Fraternità giovanili, evangelizzazione nelle strade e nei luoghi informali, pastorale giovanile nelle scuole, forme di accompagnamento (educatori e adulti significativi). Una ricognizione e riflessione su alcune esperienze di pastorale giovanile per individuare criteri teologico-pastorali da applicare nella prassi della Chiesa: è l’obiettivo del seminario-laboratorio di teologia pastorale che il ciclo di licenza della Facoltà teologica del Triveneto promuove per l’anno accademico 2024/2025. “Nuove frontiere della pastorale giovanile: alcuni criteri a partire dalle esperienze in atto” è il titolo della proposta, guidata dai docenti Assunta Steccanella e Lorenzo Voltolin, che abbiamo intervistato.
– È un percorso che non cala dall’alto ma nasce dall’ascolto del territorio. Nei mesi scorsi voi, Assunta Steccanella e Lorenzo Voltolin, docenti pressa la Facoltà teologica Triveneto, vi siete incontrati con i referenti della pastorale giovanile delle diocesi del Triveneto: che cosa è emerso?
Abbiamo incontrato i referenti diocesani triveneti nel quadro della progettazione del piano di studi per l’anno accademico 2024/25, che dedicherà un ampio spazio a questo specifico ambito pastorale. L’iniziativa rientra nell’impegno per rendere sempre più concreta ed efficace l’interazione tra il territorio e la Facoltà.
Dall’incontro è emersa, innanzitutto, una grande disponibilità a collaborare, nella consapevolezza di quanto sia importante condividere le competenze, incrociare gli sguardi, dare voce alle intuizioni, senza la pretesa di trovare risposte risolutive ma nella certezza di poter individuare insieme alcune coordinate per orientare l’agire ecclesiale.
– Quale fotografia è stata scattata dei nostri giovani?
L’immagine riportata corrisponde a quanto si sta delineando in alcune recenti ricerche sociologiche: una disaffezione crescente verso la pratica religiosa e verso l’appartenenza ecclesiale, situazione che si è acuita in modo preoccupante dopo il periodo pandemico.
Contemporaneamente, una domanda di spiritualità che non si spegne, anche se si esprime in forme spesso non istituzionali e soprattutto tende ad avere dimensione intima e personale: questo pone grandi domande alla comunità cristiana, che non viene colta come luogo in cui sia possibile, o facile, vivere esperienze di spiritualità.
– Quali sono le richieste che vengono dal territorio?
I formatori dei giovani chiedono di essere aiutati a comprendere la situazione attuale e a cercare le vie più adeguate ad abitarla. Il cambiamento d’epoca in cui ci troviamo non consente di muoversi semplicemente reiterando le pratiche consuete, che vanno rinnovate non tanto nella forma ma, più radicalmente, nell’approccio. Per questo occorre uno sguardo che sia capace di tenere insieme le diverse dimensioni in gioco, che consenta di intrecciare l’ascolto di Dio e dell’umano, il portato delle scienze sociali e le indicazioni del magistero, e che aiuti a mettere in risonanza le domande giovanili con la Parola che salva.
Percorrendo questa sorta di “doppio binario”, che rappresenta la peculiarità della nostra offerta formativa, possono emergere importanti indicazioni per la prassi.
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– Oggi occorre fare un salto culturale per smettere di vedere i giovani “oggetto” di cura e iniziare a considerarli “soggetti” nell’azione pastorale. Quali possono essere le nuove frontiere che si aprono per agire in quest’ottica?
Nella prima fase del cammino sinodale in atto si è delineata molto bene una nuova frontiera dal carattere determinante. Dalle sintesi prodotte dalle diocesi del Triveneto emergono due posizioni tra loro speculari: gli adulti, molto preoccupati dall’allontanamento dei giovani, esprimono però la loro «fatica nel riconoscerli come compagni di strada», lo sguardo tende a restare paternalistico, l’esigenza quella di insegnare e guidare.
D’altro canto, i giovani mostrano il grande desiderio di essere riconosciuti, lamentano la mancanza di un autentico rapporto con le persone che appartengono ai “recinti parrocchiali”, da cui si sentono interpellati prevalentemente in relazione a determinati servizi, terminati i quali tornano a diventare invisibili.
– Come mettere insieme queste due parti?
Il reciproco riconoscimento è una frontiera immensa che chiede di essere abitata, in un’azione che può condurre a esiti dirompenti.
Nella Christus vivit, di cui ricorre quest’anno il quinquennale, papa Francesco dice ai giovani: «La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E, quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci». Un capovolgimento di prospettiva, divenuto urgente e che si sta cercando in diversi modi di realizzare.
Per questo abbiamo deciso di rivolgere lo sguardo ad alcune esperienze paradigmatiche capaci di fungere da modello: fraternità giovanili, evangelizzazione nelle strade e nei luoghi informali, pastorale giovanile nelle scuole, forme di accompagnamento (educatori e adulti significativi).
– I giovani sono attratti da esperienze forti di volontariato, di condivisione, di servizio, ma anche da momenti di confronto e di riflessione. Nel fermento del mondo giovanile crescono le proposte di fraternità, per mettersi in gioco, per capire cosa fare del proprio futuro. Di che cosa si tratta esattamente? Quale segno lasciano nel processo di crescita e di formazione della persona?
In molte diocesi italiane sono sorte differenti forme di proposte di fraternità per giovani (indicativamente dai 19 ai 35 anni), finalizzate a riscoprire il bello della vita comune e del cercare Dio insieme a fratelli e sorelle.
Al netto di una parzialità temporale tipica della grammatica contemporanea, non ci troviamo innanzi a comunità stabili e permanenti; si tratta piuttosto di esperienze potenti di crescita personale, di vita fraterna e di approfondimento spirituale. Ciascun giovane si trasferisce per il tempo dell’esperienza in spazi dedicati, per un tempo che può variare da proposta a proposta.
La condivisione della vita tocca tutti gli aspetti: spesa, cucina, pasti, pulizie, orari, regole, dialoghi, confronti, preghiera e ascolto della Parola. Ogni partecipante mantiene i propri impegni di lavoro, di studio, di servizio in parrocchia, di sport, di volontariato.
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– Papa Francesco esorta la Chiesa ad accogliere tenendo le porte aperte, trovando nuove strade; una Chiesa capace di uscire da sé stessa e andare verso chi non frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Quali possono essere le strade, i luoghi informali in cui raggiungere, e lasciarsi raggiungere dai giovani?
La riflessione di papa Francesco sull’apertura della Chiesa e sull’accoglienza verso chi è lontano o indifferente rappresenta un invito a rinnovare costantemente la missione della comunità ecclesiale. Per raggiungere i giovani lontani e indifferenti, la Chiesa deve adottare approcci innovativi e flessibili, capaci di superare le barriere tradizionali e di creare spazi di incontro autentico e significativo.
Alcune strade e luoghi informali che possono favorire questo processo di avvicinamento sono i luoghi di aggregazione giovanile. La Chiesa può coinvolgere i giovani attraverso luoghi di aggregazione informale, come centri giovanili, locali pubblici, parchi e spazi aperti. Organizzare eventi culturali, concerti, mostre d’arte o incontri informali può favorire il dialogo e la condivisione tra giovani e operatori pastorali.
Due lezioni del seminario-laboratorio saranno dedicate alla perlustrazione ragionata di questa prassi pastorale.
– La scuola è uno spazio antropologico e culturale privilegiato dove la Chiesa può vivere la responsabilità educativa in un ambiente laico. Come incide la pastorale giovanile nelle scuole?
La scuola rappresenta un contesto fondamentale per l’agire della Chiesa, spesso inteso solo come possibilità di esercitare una responsabilità educativa, molto meno per il suo potenziale di evangelizzazione e di annuncio anche se all’interno di un ambiente laico.
Di fronte a una drastica riduzione della presenza di adolescenti e di giovani alla vita ecclesiale, in particolare a quella liturgica, è curioso rilevare che vi è ancora una significativa percentuale di studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, possibile indice di un interesse e di una richiesta di formazione religiosa da parte delle famiglie e degli studenti stessi.
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– L’insegnante di religione è una risorsa sufficientemente stimata e valorizzata?
La figura dell’insegnante di religione può variare notevolmente in termini di percezione, stima e valorizzazione da parte della comunità scolastica, soprattutto in base ai contesti e alla persona stessa del docente, riconosciuto non solo per le sue competenze professionali di docente, ma anche per le sue qualità umane e relazionali. In molti contesti, gli insegnanti di religione sono considerati come risorse preziose; pienamente integrati nel corpo docente, contribuiscono in modo collegiale alla formazione dei giovani; sempre più sono l’unico contatto che i giovani hanno con la Chiesa. L’altro fronte di missione per l’Irc è quello verso il corpo docenti, i colleghi, e quello con l’istituzione scuola.
Due lezioni del seminario-laboratorio saranno dedicate all’incontro con alcuni docenti Irc e alla sistematizzazione della figura complessa ed ecclettica di questo operatore pastorale.
– Lavorare “con” (e non “per”) i giovani richiede una relazione di reciprocità, la capacità di offrire e imparare, l’apertura all’ascolto: una disposizione accogliente, che non disconosce tuttavia il ruolo di guida, e di guida autorevole, che l’adulto è chiamato a incarnare verso coloro la cui identità è ancora in formazione, che sono strutturalmente in cammino. Come comporre queste diverse parti?
La costruzione di una relazione significativa tra giovani e adulti richiede un approccio basato sulla reciprocità, sull’apertura all’ascolto e sulla disponibilità a imparare e crescere insieme. Ciò vale per tutte le dimensioni formative, anche per la fede.
In un contesto in cui le relazioni associative-comunitarie si sono disgregate quasi del tutto – al netto di qualche rara eccezione – la figura di uno o qualche adulto disposti a vivere-rimanere “con” i giovani piuttosto che lavorare-preparare qualcosa “per” loro, riconoscendo e rispettando la loro identità in formazione e il loro percorso di crescita individuale, diviene criterio discriminante anche per l’aderire a una fede.
– Come ristabilire un’alleanza fra giovani e adulti, fra i quali la contemporaneità tende invece a sottolineare la separazione, quasi la frattura, come se fossero due mondi paralleli? O almeno come abitare la distanza…
Per comporre queste diverse parti è essenziale sviluppare un clima di fiducia e di rispetto reciproci, in cui sia possibile un dialogo aperto e sincero filtrato da qualsiasi precomprensione dogmatica e assolutamente gratuito, nel senso che tale dialogo non deve neppure preoccuparsi troppo di trasmettere la fede quanto piuttosto di far sperimentare la genuina gratuità del “sono qui per stare con te”.
Questo cambio di postura dell’adulto rispetto al giovane, della Chiesa rispetto al credente, arranca di più sul versante di colui che è annunciatore rispetto a colui o colei che riceve. In effetti, la rivoluzione copernicana della pastorale giovanile chiede una conversione degli operatori stessi, nel senso che sono loro – siamo noi – a dover cambiare.