Verso una pastorale sinodale

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Il cammino sinodale finora realizzato rischia di restare uno slogan finché non verrà assimilato dalla pastorale ordinaria. Il lavoro fatto e le novità acquisite finora dovrebbero giungere a permeare il vissuto delle comunità generando nuove dinamiche in termini di partecipazione, relazione rinnovate fra i credenti con la propria comunità e, soprattutto, uno stile più missionario aperto a tutti, non richiuso nell’orbita territoriale e mentale del campanile.

Comunità libere dall’ansia di prestazione, da un proselitismo di bassa lega e di bottega, non ansiose dei risultati e del consenso a buon mercato.

Il card. Martini invitava sempre a coltivare l’onestà intellettuale che consiste nel discernimento onesto guidato dalla spada della Parola che non ammette sconti e compromessi, se si vuole coltivare una spiritualità biblica attenta alla concretezza delle situazioni e non finalizzata solo al proprio progresso spirituale da coltivare a prescindere dalle scelte pastorali, che vanno invece filtrate chiedendosi onestamente per Chi lo si fa, perché e come. Diversamente, si creerebbe una sfasatura e una dissociazione tra le enunciazioni teoriche di maniera e la prassi concreta.

Si rischia anche di produrre una sinodalità di facciata, un’etichetta da appioppare in buona fede ad ogni cosa e iniziativa, mentre in realtà, sotto la nuova vernice, permane lo stile di sempre.

Nei decenni passati si parlava di pastorale organica, unitaria, d’insieme: dire oggi sinodalità significa cogliere in quei suggerimenti pastorali la caratteristica peculiare della Chiesa.

Il popolo delle parrocchie

Il card. Martini utilizzava questa immagine per delineare la situazione religiosa: «Un albero si compone di tante parti; diciamo la linfa, il midollo, la corteccia. La linfa sono i cattolici molto impegnati; il midollo dell’albero è costituito dai cattolici che frequentano regolarmente la messa e i sacramenti senza altri impegni particolari. Tutto il resto è corteccia: battezzati con un minimo di educazione cattolica infantile e poi nessun altro contatto».

Il discernimento in questo movimento sinodale di ascolto si è esercitato nell’esaminare e accogliere le istanze dei vicini, anche se non è mancato l’ascolto di chi si colloca un po’ ai margini e sulla soglia: il mondo dell’indifferenza, dell’ateismo, dell’agnosticismo. Ma non dappertutto si è fatto così.

Papa Francesco si era espresso chiaramente al riguardo: «Dovremmo domandarci quanto facciamo spazio e quando ascoltiamo realmente nelle nostre comunità le voci dei giovani, delle donne, dei poveri, di coloro che sono delusi, di chi nella vita è stato ferito ed è arrabbiato con la Chiesa.

Fino a quando la loro presenza resterà una nota sporadica nel complesso della vita ecclesiale, la Chiesa non sarà sinodale, sarà una Chiesa di pochi. Il Sinodo ci chiama a diventare una Chiesa che cammina con gioia, con umiltà e con creatività dentro questo nostro tempo, nella consapevolezza che siamo tutti vulnerabili e abbiamo bisogno gli uni dagli altri».

Recentemente, S. Dianich ha fatto notare che «la parte rimasta più estranea all’evento è quel popolo delle parrocchie che non partecipa abitualmente alle iniziative proposte lungo la settimana e che si fa partecipe della vita della Chiesa solo alla messa della domenica. Fra costoro ci sono anche fedeli che rendono buona testimonianza al Vangelo nel mondo ma che, per situazioni familiari particolari, non possono partecipare in altre occasioni. Non mancano inoltre persone che difficilmente possono essere parte attiva della vita parrocchiale, perché assorbiti in ruoli pubblici rilevanti al di là dei confini della Chiesa locale e che, per questo, sarebbe utile fossero consultate» (VP 9 / 2023).

Un ascolto a tutto campo

Comunque, in tante Chiese locali non ci si è limitati a dialogare con gli assidui e gli impegnati, ma si è allargato il dialogo realizzando un ascolto a tutto campo delle voci di tutti, come richiesto da papa Francesco e realizzato con creatività ed entusiasmo.

Servizio della Parola ha dedicato un numero speciale al Sinodo, segnalando esperienze e dialoghi con la gente comune ben descritti da Giuseppina de Simone:  «Dai mercati alle strade della passeggiata serale, dalle scuole alle carceri, al mondo delle professione e delle istituzioni, ma anche l’incontro con gli artisti, con i fratelli delle altre confessioni cristiane, con i credenti di altre tradizioni religiose e con quanti hanno preso le distanze dalla comunità ecclesiale o si sentono ai margini di essa. Con tutti loro è stata posta la domanda sulla Chiesa usando gli strumenti più vari: dal questionario, alla scatola dei messaggi messa in fondo alla chiesa; dal dialogo semplice imbastito con le persone per strada, ai tavoli di confronto.

L’esercizio dell’ascolto vissuto in questa inedita apertura ha fatto toccare con mano quanto sia necessario allargare sempre di più i confini delle nostre comunità, «allargare lo spazio della tenda», come recita il documento della tappa continentale, perché nessuno in realtà è estraneo all’amore di Dio e al mistero della salvezza ed è per questo che la Chiesa deve essere sempre di più «per tutte con tutti», a fianco di tutti, «tra la gente» (Servizio della Parola 550/2023, Esercizi di sinodalità, pag.14-15).

Si è così realizzato l’ascolto che già 40 anni fa auspicava padre Ernesto Balducci: «Si tratta di misurare la nostra fede con l’uomo; di rimettere tutto ciò che abbiamo (anche la nostra liturgia, le nostre teologie, i nostri organismi giuridici) a confronto con l’uomo per il quale tutto questo non significa niente, con l’uomo che, passando davanti a questo edificio, scuote la testa perché non vi sente dentro il respiro delle sue speranze» (E. Balducci Il mandorlo e il fuoco, pag. 369).

Non si torna indietro

Nella futura esortazione apostolica postsinodale gli scettici vedono già il solito documento programmatico senza grosso seguito e conseguenze, ignorando però che AL era stata accolta con lo stesso atteggiamento e dai dubia che puntualmente sono stati sollevati anche sul processo sinodale.

Nella logica che il tempo è superiore allo spazio, papa Francesco con Amoris laetitia ha innescato un processo che, segnando un passo in avanti rispetto a Familiaris consortio, permette alla Chiesa di essere comunità accogliente e inclusiva come lo era Gesù nel contatto con le fragilità. Le scelte in tal senso di AL sono ben radicate nella teologia e, nelle applicazioni concrete, molto ponderate.

Come AL con quel risultato è stato il frutto di una consultazione ad ampio raggio del popolo di Dio, a maggiore ragione e con tutta evidenza lo sarà il testo finale dell’attuale Sinodo.

Certo, non è pensabile un cambiamento in tempi brevi, come non lo è stato quello auspicato a suo tempo dal Concilio. Quelli che ci hanno creduto e ci credono però hanno determinato un effettivo cambiamento non solo formale. È stato avviato un processo, qual è d’altronde il Sinodo, e occorrono uomini e donne che incarnino l’atteggiamento di una Chiesa in cammino costante sulla Via tracciata da Gesù e in cammino con gli uomini.

Certamente – come ci ricorda Stella Morra – «non si torna indietro dall’idea che tutti sono soggetti nella Chiesa. Tutti hanno diritto di parola. Tutti sono responsabili, non collaboratori. Tutti possono fare un gesto di Chiesa in dialogo con gli altri. Parola, responsabilità e gesto di ogni battezzato sono Chiesa. Non è solo il papa. E questo non è poco».

Recentemente il card. Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, ha indicato la direzione da seguire se ci si vuol veramente immettere nel processo di rinnovamento e di riforma avviato da papa Francesco e concretizzato in tante sue scelte e infine nel Sinodo. «Se vogliamo parlare alle persone di oggi e di domani dobbiamo usare il loro linguaggio. Dobbiamo conoscere i loro valori, dobbiamo sapere cosa fa battere il loro cuore; dobbiamo sapere cosa li rende felici, cosa li rende tristi. In una Chiesa sinodale c’è un’autocorrezione perché, se ascoltiamo i laici, se siamo consapevoli che tutti insieme siamo il popolo di Dio, allora ascoltiamo, sentiamo quelle persone e possiamo cambiare i nostri atteggiamenti»

Il processo di autocorrezione da parte dei laici e dei presbiteri, lungi dall’essere un fatto puntuale, se diventa, anche nella reciprocità, uno stile duraturo, sarà la concretizzazione della visione di papa Francesco quando parla di innescare dei processi nel tempo.

Lo stile duraturo è stato bene espresso da don Valentino Bulgarelli come un «far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani».

È bene, infine, tener presente ciò che il papa ha detto quando ha delineato il nuovo volto del papato e della Chiesa, rettificando ulteriormente la visione piramidale e la concezione dei ruoli nella Chiesa non secondo la logica del sub et supra, bensì in quella della fraternità fondata nel battesimo e nella logica della diversità dei ruoli. «Il papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa, ma dentro di essa, come battezzato tra i battezzati e dentro il collegio episcopale come vescovo tra i vescovi chiamato, al contempo come successore dell’apostolo Pietro a guidare la chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese» (17 ottobre 2015).

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