La Chiesa non ha «il potere di impartire la benedizione alle unioni dello stesso sesso» perché «non benedice e non può benedire il peccato». È quanto ha affermato a metà dello scorso mese di marzo il cardinale spagnolo Luis F. Ladaria, presidente della Congregazione per la dottrina della fede, in un responso (Responsum) la cui pubblicazione ha avuto l’“assenso” del papa.
Come è noto, Francesco nel 2018 dichiarò a Juan Carlos Cruz – giornalista, vittima del sacerdote cileno Fernando Karadima nominato recentemente membro della Pontificia Commissione per la protezione dei minori – che non riteneva importante il fatto di essere gay: «Dio ti ha fatto così e ti ama così e a me non importa. Il papa ti ama così, devi essere contento di quello che sei». Ed è anche noto, come ha sostenuto nell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, dopo aver sanzionato ogni stigmatizzazione degli omosessuali, che «non possiamo giudicare duramente chi vive in condizioni molto fragili» e non prestare la dovuta attenzione o disprezzare i semi della verità e della bontà che traspaiono in ogni relazione.
Non può forse essere fuori luogo sottolineare che un’esortazione apostolica è qualcosa che assomiglia più una legge organica che non ad un ordine ministeriale quale, nel migliore dei casi, sarebbe il responso del card. Ladaria
Mi sembra opportuno ricordarlo, in particolare, a chi cerca di risolvere un problema di natura pastorale con argomenti esclusivamente giuridici e di autorità. Sì, capisco che non trovino in questo campo nemmeno il terreno solido che credono di scoprire in questa responso del Dicastero, non di Francesco, sebbene ne abbia autorizzato la pubblicazione, poiché – d’altronde – è obbligatorio per tutti gli organismi della curia.
Le reazioni non si sono fatte attendere: di fronte agli euforici sostenitori delle “verità non negoziabili” – in cui si sentono a loro agio i tifosi dei due papi che hanno preceduto Francesco – molte parrocchie austriache hanno risposto issando all’esterno nelle loro sedi la bandiera dell’arcobaleno in solidarietà con la comunità LGBT e di protesta contro quella che considerano una «posizione obsoleta».
Lo stesso cardinale arcivescovo di Vienna ha dichiarato di «non essere soddisfatto» di questo responso. Nel 2015, in occasione del secondo dei due Sinodi in cui fu affrontata la questione, aveva già difeso – insieme ad altri vescovi – l’esistenza di «elementi positivi» nelle unioni fuori del matrimonio canonico. Per questo, sostenne che la Chiesa doveva smetterla di essere un’istanza inacidita in nome di una verità immutabile ed essere disposta a favorire il «bene possibile» che si fonda e si manifesta in tutti i rapporti umani (compresa l’omosessualità). E, favorendo un simile «bene possibile», proiettarlo nel futuro.
Credo che questo sia il punto di differenza più importante tra il pontificato di Francesco e quelli di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, magnificamente presentato dallo stesso cardinale Schönborn in un’intervista pubblicata quell’anno su La Civiltà Cattolica, la rivista ufficiosa del Vaticano.
In quell’occasione, il cardinale di Vienna si presentò come una persona che aveva sofferto il divorzio dei suoi genitori e dei suoi nonni e che aveva vissuto come pochi altri cosa significasse far parte di una famiglia patchwork (in frantumi¸ patch, mosaico), una situazione – ha affermato – che purtroppo stava diventando abituale in tante persone oggi. Forse per questo – ha sottolineato nella sua testimonianza – gli era stata offerta anche l’opportunità di riconoscere, come fece Gesù di Nazareth, elementi di verità e di santità dentro situazioni che, secondo i sostenitori delle cosiddette “verità non negoziabili”, «erano intrinsecamente immorali».
È ha raccontato al suo intervistatore che, quando studiava a Parigi (Le Saulchoir), era solito passare sotto la Senna, diretto al convento di Evry. Là, in uno dei ponti, viveva una coppia di mendicanti composta da una donna che era stata una prostituta e un uomo di cui non conosceva il passato. Non erano sposati e non frequentavano la chiesa. Ma ogni volta che passava di lì – affermò il cardinale Ch. Schönborn – e li vedeva trattarsi con affetto e tenerezza, non poteva fare a meno di dire a se stesso: «Dio mio, camminano insieme nel mezzo di una vita particolarmente dura e difficile! E si aiutano a vicenda!». «Che cosa grande e bella che questi due poveri si aiutino a vicenda in mezzo a tanta desolazione!». Dio era là in mezzo a loro. E si manifestava in quei gesti di affetto e di tenerezza. E nel sostegno che si offrivano.
Questo doppio riferimento al suo percorso esistenziale come membro di una famiglia patchwork e alla bellezza e all’amore che emergevano nel chiaroscuro della vita nel caso dei mendicanti di Parigi, lo hanno portato a sottolineare tre punti che riteneva decisivi del cambiamento dei tempi iniziato con il pontificato di Francesco: il primo, riferito al passaggio da uno sguardo escludente – spesso legato ai libri e alle “verità non negoziabili” – ad uno inclusivo e fondato sulla figura del Buon Pastore; il secondo, inteso a mostrare le radici tradizionali di questo sguardo, e, il terzo ed ultimo, mirato a mostrare l’importanza di accogliere, accompagnare, discernere e integrare anziché condannare.
Non mi meraviglia che alcune centinaia di sacerdoti in Germania, come anche in Austria e Svizzera, abbiano concordato di benedire il 10 maggio, sfidando il responso vaticano, «le unioni di persone che si amano», indipendentemente dal fatto che siano coppie lesbiche, gay, bisessuali. o transessuali. Né mi sorprende che aumenti il numero dei vescovi contrari a sanzionare coloro che aderiscono a questa campagna né che ci siano giovani che – come è successo ad Anversa – hanno abbandonato la Chiesa cattolica chiedendo di essere cancellati dai registri battesimali.
E invero non mi sorprende che, qui da noi, nei Paesi Baschi, il vescovo di San Sebastián, mons. Munilla, abbia proposto di creare «una catena di preghiera e di digiuno per l’unità della Chiesa in Germania» e la sua comunione con il magistero ecclesiale. Suppongo perché preoccupato non tanto per detta unità, ma per un possibile cambiamento nel Catechismo che lasci nel forziere dei ricordi la tesi secondo cui l’orientamento verso persone dello stesso sesso «è oggettivamente disordinato».
Non è forse più conforme il Vangelo e la ragione riconoscere liberamente che le persone attratte dal medesimo sesso «sono orientate diversamente»?
Spero che, tra non molto, sia possibile leggere questo, o qualcosa di simile, nel detto Catechismo. È già successo prima con la pena di morte e la cosiddetta guerra giusta. Perché non con le unioni omosessuali?
No.