati. Si potrebbe dire: vanno accompagnati coloro che nella Chiesa devono esercitare un qualche ruolo come sacerdoti o sposati. Il resto, ossia la maggioranza di coloro che appartengono alla Chiesa, stando ai documenti anche recenti (vedi i vari documenti dei sinodi dove questo verbo compare dovunque), sembrano che non siano da accompagnare. 3) In cosa consiste l’accompagnamento? Anche qui si oscilla a seconda dei casi. Da un lato è all’obbedienza (la docibilitas) per chi sarà consacrato, dall’altro all’apprendimento di una serie di nozioni che vanno possedute in modo stabile (ortodossia che si dovrebbe configurare come ortoprassi). Insomma un verbo dietro il quale si nascondono insidie e il cui uso manifesta la tendenza tridentina di una Chiesa che si vorrebbe conciliare.