Religiosità popolare

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I lavori verso la fase profetica del Sinodo sono proseguiti alacremente: alla segreteria del sinodo sono pervenute le sintesi delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, quelle dei parroci a Sacrofano e i testi delle commissioni teologiche su temi specifici. Il tutto costituirà il materiale per elaborare l’Instrumentum laboris da presentare all’Assemblea generale di fine ottobre, salvo variazioni: vi confluiranno anche voci di esperti teologi e canonisti, compresi i lavori delle cinque commissioni volute dalla segreteria del Sinodo.

Il cammino che si prospetta per la Chiesa dovrà poi essere assunto nelle Chiese locali in ogni loro manifestazione, in maniera che le renda trasparenza dello stile di Cristo, l’unica forma capace di plasmare positivamente e in maniera costruttiva l’immaginario collettivo nei suoi confronti.

Quale immagine di Chiesa traspare nel contesto della riflessione sinodale dalle forme di religiosità popolare che in tante nostre regioni si esprime con le processioni?

Non museo, ma giardino

Chiesa in cammino significa anche che noi non siamo «guardiani dei musei ma continuatori d’un giardino vivente», come diceva Frère Roger Schutz. La secolarizzazione, a sua volta, ci obbliga a dire e a vivere l’essenziale e non a cullarci nel passato con le sue forme di religiosità barocche o medievali.

Certamente un «cattolicesimo atteggiato a teatro barocco del religioso ha buone possibilità di attrarre un suo pubblico, gremito e adorante, né più né meno di quegli indiani d’America che, con le piume in testa, fanno la danza della pioggia per il flash dei turisti», come causticamente si esprime Giuliano Zanchi (Prove tecniche di manutenzione umana – Sul futuro del cristianesimo pag. 65).

In molti luoghi dove il Venerdì Santo è molto sentito e viene vissuto anche con le processioni, si vedono membri di confraternite incappucciati; altrove si usa portare in processione molte statue di santi. Le reazioni dei bambini sono state: “Mamma, i fantasmi!” e “Oggi ho visto la sfilata”. I bambini vedono il re nudo!

Incrementare di anno in anno alcune ricorrenze locali, può creare l’illusoria impressione di aver attirato tanta gente, col rischio però di chiudere gli occhi di fronte a fenomeni di degenerazione che spesso interessano il territorio. Non possiamo confondere grandi manifestazioni di massa con adesioni genuine al Cristo: occorre fondere fede e religione per essere veramente i discepoli che “dicono e fanno”!

Con prudenza e con piccoli passi bisogna iniziare il rinnovamento, in modo che la religiosità popolare risplenda nella sua genuinità e non diventi oppio e illusione di aver fatto apostolato.

La pietà popolare, che si esprime anche con le processioni, è forse antica, arcaica, fanciullesca, ma anche sincera. Ha radici solide, frammiste a eventi e contenuti non sempre teologicamente difendibili, ed esprime una spontaneità che non ha trovato posto in passato nelle rigide forme liturgiche. Poggia su emozioni che le nostre catechesi non riescono a suscitare.

Karl Barth diceva di ripetere quotidianamente: «Signore, liberami dalla religione e dammi la fede!». Tante volte, infatti, la religione è ereditata dalla famiglia, si esprime in gesti convenzionali, impegna molto marginalmente coi suoi riti, costituisce una specie di profilo sociale. La fede, invece, si radica nel cuore, cresce nell’esistenza, si ramifica in ogni ora della propria vita e fiorisce nell’amore.

Non sarebbe, tuttavia, una decisione saggia quella di voler eliminare la religiosità popolare, come è avvenuto altrove, e dove, adesso, si sta riflettendo sul vuoto che si è venuto a creare. Eliminato il riferimento al sacro, sono rimasti comunque tutti gli altri elementi con il loro manifestarsi autonomo.

La religiosità popolare «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove nel medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione» (EN 48).

La festa è un dato antropologico importante, spesso legato a stagioni o a eventi tradizionali come mercati, fiere e altre manifestazioni. Bisogna pure considerare che l’homo ludens è anche uomo della festa e da sempre. Il popolo ebraico celebrava le sue feste legate a stagioni e ad eventi e Gesù ben volentieri ogni anno vi partecipava, inserendosi anche nelle forme folkloristiche che le caratterizzavano.

La fede certamente è tutt’altro, e sarebbe illusorio contentarsi di aver comunque fatto una grandiosa festa popolare con tanto di processione e tutto il resto, senza impegnarsi seriamente nella missione o in una evangelizzazione capillare, come ha ribadito papa Francesco nella sua Lettera ai parroci riuniti a Sacrofano: «Le parrocchie, a partire dalle loro strutture e dall’organizzazione della loro vita, sono chiamate a concepirsi principalmente a servizio della missione che i fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle attività che si svolgono al loro interno e sulle loro necessità organizzative. Occorre, perciò, che le comunità parrocchiali diventino sempre più luoghi da cui i battezzati partono come discepoli missionari e a cui fanno ritorno, pieni di gioia, per condividere le meraviglie operate dal Signore attraverso la loro testimonianza».

Resta il fatto che la religiosità popolare rappresenta un’importante area di contatto con tanti che vivono ai margini e per i quali è importante quel momento, pur larvale, di riferimento al sacro, alla religiosità, al soprannaturale, a Dio.

Duplice sinodalità

Occorre però purificare, elevare. Qui subentra il discorso della sinodalità che deve attuarsi in due direzioni: la coerenza con le disposizioni delle Conferenze episcopali e con il contesto sociale in cui siamo immersi.

I vescovi delle regioni interessate al fenomeno hanno espresso a chiare lettere il loro pensiero e le loro direttive. È sempre attuale la lettera pastorale per la Quaresima 1976 di Giuseppe Agostino, arcivescovo di Crotone-Santa Severina, dedicata a Le feste religiose nel Sud. Egli evidenziava «costrizioni sociali senza la libertà della Pasqua e stasi paurose nel cammino della vita, marcate espressioni esteriori senza rapporto con una vitalità interiore. Le nostre luminarie, non di rado rivelano il buio dell’anima; il frastuono delle batterie e dei sax nella piazza, inespressività del cuore; e anche certe processioni, carenze di itinerari vitali».

Non mancano, da parte dei vescovi, indicazioni precise riguardanti la durata delle processioni, l’invito a non piegarsi a logiche mondane o mafiose e ad eliminare ogni forma di trionfalismo che si esprime utilizzando formule obsolete tipo «con la partecipazione delle massime autorità civili e religiose», come si legge ancora nei manifesti.

Non è facile, per i parroci, gestire situazioni in cui certi andazzi si sono consolidati, sovrapponendosi alla semplicità originaria di cui in molti casi si conserva ancora memoria.

Lo spirito mondano sotto forma di spettacolarità, trionfalismo e gestioni mirate a creare facili plausi e acritici consensi con manovre degne di navigati manager e influencer, ottengono il loro scopo e non è certo invidiabile la situazione di quei confratelli che cercano di ridimensionare gli eventi. Molti ci provano.

Importante è coltivare il proposito di cambiamento, iniziando con piccoli passi e con una costante opera di convinzione mediante incontri mirati con i Comitati per le feste e con i gruppi di portatori delle statue, composti spesso da persone che hanno bisogno di una catechesi che li educhi alla vita cristiana e al cambiamento di mentalità.

Al fenomeno delle processioni si addice comunque la pastorale dell’accoglienza, anche se non bisogna chiudere gli occhi di fronte a incrostazioni che vanno purificate perché emerga il senso genuino del fare processione.

Un contesto secolarizzato

Riguardo alla sinodalità, bisogna chiedersi che senso abbiano certe forme in un contesto secolarizzato e quali siano invece quelle in grado di trasmettere comunque un messaggio tale da non creare l’idea che il mondo religioso alieni l’uomo d’oggi dai problemi cruciali che dovrebbero preoccupare ogni persona che abbia un minimo senso di responsabilità e cittadinanza.

l fenomeni migratori, le guerre in Ucraina e nella Palestina, vere “fabbriche di morti” come tutte le guerre, con la loro scia di distruzioni e riduzione di popolazioni allo stremo, dovrebbero essere un serio motivo di riflessione, un invito alla sobrietà, a ridurre le spese e a inventarsi eventi che significhino partecipazione concreta della popolazione a interventi caritativi o umanitari per quelle popolazioni.

La comunità cristiana non può venir meno al suo compito di educare e di sensibilizzare le coscienze con segni inequivocabili e concreti, senza atteggiamenti iconoclasti nei confronti delle feste e tenendo presente – nel giusto peso e senza lasciarsene condizionare – il fatto che esiste tutto un “indotto” che viene movimentato per le feste e che potrebbe essere non certo eliminato, bensì ridimensionato nel segno della sobrietà.

 Per concludere

Il sociologo Franco Garelli osserva giustamente che «c’è anzitutto troppo cattolicesimo nel nostro paese perché esso possa costituire un punto di riferimento significativo sia sul versante religioso che nell’identità collettiva. La debolezza della fede appare tipica di una situazione in cui la maggioranza della popolazione continua ad identificarsi nei valori della tradizione, senza un grande ripensamento e coinvolgimento. Sembra questo l’esito più palese di un’appartenenza al cattolicesimo di carattere più etnico-culturale che religioso. Ci si dichiara o ritiene cattolici, in quanto la religione fa parte integrante della propria tradizione culturale, senza essere permeati da quella tensione religiosa insita in un processo di interiorizzazione delle fede: ciò non significa, ovviamente, che questa generale disposizione religiosa sia priva di senso, non assolva ad alcune funzioni nella vita delle persone» (Forza della religione e debolezza della fede, pagg. 28-29).

Resta comunque il fatto che la gente, assommando non la “festa”, ma il clima festaiolo intriso di mondanità e di esibizione che si nota anche in occasione dei sacramenti dell’iniziazione e non solo, può arrivare alla conclusione che tutto sommato il cristianesimo sia una proposta “ragionevole”, accettabile da tutti senza tanti sforzi.

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