Il coronavirus condiziona i gesti e i riti della celebrazione cristiana. Con esiti diversificati nelle varie confessioni: dall’accettazione della CEI al rifiuto del sinodo della Chiesa ortodossa greca. La Conferenza episcopale italiana ha recepito, con qualche resistenza, la soppressione delle messe e delle celebrazioni in questo avvio di quaresima imposte dal governo.
Si avvertono nel comunicato la perplessità e la resistenza: «L’interpretazione fornita dal governo include rigorosamente le sante messe e le esequie tra le cerimonie religiose. Si tratta di una passaggio fortemente restrittivo, la cui accoglienza incontra sofferenze e difficoltà nei pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. L’accoglienza del decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica» (8 marzo). Il giorno successivo il governo ha esteso la «zona rossa» a tutto il paese nel tentativo di contenere i danni dell’epidemia.
Italia: un sì sofferto
I vescovi hanno seguito le indicazioni, ma qualche resistenza è riscontrabile nei parroci, in alcuni gruppi di fedeli e nelle file del tradizionalismo. Una voce pacata come quella di Andrea Riccardi annota: «Non si capisce, perché siano interdetti culto e preghiere, se celebrati in sicurezza. Forse non tutti i decisori penetrano il senso peculiare della messa per i credenti, di cui gli antichi martiri dicevano “Sine Dominico non possumus”».
E aggiunge: «Si sfiora il giurisdizionalismo, ispirato certo da prudenza ma che non considera una visione olistica della persona e della sua tenuta» (Corriere della sera, 9 marzo). Più aggressivi e meno motivati i rifiuti delle minoranze tradizionaliste che parlano di «una gravissima omissione dolosa del mandato di Cristo alla Chiesa e ai suoi ministri che sono chiamati ad assolvere al dovere di dispensare i mezzi di salvezza in ogni umana circostanza, in pace e in guerra, rischiando anche la vita, se necessario» (Fabio Adernò).
Germania e Francia
Come si comportano le altre confessioni? In generale si adeguano alle diverse situazioni dei paesi. Richiamo il caso luterano in Germania, quello cattolico in Francia e quello ortodosso in Grecia.
Alla fine di febbraio (le date sono importanti per la rapidità della diffusione del virus) la Chiesa evangelica in Germania in un suo comunicato così si esprime: «Finora il coronavirus ha avuto un impatto limitato sulla vita delle Chiese». Registra poi la soppressione del culto pubblico in alcune aree a rischio ad Heinsberg e ripete alcune indicazioni: è sconsigliato far passare il calice e la comunione è meglio farla per intinzione; in Baviera ci si limita alla comunione col pane. Si consiglia ai ministri di lavarsi bene le mani prima del culto e di prestare attenzione a qualsiasi contatto fisico.
In Francia, il segretario generale della Conferenza episcopale, T. Magnin, il 5 marzo richiama l’opportunità di non scambiarsi il segno della pace o l’abbraccio, di usare acqua con sapone nel lavabo dell’offertorio, di consigliare ai concelebranti l’intinzione e non la condivisione del calice, di dare la comunione sulle mani dei fedeli. Il celebrante si lavi le mani dopo la comunione e si svuotino le acquasantiere all’entrata delle chiese.
Greci – ortodossi: celebrazioni confermate
In senso opposto vanno le indicazioni del sinodo della Chiesa ortodossa greca. In un comunicato diffuso il 10 marzo si raccomanda: «1. Intensificare le preghiere al Vincitore della corruttibilità e della morte, il Signore Gesù Cristo, perché preservi il suo popolo sano e salvo. A questo fine è richiesto ai vescovi metropoliti di raccomandare ai parroci che domenica prossima, la seconda della grande quaresima (15 marzo), prima del saluto finale della santa liturgia, recitino una preghiera in tutte le chiese di Grecia, per prevenire il contagio della malattia.
2) Per i fedeli della chiesa, la partecipazione alla divina eucaristia e alla comunione al calice della vita non possono diventare causa di trasmissione di malattia, perché i fedeli di tutti i tempi sanno che la partecipazione alla divina comunione, anche durante le pandemie, costituisce un’affermazione chiara dell’abbandono di sé al Dio vivente e, dall’altra parte, una manifestazione chiara dell’amore che vince tutte le paure umane, anche giustificate. … Le discussioni e le opinioni ascoltate in questi ultimi giorni in merito, fino all’eventuale interdizione dell’eucaristia, partono da un punto d’origine differente e hanno un approccio differente. Tutti quelli che partecipano del sacramento “con timore di Dio, fede e amore”, pienamente liberi, senza alcun condizionamento, comunicano al corpo e al sangue di Cristo che diventa “rimedio di immortalità”, “per la remissione dei peccati e la vita eterna”. Senza condannare nessuno in ragione del timore e dell’inquietudine, noi confessiamo che tutti i fedeli, compiendo il dovere dell’amore nella libertà, continueranno a frequentare le nostre chiese, con la certezza che essi comunicano con la Vita e l’immortalità».
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