Trento: lettera alla comunità cristiana

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Scommettere è immaginare il proprio presente e il proprio futuro come progetto, attesa, sogno nostro e di Dio. Sulla base di alcune “parole chiave”.

«La vita è solo una semplice sfida alla fortuna, un pacco casuale da aprire incrociando le dita e sperando di non restarne delusi? È un continuo tirare a sorte o vale la pena scommettere e immaginare il proprio presente e il proprio futuro come progetto, attesa, sogno?». È la domanda, profondamente umana, attorno a cui ruota la lettera alla comunità che il vescovo di Trento ha consegnato in occasione della festa di san Vigilio, patrono della diocesi (26 giugno).

Il testo prende avvio da un dato inquietante: la cifra di quanto viene speso per il gioco d’azzardo ha superato il finanziamento per il Servizio sanitario nazionale. La comunità cristiana non può restare indifferente, perché viene interrogata nei suoi fondamenti: che ne è della possibilità di credere?

Il lettore è accompagnato attraverso alcune parole che segnano i fuochi attorno ai quali sostare insieme, per un confronto libero e onesto.

Mi fido. La vita si deve confrontare con la scelta bella e drammatica del fidarsi di qualcuno o di qualcosa. Una scelta che precede ogni pratica religiosa. La tendenza culturale invita tutti, soprattutto i giovani, a “credere in sé stessi” e a misurare ogni cosa su ciò che si può monetizzare.

Ma la fiducia è più profonda dell’aspetto visibile: «fidarsi è impegnativo. Eppure è l’unica strada per poter apprezzare la vita senza consegnarla ad un gioco di Stato. La fiducia è generativa. In verità desideriamo gli altri, non le cose».

Gli stessi giovani ci testimoniano che non è venuto meno il desiderio di affetti familiari, di impegno solidale, di occasioni per donare: la loro ricerca fa pensare.

Credo. La scommessa di Pascal è interessante, ma la fede non si può appoggiare solamente su un’intuizione filosofica, pur brillante. «La fede è dialogo con il proprio limite, ma anche anelito e compimento. Disincanto e insieme continua ripartenza. La fede traguarda nell’Amore: l’unico vero antidoto alla morte».

Le donne e gli uomini contemporanei non sentono la necessità di scommettere sull’esistenza di Dio, ma esprimono una domanda di spiritualità per vie nuove, lontane dalla dimensione comunitaria: Dio o idolo?

Dio mite. Al cuore della lettera è descritta la carta di identità di Gesù di Nazaret attraverso la categoria della mitezza. Non è la virtù del remissivo, ma è la vera potenza: «Il mite è più forte della propria forza, più potente della propria potenza». Va oltre la tolleranza, che si nutre di reciprocità: la mitezza, invece, è puro dono, incondizionato. «La mitezza è certamente una virtù “debole”, ma non appartiene ai deboli».

Il mite «rifiuta le divisioni manichee tra bene e male, bianco e nero, luce e tenebra». Per questo il Mite per eccellenza è Gesù che, «con i suoi gesti, delinea una nuova umanità».

Spirito Santo. Gesù riceve la capacità di essere mite dal suo sguardo al cielo: la mitezza è dono dello Spirito Santo.

Ed è su questo dono che il vescovo Lauro si sofferma. «Invito ogni comunità cristiana trentina a chiedere il dono dello Spirito Santo per coltivare la mitezza (…). Ci è chiesto di abbandonare un modello di Chiesa tendenzialmente triste e immusonita per abbracciare una Chiesa che guarda al mondo e al tempo in cui vive non con risentimento o con ostilità, ma con gli occhi dell’amore inclusivo di Gesù. Anziché guardarci a lamentare l’assenza di partecipazione alle nostre liturgie, perché non provare piuttosto ad immaginare e spenderci per dar vita a un’eucaristia che sia festa per la possibilità di attingere alla stessa mitezza di Dio?».

La realtà sembra smentire questa possibilità, lo narrano le numerose voci contemporanee. Eppure lo sguardo del Vangelo parla di una messe che già abbonda, come ricorda il messaggio per la visita pastorale (cf. qui).

Pastore. L’immagine del Pastore è quella che meglio descrive il Dio mite. La lettera la tratteggia attraverso la testimonianza di un parroco che ha narrato, con il suo atteggiamento nel momento della morte, la capacità della Parola di Dio, da lui abitualmente frequentata, di donare quella mitezza che crea fiducia nel Signore.

Promessa. Si intrecciano le storie di altri testimoni: la missione in Bolivia abbracciata da un bibliotecario trentino, che sarà ordinato prete per la diocesi di El Alto; lo spicchio di cielo di Etty Hillesum; la forza di evangelizzazione di Alfredo Dall’Oglio, la cui morte in un campo di concentramento è legata all’odium fidei.

Mi fido, Credo, Dio mite, Spirito Santo, Pastore, Promessa: un breve alfabeto per tornare a scommettere su quel Dio che è presente nella barca dell’umanità, e si lascia destare dal grido di chi pensa che a lui non importi della morte dei suoi.

Il testo però prende avvio da una prima parola, Adelina: è la storia reale di chi è stato vittima del gioco d’azzardo.

Un invito per il lettore a stare nella realtà con uno sguardo di speranza; un aiuto per le comunità cristiane per trovare parole non-religiose (Bonhoeffer) con le quali raccontare Dio. Un’occasione, per chi si dice altrimenti, per ripensare alle sue scommesse e così lasciare entrare la promessa del Vangelo come dono per la dignità dell’umano.

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