Prima di entrare nell’argomento, è fondamentale fare una breve premessa di metodo.
Nell’affrontare questioni delicate come quella del futuro della Chiesa e del cristianesimo, è essenziale una sana dose di realismo. Stiamo vivendo una profondissima crisi e ciò è innegabile per uno che legga onestamente i dati.
Come si reagisce di fronte a questa scena? Da una parte (la maggioranza), tende a rimuovere il problema, dedicandosi ad altre questioni ritenute più urgenti e non accorgendosi che questa crisi potrebbe essere micidiale. Dall’altra parte, presa coscienza della gravità della situazione appena citata, si offrono soluzioni che apparentemente sembrano logiche e realistiche, ma in realtà conducono a ottenere gli stessi risultati fallimentari.
Proporre, per esempio, l’annullamento dell’obbligatorietà del celibato o l’introduzione del sacerdozio femminile non solo è pura utopia, ma sono una distrazione di massa, perché i fautori di quelle proposte sanno bene che simili scelte, oggi, sono semplicemente impossibili, a meno di voler spaccare un tessuto già abbastanza logorato.
È emblematico quello che è accaduto dopo le proposte del papa stesso, quelle sulle diaconesse e sui viri probati: il silenzio! Ripeto: proposte del papa, non di un generico teologo di una Chiesa di periferia!
Quindi: cerchiamo qualcosa di realistico, di realizzabile adesso e non tra cent’anni. Con le regole che abbiamo, con il Codice di diritto canonico che è in vigore, in silenzio e senza far tanto rumore, con l’antico metodo di cui la Chiesa è sempre stata maestra: “Ecclesia semper reformanda”. Proponendo piccoli passi e non terremoti. I rivoluzionari appena citati, sono in fondo i veri conservatori!
Ma fondamentale è avere una “visione”, una proposta completa, una lettura sintetica di tutto il quadro e agire partendo da scelte concrete che si possono fare subito e che porteranno frutti tra dieci/vent’anni. Ci vuole il coraggio della fede e una dose di resilienza (parola diventata di moda) che nei momenti drammatici abbiamo sempre dimostrato di possedere.
Cominciamo con la comunità cristiana
Fatta questa premessa, dobbiamo porci alcune domande, sempre nella “visione” che dobbiamo avere come sfondo. Prima di tutto: da dove possiamo partire per un cambiamento che sia concreto e abbia un futuro? La risposta è: dobbiamo salvare il tesoro delle nostre comunità cristiane! Poi: quali sono gli attori nel futuro e che ruolo dovrà avere il prete in questo impianto? E, da ultimo (forse il tema più spinoso): come affrontare sul piano economico questo tentativo di cambiamento?
Dobbiamo salvare le comunità cristiane, messe in forte crisi sia dal tracollo del numero dei preti sia per la grande difficoltà di trovare un ruolo e un’identità all’interno di un mondo che sta cambiando con una velocità che ci mette con le spalle al muro.
Le nostre comunità sono in profonda crisi, ma non sono morte: ci sono ancora e devono esserci nel futuro. Se mancassero, verrebbe a mancare il cuore all’interno di un paese o di un quartiere.
Ma come immaginare la comunità cristiana del futuro?
Da una pastorale di formazione e celebrazione a una pastorale di relazione e quotidianità
La parrocchia del domani dovrà essere una collettività di persone che pongono al centro la propria vita e non l’appartenenza cristiana. La vita è il vero campo dove opera il Seminatore, la vita fatta di gioie e di dolori, di scelte e di fallimenti. È la vita la vera palestra degli uomini!
Al suo interno ci sono momenti fertili, quando le persone sono più disponibili a farsi affiancare e a lasciarsi aiutare per entrare (magari senza accorgersi) nel cuore più profondo della vita stessa, fino ad arrivare all’incontro con Dio.
La nascita, la famiglia, la malattia, la morte, il fallimento… sono gli ambiti dove la comunità cristiana dev’essere più che mai protagonista. Non per usare esclusivamente la carta del sacramento, come per secoli si è fatto, con messaggi teologici e dottrinali che la gente d’oggi sta semplicemente rifiutando, o ascoltando in modo distratto. Noi crediamo di essere maestri nel dolore, solo perché in molte parrocchie l’unica cosa che tiene ancora sono i funerali!
Il futuro della comunità cristiana dovrà essere giocato usando le relazioni, le relazioni d’amore.
Parliamo di una relazione umana semplice, schietta, sincera, empatica, quotidiana, senza pregiudizi, consapevole. Non una relazione protetta dal ruolo, ma libera e senza ombra di timore; senza i narcisismi storici degli uomini di Chiesa; con protagonisti capaci di ascolto autentico (e non solo predicato!) e sempre pronti al dialogo. Una relazione dove non ci sia l’ossessione di dover parlare di Dio e dei suoi comandamenti, perché c’è la consapevolezza piena che Dio abita già le relazioni di amore e, al massimo, è necessario evidenziare questo e aiutare a cogliere l’eco della sua presenza e della sua misteriosa energia con-creatrice senza doverlo nominare.
Abbiamo bisogno di persone capaci di entrare nelle tematiche esistenziali, senza bisogno di fare l’anticamera sui testi catechistici o liturgici. Preparate alla prossimità e alla condivisione usando una vicinanza reale condita, quando serve, con la perla del silenzio. Pronte ad usare l’arma della preghiera, dell’implorare Qualcuno affinché ci trattenga al suo fianco.
La gente ha bisogno di uscire dal triste individualismo del nostro tempo e, anche se non si riconosce in un credo particolare, apre la porta a un rappresentante della comunità che “non ha né oro né argento, ma quello che ha è pronto a donarlo: la sua prossimità!”.
Per immaginare il futuro delle parrocchie, basterebbe pensarlo senza il diluvio di riunioni com’è attualmente. Per scoprire il segreto della Trinità, non sono sufficienti le riunioni. Per entrare nell’iniziazione cristiana, bisogna smetterla con disquisizioni inutili e dannose. Appuntamenti che non solo sono superflui, ma capaci persino di allontanare i fedeli dalle parrocchie.
Sento in giro di molte persone che, pur di evitare il calvario degli incontri pre-sacramentali, sono disposti a non battezzare i propri figli o a non sposarsi in chiesa optando al massimo per il civile. Quando saremo disposti a cambiare il calendario delle nostre comunità? Quando saremo pronti chiudere con questa triste proposta del catechismo? Quando saremo predisposti per nuovi percorsi con i nostri bambini e ragazzi per aiutarli a crescere in una vera comunità magari utilizzando il semplice oratorio?
Meno Case di dottrina e più Centri Comunitari!
Il ragazzino che siamo riusciti a trattenere in parrocchia fino al sacramento con il ricatto degli incontri catechistici il giorno dopo dirà: “non mi vedrete mai più!”. Lo stesso ragazzino inserito in un programma fatto di giochi, cultura, esperienze forti, momenti rilassanti, arriva lo stesso al sacramento; ma poi, magari, potrà continuare a sentirsi parte grazie ai legami che sono nati.
Organizzare incontri per preparare il battesimo alla sera, dopo il lavoro, magari dopo aver dovuto assumere per alcune ore una baby sitter: crediamo proprio che sia l’occasione giusta per far passare dei messaggi evangelici? Quando la gente, in maggioranza, partecipa solo perché è obbligatorio? Che non sia il caso di aprire i nostri spazi parrocchiali alle famiglie con bambini e permettere loro di inventarsi momenti di comunione e quindi di autosostegno?
E come la mettiamo con la formazione? Bisognerà prevedere qualche appuntamento! Ma non ci sono le celebrazioni eucaristiche domenicali? “Vieni per un periodo alla messa, magari ci fermiamo un attimo dopo, sarà sufficiente quello”.
I sacramenti vanno dati a tutti coloro che ne fanno richiesta, tutti! Ma la comunità è capace di accogliere al proprio interno tutte le persone, tutte, perché ha un solo desiderio: permettere loro di accedere ad un cuore, il cuore di Dio?
Quando insegnavo a scuola, c’era un collega che ragionava in questa maniera e si proponeva con offerte didattiche che erano rivoluzionarie. Noi colleghi guardavamo, chi con sospetto, chi con criticità, chi con fiducia.
La sua proposta era questa: “lasciatemi lavorare con i ragazzi a modo mio per quattro mesi!”. In questo tempo ha organizzato spettacoli teatrali e lavori di gruppo con un’unica finalità: “fare squadra”.
Ogni tanto il preside osava chiedergli: “Ma…. e il programma?”. Lui rispondeva: “Abbia pazienza e fiducia, vedrà!”. Intanto i suoi ragazzi lavoravano con entusiasmo ed erano diventati una piccola repubblica all’interno della scuola, suscitando critiche, sospetti e interrogazioni.
A gennaio questo progetto si concluse con alcune rappresentazioni che suscitarono molto interesse. Davanti avevamo un gruppo di venticinque ragazzi unito, motivato, desideroso di partecipare alla vita scolastica. Quel professore era riuscito nello scopo: aveva creato una vera comunione.
Così nei mesi successivi presero in mano il programma. Quel gruppo aveva una marcia in più e tutti (tutti!) arrivarono agli esami fornendo dei risultati nettamente superiori rispetto a tutto il resto della scuola.
L’angoscia della Chiesa è sempre stato “il programma”! Un immenso impianto formativo e dottrinale, dal bambino all’anziano. Certo, un tempo aveva il suo significato, ma il dubbio ci viene quando siamo costretti a constatare che la base dei cristiani praticanti si sta sempre più assottigliando, anno dopo anno, non trovando una risposta alle proprie esigenze esistenziali e fortemente toccata dagli scandali sia per la corruzione sia per motivi sessuali.
La parrocchia del futuro quindi non dovrà essere esposta al proselitismo: evangelizzazione, catechismo, e tanta formazione. Dovrà essere semplicemente una realtà di vita, dove il Vangelo verrà vissuto nella quotidianità.
Dobbiamo utilizzare tutte le nostre forze e la fantasia che, per fortuna, non manca per rilanciare le nostre comunità parrocchiali. Lasciare che la crisi attuale proceda, fino a lasciarle morire, sarebbe un peccato gravissimo.
Come sarà possibile ripristinare il cuore? Un cuore silenzioso e insieme palpitante, fatto di luci e di porte aperte tutto il giorno. Un cuore che non ha bisogno di piani pastorali o di riunioni su riunioni. Una canonica aperta e sempre accessibile, una chiesa aperta tutto il giorno, una piazza aperta.
Protagonisti sono tutti, tutti coloro che sentono la necessità di stare insieme, di condividere e di incontrarsi. In modo speciale saranno protagonisti i giovani, proprio coloro che in questi anni si sono allontanati di più, trovando tempo perso tutto quello che era etichettato come “cristiano”.
Spazio per i genitori dei bambini e dei ragazzi, che sentono sulla loro pelle come ai loro figli oggi non vengono proposte le cose più importanti: le relazioni in amicizia, il gusto di creare senza farsi fagocitare dai social, la magia della musica e del gioco per imparare a “fare squadra”.
Le nostre periferie stanno morendo e per la rinascita mancano proprio i protagonisti principali: le comunità cristiane! Gli spazi ci sono, gli ambienti ci sono. Sono stati costruiti con il sacrificio di parroci coraggiosi, ma adesso sono là, quasi tutti abbandonati. Tutti sanno che, quando c’è una piazza libera, subito entrano in gioco i manovali del male: i trafficanti della droga e del vizio.
La gente, ignara di queste dinamiche nascoste, se la prende con lo spacciatore di turno, spesso immigrato e di colore e quindi trattato anche in modo razzista. La stessa gente (i cosiddetti benpensanti) chiede solo che ci sia la messa. Per loro però la chiesa deve rimanere aperta giusto il tempo della celebrazione, per poi chiuderla e tapparsi in casa, sfiduciati e arrabbiati.
Gli anziani poi! Coloro che sognano solo di gustarsi la pensione, frutto di enormi sacrifici. Costretti a stare in casa, quando la loro memoria corre ai tempi andati, quando si poteva giocare a carte e correre per una partita a bocce o gustarsi una panchina per chiacchierare.
Queste sono cose improponibili oggi? Lasciatemi gridare il mio “no”! Dobbiamo mirare a questo e le comunità cristiane sono oggi gli unici soggetti che hanno nel proprio dna queste proposte umane e culturali.
C’è attorno a noi un clima di rassegnazione e di morte che fa paura.
Immagino l’irritazione di qualche lettore più affezionato allo schema liturgico-formativo, ma io non riesco a vedere un’alternativa. Ci sarebbe una proposta possibile, quella della devozione tradizionalista. Ci sarebbe spazio e non mancherebbero i soldi, ma porterebbe la Chiesa a diventare un’altra cosa, magari una setta. Non la prendo neppure in considerazione.
Concludendo: la gente per secoli è venuta in chiesa perché c’era il precetto e la minaccia del peccato. Oggi il precetto è stato buttato via.
Come faremo a riportare in chiesa i nostri fedeli? Ricostruendo dal basso le nostre comunità e arrivando alla celebrazione come al momento più alto della comunità stessa.
Non riesco nemmeno a finire di leggere l’articolo perché è indegno: stai dicendo alla Chiesa di non essere più Chiesa! Compito della Chiesa è preservare e trasmettere la vera Fede, non ascoltare, includere, accompagnare… sì, tutte belle cose, ma il Mondo le fa meglio, la scuola le fa meglio, le associazioni di volontariato le fanno meglio. La parrocchia come comunità di persone che mettono al centro la propria vita? Ma stiamo scherzando? Al centro di una comunità cristiana deve stare Cristo, così pure al centro della vita di ogni cristiano! Evangelizzazione, catechesi, sacramenti, Preghiera, ascolto della Parola di Dio: di questo si alimentano i cristiani! Se i ragazzi dopo la Cresima se ne vanno è perché al catechismo si fa tutto tranne che annunciare il Vangelo e spiegare la Dottrina Cristiana che da esso deriva. La Chiesa non è un consultorio o una ONG, è il luogo dove ti puoi incontrare con Cristo; la Chiesa è la palestra, dove ti alleni giorno dopo giorno, domenica dopo domenica, a suon di Parola, Preghiera e Sacramenti, per affrontare la vita e il mondo che sono invece i campi di battaglia! Vai tu a combattere senza essere allenato, poi vedi quel che ti succede! Mi fermo qui perché l’articolo è pieno di stupidaggini e per rispondere punto su punto ci vorrebbe un’intera notte. Mi limito solo ad una considerazione: “Voi siete il sale della Terra, se il sale perdesse il suo sapore sarebbe buono solo per essere gettato”; ecco, l’articolo reca le istruzioni affinché la Chiesa anziché sale diventi miele.
Sono entrato in chiesa all’età di 32 anni. Ho fatto un cammino di fede e continuo con molta difficoltà per la mia età (70 anni) che avanza. Mi accorgo da qualche anno che le chiese sono quasi vuote. Alcuni motivi sono stati trattati in queste pagine. Altri motivi potrebbero essere quelli legati alla rivoluzione tecnologica che viviamo ormai da oltre 25 anni. La vita dei giovani si svolge, ahimè, sui social. Si scrive tutto il contrario di tutto. Il linguaggio “classico” di una evangelizzazione immediata da parte dei preti e dai laici che si propone in chiesa, verosimilmente, non viene accolta come panacea alle problematiche vissute da parte dei giovani di oggi. Un primo problema, quindi, è ripensare a un linguaggio che possa essere compreso meglio, verificando gli interessi dei giovani in primis. La musica, lo sport, i viaggi, il sesso, sono fra gli interessi più praticati e graditi dai giovani. Occorre inventarsi una pastorale ed evangelizzazione per gradi, nuova nel linguaggio e nei contenuti. Stimolando i giovani a parlare prima di loro stessi. Poi lentamente creare una relazione a loro interessante e attrattiva.
D’accordo con Mastrofini. ci vorrà tempo e coraggio per lasciare i programmi e le proposte “vecchie” fatte di catechismo scolastico…per proporre vita e Vangelo. Ma questa è la strada, l’unica praticabile.
Sono vicoli ciechi. Tanto per far qualcosa di diverso illusorio. Bisogna ritornare al mandato di Gesù e alla Evangelii gaudium. Le proposte indicate non sono evangelizzazione, che oggi langue. Sono d’accordo nell’abbandonare l’illusorio catechismo, che punta sui ragazzi e “sull’adempimento” dei sacramenti tradizionali con annessa festa, chiesti e fatti senza fede.. L’esperienza di far gruppo, sì, ma attorno al Vangelo. Dopo i sacramenti dell’iniziazione cristiana c’è un abbandono liberatorio di ragazzi e famiglie.
La pista del Convegno di Verona è buona. Ma nel momento catechistico; occorre ridare la fede agli adulti: è quella di Gesù: occorre rivolgersi agli adulti.
Come ha fatto Gesù. Bisogna ricostituire comunità familiari con i Centri di ascolto della Parola, decenrati, dentro il territorio, con riferimento alla comunità parrocchaile. Rendere protagonisti i laici formati. Aprirre gli occhi ai preti. Accogliere i genitori che chiedono il catechismo e i sacramenti, solo se lo fanno per fede: quindi chi sceglie deve prima esser formato alla fede: altrimenti è un falso che irride la fede e i sacramenti. Bisogna formare animatori di gruppi adulti. E’ quello che stiamo provando a fare a Vittorio Veneto.
Anche questo è un programma pastorale. E purtroppo neanche nuovo. Un po’ di promozione umana con spruzzatina Rahneriana che lascia in bocca un fastidioso retrogusto da Onlus. La Chiesa sopravviverà e io penso che nessuno sa oggi come questo avverrà tranne lo Spirito Santo. Non saranno i devozionalisti “à la Huysman” ad avere la meglio ma neanche i progressisti alla tedesca tipo Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi. Come la storia insegna occorre una nuova Pentecoste che noi tutti dovremmo immediatamente cominciare a invocare per l’intercessione di Maria (quella vera non quella 2.0).
Poi il futuro è nelle mani di Dio. A volte noto che i più sconvolti e confusi dalla crisi della Cristianità (Chiesa di massa in società cristiana) sembrano proprio i teologi o gli osservatori più progressisti. Eppure dovrebbero essere i tradizionalisti i più turbati dal definitivo tramonto della cd. “Chiesa costantiniana”. Invece ecco i progressisti ad affannarsi sul come la Chiesa dovrebbe sopravvivere, su quali strategie applicare, sui piani quinquennali da varare. Eccole queste Marte che non sanno più mettersi ai piedi del Maestro e si affannano in convegni e scritti assortiti mentre invece la via è quella di Maria di Betania, anche questa non una Maria 2.0.
Da un po’ di tempo mi sono accorto che la “pesca” è scarsa anche a causa nostra. Possiamo annunciare il Vangelo quanto vogliamo ma se poi i battezzati vivono in situazioni irregolari non possono entrare in chiesa e vivere la vita della comunità. Si possono fare splendidi ragionamenti ma se non si tolgono ostacoli disciplinari la pesca continuerà ad essere scarsa anche in futuro. Gesù non aveva paura di accogliere i peccatori e ciò faceva mormorare i farisei contro di lui (Luca 15,1-2). Dobbiamo pescare da un’altra parte e in tempi diversi direbbe Gesù (Giovanni 21,4-6).
Ultimo pensiero: il presupposto per una chiesa inclusiva è quello di essere una chiesa sinodale. Poi sulle modalità per diventare una chiesa sinodale si può discutere.
Buona analisi e buona cura!…. Ma, nei fatti, da chi dovrebbe partire questo cambiamento di mentalità?… La risposta è solamente una: dal clero!… Ma con le “teste” attuali sarà una soluzione praticabile?… La risposta – anche in questo caso – è solamente una: no!… Io ho una mia teoria, elaborata dalla profonda fede che ho nel Padreterno: e se tutta questa crisi che stiamo vivendo fosse scientemente voluta proprio dal buon Dio?… Io ho fiducia nella volontà del Signore. E se fosse proprio Lui che si è stancato di questo clero?… Se fosse proprio Lui ha ritenuto maturi i tempi per darci un bel taglio?… La Chiesa non finirà!… Forse torneremo nelle catacombe… Forse saremo ridotti al lumicino… In ogni caso non dimentichiamo che quei pochi sapranno essere “sale” e “lievito”.
Molto interessante. Concordo in pieno. Mi chiedo tuttavia se sarà possibile cambiare strada nel senso indicato da questa riflessione e quali sono le condizioni per riuscirci. Sottolineo in proposito tre aspetti: va rinnovata la formazione del clero e dei laici (processo lungo, e chi potrà farlo, coloro che sono responsabili dei fallimenti di oggi? No, occorre cambiare le squadre e gli allenatori…). Secondo: fare subito perché oggi è già tardi. Terzo: servono dei cambiamenti in profondità. Un esempio: abbiamo una Chiesa in uscita (come dice il Papa) e un Codice di Diritto Canonico che pensa alla Chiesa e alla parrocchia come luogo di chi crede e basta. Serve dunque in parallelo un complesso ri-adattamento teologico-pastorale. In proposito faccio notare che la Commissione Teologica Internazionale è oramai virtualmente scomparsa (che fa? di che si occupa? quando si riunisce? che piano di lavoro ha?) e imperversano sui social media i conservatori più inveterati e organizzati (basti vedere i tweets che sommergono la Pontificia Accademia per la Vita quando cerca di dire qualcosa di intelligente in 280 caratteri… @PontAcadLIfe)