“La lettura del mondo precede la lettura della parola” (Paulo Freire).
Quando sono invitato a proporre un’analisi delle congiunture sociali, politiche, economiche, ecclesiali, uso il tradizionale metodo “vedere-giudicare-agire”. Questo metodo era la caratteristica pastorale della Jeunesse Ouvrière Catholique (Joc) di padre Cardjin e – novità radicale nei processi di evangelizzazione – avrebbe potuto rappresentare una rivoluzione dello stile della presenza cristiana nelle società, quando fu autorevolmente ripreso da papa Giovanni XXIII, nell’enciclica Mater et magistra (15.5.1961)[1].
Non fu così, perché settori tradizionalisti cattolici osteggiarono questo metodo fin dall’inizio e, anche più recentemente, in occasione della Quinta Conferenza Episcopale dell’America Latina e dei Caraibi, Aparecida, Brasile (2007), ove vescovi latinoamericani e curia romana si mossero, ancora una volta, ma senza successo, per eliminare questo metodo nella stesura del documento finale della Conferenza.
Non è possibile ignorare che il metodo è anticipazione dello spirito di rinnovamento che il Concilio inaugura. Rileggendo la Gaudium et spes, uno dei documenti piú importanti del Concilio Ecumenico Vaticano II, incontriamo per ben due volte, ai numeri 4 e 11, la preoccupazione per i «segni dei tempi». Papa Giovanni XXIII è senza dubbio il protagonista del recupero di questa figura neotestamentaria (Mt 16, 1-4) che è fondamentale ad illuminare il discernimento e la prassi evangelica a servizio della vita.
Papa Giovanni aveva già richiamato la necessità di discernere i segni dei tempi nell’allocuzione del gennaio del 1959: «dobbiamo accogliere la raccomandazione di Gesù di saper distinguere i segni dei tempi». Infine, si ripete nella Costituzione Apostolica di convocazione del Concilio. È come se il Concilio e papa Giovanni ci invitassero profeticamente ad assumere la responsabilità evangelica di fare sempre un’analisi delle congiunture storiche, per permettere che la Parola possa sposarsi con la Vita.
Le Chiese europee riuscirono a valorizzare solo parzialmente l’intuizione di Cardjin e di papa Giovanni. Come esempi italiani, ricordo la presenza di questo metodo nello scoutismo e nell’Azione Cattolica e, negli anni 70, nei documenti della CEI sulla promozione umana. Ma non è mai diventato il metodo della pastorale parrocchiale e diocesana, dove continua ad essere dimenticato e rimosso. Fu invece in America Latina, con la Seconda Conferenza Episcopale dell’America Latina e dei Caraibi, a Medellín Colombia (1968), che il metodo “vedere-giudicare-agire” divenne patrimonio pastorale delle Chiese del Nuovo Mondo.
La sua importanza risulta evidente quando il metodo non costituisce semplicemente la trama della stesura di documenti ufficiali e di programmi pastorali, ma quando è l’ispirazione della prassi pastorale concreta dei missionari. Insomma, il testo più importante da leggere è la concretezza della vita dei poveri.
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In questi anni di accompagnamento pastorale delle comunità contadine in conflitto, mi accade di sentire la necessità di aggiungere alcuni correttivi metodologici al vecchio metodo. Insistere semplicemente sull’atteggiamento del “vedere” può metterci, infatti, nella condizione di semplici e accomodati spettatori della lotta, della speranza e della sofferenza dei poveri, riducendo alla dimensione sociologica e politica la complessità esistenziale dei piccoli di Gesù.
Quindi non possiamo limitarci a vedere, ma siamo invitati, soprattutto, a “sentire” nella dimensione emotiva e spirituale dell’incontro, che si traduce in indignazione, empatia, compassione e solidarietà. Così, il “sentire” è già un “giudicare” teologico e un conseguente “agire” politico, che viene immediatamente illuminato dalla persona, dalla Parola, dal progetto di Gesù, che ci accompagna nel discernimento, nel “giudicare”.
Un’altra importante aggiunta è la dimensione del “volere “quale anticamera dell’agire”: cosa si vuol costruire, quali sono gli obiettivi, come le croci e le speranze dei poveri possano suggerire, senza mai sostituirci alla loro iniziativa e al loro protagonismo, il discernimento delle prospettive e delle priorità della lotta e quindi le decisioni di organizzazione, mobilitazione e confronto.
Riconoscere, inoltre, i nostri veri desideri – il nostro volere – ci rivela il grado effettivo della nostra radicalità o del modo in cui ci adattiamo acriticamente ai costumi e alle convenzioni del mondo così com’è.
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Un altro aspetto spesso trascurato nelle analisi congiunturali è l’attenzione al passato. Concentrare l’analisi solamente sull’attualità significa ignorare la permanenza di questioni strutturali, non meramente congiunturali. Inoltre, la congiuntura porta sempre con sé memorie, perché coloro che dimenticano il passato sono ciechi del presente. E così saremo ancor più attenti al passato e all’ancestralità, spesso nascosta, delle comunità che accompagniamo.
Un altro vizio che può trasformare l’analisi in un rito vuoto e irrilevante è quello che io definisco “la lista della spesa”: nella Chiesa brasiliana, da tempo, infatti, o abbiamo completamente abbandonato l’attenzione alla realtà o ci siamo abituati ad analisi in cui appare la minuziosa presentazione delle situazioni economiche, sociali, ecclesiali e politiche, ma l’assenza di qualunque tentativo di discernimento delle sfide e delle opportunità di intervento e trasformazione.
Così abbiamo analisi di una incredibile neutralità cinica, ridotte a informazioni e incapaci quindi di provocare indignazione e compassione, di mobilitare le coscienze e illuminare prassi pacifiche di insurrezione contro il sistema capitalista e le istituzioni che si pongono al suo servizio.
[1] La Mater et magistra riassume così il metodo: “Nel tradurre in termini di concretezza i principi e le direttive sociali, si passa di solito attraverso tre momenti: rilevazione delle situazioni; valutazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determinazione di ciò che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo modi e gradi che le stesse situazioni consentono o reclamano. Sono i tre momenti che si usa esprimere nei tre termini: vedere, giudicare, agire” (217).