«Ciò che emerge nel nostro Cammino (sinodale, ndr) è una sproporzione tra le energie richieste per gestire le strutture e quelle necessarie per annunciare il Vangelo (…). È diffusa la percezione che non si possa continuare a ignorare, anche da questo punto di vista, il calo numerico dei presbiteri, la grande mobilità delle persone, la sostenibilità delle strutture parrocchiali, la riduzione delle risorse economiche, la necessità di convergere su alcune strutture anziché altre. Forse lo Spirito ci sta dicendo che una cura dimagrante è necessaria per la salute di tutti».[1]
Come affrontare questa prospettiva fin da subito? La proposta di Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola e Carpi, in continuità con quanto ha sintetizzato del cammino sinodale italiano, è quella di un «basterebbe così poco» offerto agli «operai del Vangelo». Sono questi i due fuochi attorno a cui ruota il suo ultimo «messaggio», Il peso leggero. Spunti per una pastorale snella.
Il tema ruota dunque attorno a questa domanda: come vivere una pastorale che corrisponda maggiormente allo stile di Gesù, che «alle macchinose regole dei farisei, con tutte le loro norme e disposizioni, oppone un semplice comandamento: ama Dio e il prossimo come te stesso»? E come accompagnare in questo coloro che fanno riferimento al Vangelo nel desiderio di servirlo come operai (espressione più evangelica di operatori/operatrici)?
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Il primo richiamo è al periodo della pandemia, dove abbiamo scoperto l’essenziale: la fiducia nelle mani di Dio e i volti che tessono una rete di relazioni attorno a noi.
Il Cammino sinodale desidera sviluppare questa intuizione: «una Chiesa più familiare e accogliente, più semplice e leggera, più concentrata sulle relazioni e meno sui programmi, sui volti e meno sulle strutture, più sulla Parola di Dio e meno sulle strategie umane».
Come concretizzarla? Non si può evitare di passare per la conversione personale: è qui che il Signore può realizzare una leggerezza che, da interiore, poi diventa azione e scelta. «Questo Messaggio è dunque un invito a perdere peso nella bocca e nel cuore: il segreto per una pastorale snella».
Il peso è grande e, come Atlante, c’è sempre uno Zeus da incolpare: «Il parroco (nel caso dei catechisti, educatori, animatori, ministri, consiglieri), il vescovo (nel caso di catechisti, educatori, animatori, ministri consiglieri), o il papa (nel caso dei vescovi)».
Ma una comunità che si lamenta per un peso non è attraente. Il peso di Gesù, meglio «il giogo» di Gesù, è leggero perché è portato con lui: «Solo l’amore, e l’amore di Cristo, rende leggero il cammino». L’amore certo ha dei pesi, ma ne vale la pena: è la promessa nascosta nel giogo di Gesù, senza la quale il servizio in parrocchia diventa la pena di Atlante.
Il seguito del messaggio desidera approfondire i colori e sapori del giogo di Gesù, alla luce della Scrittura, che sempre scuote e rialza, perché in nessun testo evangelico «compare il verbo “sbadigliare”».
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Il primo riferimento è alla parabola dei vignaioli assunti ad ore. Il malumore è il lamento rendono un peso quel lavoro: la perdita del senso, che è la chiamata del padrone, rende una fatica insopportabile il compito assegnato nella vigna. La sfida dunque è quella di coltivare l’amicizia con Cristo.
Nella stessa parabola, viene messa in luce un’altra fonte di malumore e peso, l’invidia, che consiste «nel provare dolore per le gioie dell’altro». La stima reciproca invece è leggerezza, perché «quando riusciamo a mettere da parte la competizione e provare gioia per i doni degli altri, viviamo già un anticipo di paradiso».
Zaccheo ricorda che il sentirsi in credito appesantisce, mentre lo stupore di essere in debito con il Signore è ciò che rende leggeri. È la logica opposta rispetto alla vita quotidiana, perché nasce dalla gratuità infinita di Dio. «La persona grata è come lo scultore: vede in sé stesso e negli altri un’immagine bella e preziosa, là dove gli ingrati vedono solo pesanti pezzi di marmo».
L’invito a guardare la propria trave prima della pagliuzza altrui esprime una differenza importante tra criticoni e critici: «I criticoni esprimono in realtà il loro disagio interiore», perché giudicando gli altri, confessano le proprie posizioni; i critici sono disposti a giocarsi in prima persona, e a lasciarsi interrogare a propria volta.
Un grande segreto per raggiungere la leggerezza sta nella capacità di umorismo, mentre la saccenteria, che nasce dal prendersi troppo sul serio, danneggia sé e gli altri.
C’è un peso nel sistema, come si diceva all’inizio, rispetto alla leggerezza dell’annuncio: lo rivelano i giovani, con le proprie ricerche, indizi di futuro. «Deve essere successo qualcosa, se il messaggio più giovane e leggero del mondo, la Pasqua di Gesù, è percepito da molti come sistema vecchio e pesante».
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Prima di cercare la soluzione in singoli settori della pastorale, «occorre una cura particolare delle relazioni: senza pensare a chissà quali espedienti, ma offrendo semplicemente opportunità di incontro, di dialogo, preghiera e ascolto». Puntare maggiormente sull’accoglienza rispetto all’efficienza non significa avere agende bianche: «significa agende a macchia di leopardo, dove alcuni spazi siano vuoti perché verranno riempiti dall’imprevisto e dalla gratuità».
È innegabile che la Chiesa italiana è in calo, come indicano tutti gli indicatori sociologici, coinvolta anch’essa in una forte crisi di partecipazione che tocca tutte le istituzioni. Ma il regno di Dio non ha queste misure: non la quantità e l’imponenza, ma la profondità e l’incidenza sono i luoghi dell’azione di Dio. «Non l’estensione, ma l’intensità è veicolo del Vangelo». L’attenzione sui numeri ci rende poco attrattivi e rendono gli “operai del Vangelo” comunicatori di pesantezza. «Non possiamo permettere ai numeri di guastarci la bellezza di essere cristiani».
La crisi numerica chiede invece di ripensare le strutture, non di cercare di riempirle a tutti i costi: nessuno è attratto dalla domanda di colmare una casella vuota, ma è affascinato dalla possibilità di dedicare la vita per Gesù Cristo. È questa la leggerezza che rende le nostre comunità ancora capaci di una proposta vocazionali.
L’ultimo peso, quello forse più profondo, è quello dell’io, rispetto alla leggerezza del noi: mons. Erio lo esprime attraverso la preghiera di don Tonino Bello, che chiede «un’ala di riserva».
La conclusione è dedicata al tema del Giubileo 2025: se l’invito è ad essere pellegrini di speranza, questo implica una meta, evita la gara e la costrizione, chiede uno zaino leggero.
Chi cerca nel messaggio indicazioni precise e prescrittive (salvo poi rifiutarle), rischia di essere deluso; chi chiede invece una prospettiva che aiuta a tradurre nella Chiesa italiana di questo tempo l’appello del Vangelo, che sempre chiede conversione, ritrova nel messaggio una griglia interessante per rileggere quanto ogni comunità sta vivendo, per riconoscere le fatiche e le sofferenze, ma anche le possibilità e le risorse ancora nascoste, verso una maggiore e concreta leggerezza.
[1] E. Castellucci, Cammino di popolo, «Il Regno-Documenti» 69 (11/2021) 370-371.
Cari Sacerdoti,
Avete tutta la nostra solidarietà. Siete un genere in via di estinzione, ma i vostri formatori prima, e vi vostri superiori poi vi nascondono la realtà. L’impatto, dall’ambiente asettico del seminario, alla trincea dev’essere traumatizzante e voi cercate, comprensibilmente, di anestetizzare il trauma con piccoli sotterfugi, con piccoli privilegi ad consolandum.
L’uomo modernoi vi ha girato le spalle, ma non sa quanto questa il laicismo gli si rivolgerà contro. Ma voi, che fate per aprirgli gli occhi? Gli proponete le grandi liturgie, con vesti svolazzanti, con ridicoli copricapi gemmati, con processioni e rivelazioni private…
Cari Sacerdoti, contate quanti giovani frequentano le vostre messe. Oppure, provate ad assistere incognito a un rito funebre in cui però non ci siano né applausi, né decine di palloncini di plastica da liberare in cielo. Voglio quindi dire: un funerale “normale”. Nessuno vi ha mai detto che il momento del dolore purtroppo è un momento fertile? Molte delle persone che assistono al funerale non vanno in chiesa e sono presenti per doveri di famiglia o di conoscenza. Ebbene, perché perdete l’occasione di lasciare nel cuore di questi estranei un chicco della Buona Novella? Perché durante l’omelia ammanite pastoni devozionistici (sempre quelli) offensivi dell’intelligenza umana e indegni della parola di Dio? Non sarebbe più dignitoso un momento di silenzio? E i canti che accompagnano la cerimonia? Stendiamo un velo pietoso. Sarebbe questa la pastorale del dolore che vi avrebbero insegnato?
Non sarebbe meglio accompagnare con una semplice preghiera e una benedizione il feretro che parte per il camposanto?
Non vorrei essere presuntuoso, ma la missione del sacerdote diocesano dev’essere ripensata e rimodulata radicalmente. Se il ministero è servizio, i servizi da assicurare sono la testimonianza (fatevi vedere a pregare prima della messa!), l’annuncio della Parola, l’assistenza agli ammalati, il consiglio ai dubbiosi, il conforto ai disperati. Vasto programma? Avete scelto voi la strada che da Gerico scende a Gerusalemme! Abbiate l’umiltà di farvi collaborare nella gestione, negli uffici religiosi che non richiedono il ministero sacramentale e trovate il tempo, oltre che per il servizio predetto, per pregare e per studiare. E che le vostre omelie risentano della meditazione che ogni giorno dedicate alla Parola di Dio. E il vostro ministero sarà illuminato ancorché un poco de-clericalizzato.
A mio avviso la pastorale italiana è troppo concentrata sull’iniziazione cristiana (catechizzare il più possibile tanti con scarsi risultati) e poco sulla pastorale degli adulti. Anche a fronte della morte demografica alla quale stiamo inesorabilmente andando incontro occorre una cambio di mentalità. Troppe energie e tempo sui bambini/adolescenti che in un giro di dieci anni saranno sempre di meno, troppo poche energie su chi ha più di 18 anni (cfr. https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/11/cattolicesimo-borghese5.html).