Il culto non può essere fine a se stesso, ma deve radicarci nel passato (memoriale), aprirci ad un presente da amare e proiettarci nell’eternità.
L’emergenza del coronavirus sta cambiando anche lo scenario religioso dei cristiani.
Noi veniamo da una tradizione antichissima dove la ritualità è sempre stata il cuore del cristianesimo. Basterebbe guardare alla nostra pastorale per renderci conto di quanto tutto l’impianto delle parrocchie si sia sempre basato su celebrazioni e riti.
La santa messa, sia quella feriale e soprattutto quella festiva, è stata ed è il vero calendario e persino l’orologio per una parrocchia. Dall’eucarestia celebrata, infatti, parte la scansione di tutti gli impegni comunitari. La domenica è il culmine e la fonte della settimana e, nello stesso giorno, la santa messa la fa da padrona: è sempre stato inconcepibile anche solo immaginare una domenica senza quell’appuntamento.
Basti vedere come in questi ultimi anni, con il tracollo del numero dei preti, tutta l’azione delle unità pastorali sia sempre partita dalle celebrazioni domenicali, sia con o senza la presenza di un sacerdote. Gli stessi funerali, i battesimi e i matrimoni sono vissuti all’interno di un rito eucaristico.
La maggioranza degli eventi sia degli individui sia delle famiglie sia della società tutta trova nell’appuntamento rituale la propria ragione d’essere: la nascita, la morte, la malattia, la maturità, la festa, l’anniversario… Persino gli appuntamenti di carattere civile trovano lo spazio per un rito religioso.
Il precetto festivo poi, ha avuto (e continua ad avere ancora, almeno per una fascia di credenti) un ruolo determinante per dare il ritmo non solo ai singoli, ma a tutta la nostra società.
Io sottoscritto devo ammettere che, vicino ai settant’anni, sento stampato nel profondo del mio essere questo impegno domenicale e sarebbe per me quasi un dramma non poterlo vivere, al di là del peccato.
Alla fine si potrebbe così arrivare all’affermazione più drastica: togliete il rito e vi toglierò anche la religione! Sarebbe semplicemente drammatico se questo potesse avvenire.
Questo virus ci sta mettendo tutti con le spalle al muro e ci costringe ad una riflessione che, credo proprio, alla fine sarà solo benefica e fertile.
Potremmo intitolare questo scenario in questo modo: un cristianesimo senza riti! Potrebbe esistere? Se non potesse esistere, vuol dire che è nato morto. Potrebbe essere accusato di arbitrarietà. Sarebbe la negazione dell’evento centrale per la nostra fede, quello chiamato Gesù Cristo.
Non abbiamo mai avuto un’occasione come questa, un’opportunità mondiale persino, per iniziare una bella rivoluzione: passare dal rito alla vita di ogni giorno e rimettere il rito al suo posto giusto.
La nostra azione pastorale deve prima di tutto basarsi sulle relazioni d’amore. I pastori quindi, prima di essere celebranti, devono essere esperti di vita, innamorati della stessa e di ogni uomo, capaci di relazioni alte, educati all’incontro e al dialogo, convinti che il messaggio cristiano deve passare attraverso questa rete. La celebrazione con relativo rito, viene dopo, alla fine. Il culto deve servire per rinforzare il collegamento con la radice del passato (la memoria e il memoriale), deve riunire il popolo nel presente di amore e proiettarlo nell’eterno.
In questi ultimi anni abbiamo assistito invece alla diffusione proprio della “passione liturgica”. Preti, soprattutto giovani, che hanno aumentato il tempo dedicato ai riti, ai paramenti sacri, agli addobbi liturgici, ai chierichetti…. Per carità, tutte cose utili, ma… è bastata la cacchetta di un pipistrello cinese per azzerare tutto.
Non ho memoria di un anno in cui non si sia celebrata la Pasqua, neanche in tempo di guerra, o in periodi di persecuzione! Fino al concilio Vaticano II un evento come quello del coronavirus avrebbe indotto i fedeli a riunirsi numerosissimi per implorare in qualche santuario l’intervento della Madonna; grazie alla riconciliazione con la scienza, tutto questo non è più riproponibile.
Qualcuno si consola attraverso lo streaming; ma questo, per un vecchio del mestiere come me, fa solo tenerezza se non pena. Per carità: in tempo di siccità, buona persino la tempesta! Ma non venite a dire che tutto questo è normale. È più normale tenere le chiese aperte e permettere che i fedeli vi entrino, magari uno a uno, e possano raccogliersi in preghiera.
Verrà ancora il tempo per celebrare e far festa tutti insieme: intanto cerchiamo di amarci, rispettando le disposizioni delle autorità e continuando a pregare “ognuno come gli va”!
- Don Gigi Maistrello è cappellano del carcere di Vicenza.
Questa invece, più modestamente, è la mia opinione
La Messa (non) è finita
Il provvedimento dal nostro Vescovo Pierantonio in comunione con tutto l’episcopato italiano di sospendere le celebrazioni liturgiche per impedire il contagio del Corona virus, ha suscitato stupore, consenso, ma anche amarezza tra i fedeli e pure qualche polemica urlata sulla piazza virtuale.
Certo, fa una certa impressione vedere una chiesa vuota e desolata. Ma pure il sepolcro di Gerusalemme venne trovato vuoto dalle donne giunte di buonora sul luogo della sepoltura di Gesù.
Ci deve consolare quindi sapere che il Risorto è in mezzo a noi e il culto divino per la salvezza del mondo intero è assicurato dalla celebrazione di tutti i sacerdoti, senza concorso del popolo, nei monasteri e nei conventi. Oltre a ciò, non possiamo dimenticare che in altre parti del mondo la celebrazione dell’Eucarestia è garantita in comunione con tutto il popolo di Dio. Il fatto è che questo inaspettato provvedimento ci ha colti pastoralmente impreperati. La tradizionale concezione che il culto liturgico si identificasse con sola celebrazione presieduta da un sacerdote, ha subìto una scossa tale rivelarne il suo limite, ma anche le sue opportunità. Parroci e operatori pastorali non mancano di offrire sussidi per la celebrazione della Liturgia delle ore, che è l’attuazione più alta della dimensione orante affidata da Cristo ai suoi discepoli. Si prodigano per offrire modelli per la celebrazione della Parola di Dio in famiglia o le preghiere proposte dal Benedizionale per santificare il tempo, le persone e le cose, con una liturgia domestica presieduta da un laico: dal nonno, dal papà o dalla mamma. Anche la Messa è assicurata in televisione o sui tanti social. Ci troviamo ad operare in un “ospedale da campo”, come ebbe a dire Papa Francesco, dove ognuno è chiamato ad agire secondo le proprie forze e possibilità in questo tempo che solo apparentemente è a-liturgico, ma realmente sempre orante in quanto, “La vita spirituale tuttavia non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia. Il cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera in comune, è sempre tenuto a entrare nella propria stanza per pregare il Padre in segreto (…) L’Apostolo ci insegna anche a portare continuamente nel nostro corpo i patimenti di Gesù morente, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Per questo nel sacrificio della messa preghiamo il Signore che, « accettando l’offerta del sacrificio spirituale », faccia « di noi stessi un’offerta eterna». (SC 12)