«L’impressione che il papa non sia abbastanza duro nei confronti dei molestatori è sbagliata. La linea generale per giudicare e arrivare a sentenza non è cambiata». Ecco quanto ha riferito alla rivista America Hans Zollner, presidente del Centro di protezione del bambino presso la Pontificia università Gregoriana a Roma, nell’intervista dove spiega che cosa il papa e la Commissione pontificia per la protezione dei minori (CPPM) stanno facendo per combattere la pedofilia e assicurare la protezione dei bambini nelle istituzioni ecclesiali in tutto il mondo. C’è stato un grande dibattito al fine di fare ricadere la responsabilità sui vescovi. La CPPM ha raccomandato l’istituzione di un tribunale speciale per trattare i casi di negligenza, e ha ottenuto l’approvazione del papa. Il Vaticano ha annunciato, nel giugno 2015, che questo tribunale sarebbe stato istituito, ma questo non è mai avvenuto. Padre Zollner spiega il perché. Papa Francesco ha costituito la CPPM il 22 marzo 2014 e ha scelto p. Zollner come uno dei membri fondatori insieme a Marie Collins – l’irlandese vittima di abusi le cui recenti dimissioni hanno scosso la Chiesa. In questa intervista, il gesuita tedesco spiega il lavoro che la Commissione sta facendo per formare le autorità vaticane e le Conferenze episcopali del mondo circa la salvaguardia dei minori. Nell’intervista c’è anche un suo commento sulle dimissioni di Marie Collins. Quanto segue è la versione dell’intervista, lievemente modificata, rilasciata a Gerard O’Connell per la rivista dei gesuiti statunitensi America.
– Padre Zollner, qualcuno ha messo sotto accusa papa Francesco che, pur dichiarando spesso di combattere la pedofilia nella Chiesa, sarebbe poco severo nei confronti dei molestatori. Cosa ci può dire di queste accuse?
Prima di tutto, l’impressione che il papa non sia abbastanza duro nei confronti dei pedofili è sbagliata. La linea generale per giudicare e arrivare a sentenza non è cambiata. Sono state introdotte alcune misure perché, anche in caso di appello, la sentenza giunga in tempi brevi. Alle vittime sopravvissute e all’accusato viene fatta conoscere in anticipo la decisione finale. Contrariamente a quanto pensa l’opinione pubblica, il motu proprio Come una madre amorevole (4 giugno 2014) ha come effetto di chiarire e rafforzare le procedure che erano già presenti e applicate in caso di necessità.
Inoltre, so che, da allora, sono arrivate da ogni parte del mondo accuse contro i vescovi in relazione alla loro responsabilità, sebbene questo non sia di divulgazione pubblica. Primo, perché non abbiamo un registro che raccolga le accuse che arrivano e anche perché il mondo anglofono occidentale è interessato soprattutto ai propri paesi e non guarda oltre, verso l’America Latina, l’Asia o l’Africa, dove abbiamo avuto vescovi e provinciali che si sono dovuti dimettere.
– Perché il Vaticano non divulga questa informazione?
Penso che la ragione per cui non si parla di questi casi divulgando nomi e circostanze sia, prima di tutto, per permettere lo sviluppo delle indagini e del processo e, secondo, per garantire i diritti della persona coinvolta. Si deve capire che, quando giunge un’accusa sia di abuso su un minore sia di protezione del molestatore, se il nome viene divulgato pubblicamente significa la fine della carriera ancor prima che ci sia stata una sentenza giuridica e indipendentemente dal fatto che uno sia colpevole o no. A parte ciò, uno dei principi guida del Codice di diritto canonico è che si protegga il buon nome di tutti coloro che sono coinvolti.
Non sono un avvocato canonista, ma penso che bisogna tener conto delle procedure e delle pratiche relative. Dobbiamo investigare come sono recepite e riconosciute le lettere delle vittime sopravvissute e le relative accuse. Questa prassi è stata presa in esame e penso che sia in arrivo qualche cambiamento. Il motu proprio non è quello che la Commissione ha raccomandato al papa. Esso è stato erroneamente recepito dall’informazione pubblica, come se fosse stato istituito un nuovo tribunale.
– Ma il Vaticano, il papa lo ha detto.
Il papa ne ha parlato, ma non saprei se egli ha usato il termine per la prima volta oppure se altri gli hanno parlato di un tribunale. In ogni caso, la Congregazione per la dottrina della fede (CDF) ha le qualità per essere un tribunale. Ciò di cui c’era bisogno erano le linee guida su che cosa consistesse il processo, come allestirlo, come fare in modo che le decisioni siano messe in atto. È questa l’intenzione del motu proprio Come una madre amorevole, che concede alle quattro congregazioni coinvolte – dei vescovi, dell’evangelizzazione dei popoli, dei religiosi e delle Chiese orientali – il compito di definire come devono essere trattate le accuse inoltrate a partire dalla loro area di competenza.
– La maggior parte della gente non sa che la Chiesa non è un blocco monolitico; pensano che il Vaticano abbia un solo ministero che tratta con gli ordinari, cioè con i vescovi, e con i provinciali.
Di fatto, abbiamo tre congregazioni che trattano con i vescovi, e una con i religiosi. Le quattro congregazioni devono dar vita a procedure proprie, quindi, se c’è un’accusa contro un vescovo (o un provinciale), la congregazione di riferimento deve condurre un’indagine su quell’accusa e se, come risultato di essa, viene deciso che il vescovo debba essere rimosso, deve inviare questa raccomandazione al papa il quale, secondo il motu proprio, consulta “un collegio di esperti legali” prima di emettere la decisione finale.
– Oltre a spingere sulla responsabilità dei vescovi, cos’altro ha conseguito la CPPM?
Un’altra raccomandazione della Commissione approvata dal papa è la Giornata di preghiera per le vittime di abuso. Il 3 marzo scorso, c’e stata una Giornata di preghiera in Irlanda e in Polonia, che sono tradizionalmente fra i paesi più cattolici in Europa. La preghiera è vitale per la nostra fede, e per questo è doveroso che le persone profondamente ferite (in specie da rappresentanti della Chiesa) con tutto il seguito di sofferenza, di passione, di rabbia, di depressione e di morte, rientrino nell’ambito della preghiera. Una volta che tutto ciò è accolto e riconosciuto nel nostro dialogo con Dio, porta a dei cambiamenti sia a livello spirituale sia a livello teologico, in relazione al trauma spirituale e alle questioni teologiche sottese. Purtroppo, la Chiesa spesso non ritiene necessario arrivare così in profondità.
C’è un altro traguardo che è degno di nota: la Commissione è stata invitata dai dicasteri vaticani per insegnare e per informare tutti gli altri membri, dai cardinali ai “minutanti”, su quanto concerne la protezione dei bambini. Questo è già avvenuto in tre dicasteri e c’è la prospettiva di collaborare con altri due verso la fine di quest’anno. Lo scorso settembre, siamo stati invitati per la prima volta a partecipare al corso annuale vaticano per i nuovi vescovi al quale erano presenti circa 250 vescovi da tutto il mondo.
Inoltre, come membri della CPPM siamo invitati dalle conferenze dei vescovi in tutto il mondo, e molti di loro si sono seriamente impegnati circa la questione abusi. Ho personalmente visitato più di 40 paesi dei cinque continenti perché prendano consapevolezza e promuovano misure di salvaguardia. Anche altri membri della CPPM sono stati invitati in più paesi.
Il 23 marzo, il gruppo di lavoro sulle scuole della Commissione terrà un giorno di studio alla Gregoriana prendendo in esame l’America Latina, dove la Chiesa cattolica ha in gestione migliaia di scuole. Tutte devono assumersi la responsabilità di proteggere i minori. La Congregazione per l’educazione cattolica (CEC) è molto interessata a questo progetto e sarà presente.
Anche la Congregazione per il clero ha espresso interesse per il problema. Sono stato invitato alla procedura consultiva per preparare il nuovo programma per la formazione dei seminaristi. Al numero 202 delle nuove linee guida per la formazione dei seminaristi (Ratio fundamentalis), c’è scritto che in tutti i seminari di Rito latino i seminaristi e giovani preti devono essere formati e preparati in materia di salvaguardia dei minori.
– Questo vale anche per i religiosi?
Il testo si riferisce ai seminari diocesani, ma, ovvio, avrà impatto anche sulla formazione dei religiosi. Per esempio, i programmi di formazione dei benedettini, dei domenicani e dei salesiani dovranno essere rivisti dopo la pubblicazione di questo testo.
– Cosa può fare di più il papa in questo contesto?
Penso che non possa fare di più che evidenziare la gravità del crimine e il peccato che vi è implicato. Ha usato le parole più forti che si possano usare nella teologia cattolica.
– Come paragonare l’abuso sessuale di un bambino da parte di un prete ad una messa nera?
Sì, e ha anche paragonato l’abuso sessuale del corpo di un bambino all’abuso dell’eucaristia – un sacrilegio. Ha anche usato parole molto forti nella prefazione del libro recente di Daniel Pittet, un francese vittima di abuso quando era bambino ad opera di un prete cappuccino. Quelle non sono solo parole; egli conosce in profondità la sofferenza e la solitudine.
Che cosa potrebbe fare di più? Potrebbe dare più personale alla CDF e aiutare a revisionare le procedure così da garantire trasparenza e velocità nel processo. I vescovi americani, per esempio, inviano ogni caso alla CDF, anche se in America i casi civili non possono procedere per via dello statuto di limitazione presente nella legislazione civile.
– Mi sembra di capire che ci siano circa 200 casi di presunti abusi su minori perpetrati da sacerdoti che ancora devono essere trattati o conclusi definitivamente (o a livello di CDF o a livello diocesano). C’è abbastanza personale alla CDF per trattare questi casi?
No. Penso che la CDF al momento abbia 12 persone che si occupano di 400-500 presunte accuse ogni anno, e devono leggere ogni caso, richiedere chiarimenti quando necessario e quindi scrivere al riguardo facendo una raccomandazione. La mancanza di personale non è dovuta alla cattiva volontà della CDF o del papa. Una ragione per il limitato numero di personale sta nel fatto che ci sono ben pochi canonisti penalisti sufficientemente preparati per trattare tutti i casi. C’è mancanza di personale qualificato anche in altri campi. Nella Conferenza episcopale filippina, per esempio, ci sono solo poche persone con il dottorato o la licenza in diritto canonico. Ci sono vescovi che sono responsabili di centinaia di isole che non hanno nemmeno un avvocato canonista.
– Questo è un buon motivo per spiegare la frustrazione di Marie Collins.
Comprendo Marie. Capisco che non potesse sopportare il passo a rilento e anche una certa resistenza, come la percepiva lei. Dal mio punto di vista, analizzando l’atteggiamento della Chiesa verso i cambiamenti, si sono raggiunti dei risultati in un tempo relativamente breve; ma, confrontandolo con le proprie aspettative non è abbastanza. La gente si aspetta che papa Francesco si muova più velocemente, e molti non sopportano più di sentire che ci sono ancora dei vescovi che non agiscono con la dovuta celerità e decisione, o che vengano ancora alla luce casi di terribili abusi. Eppure, come ho avuto modo di vedere in tanti incontri nei molti paesi che ho visitato, molto è cambiato per il meglio a confronto di cinque anni fa quando abbiamo tenuto il primo simposio qui alla Gregoriana. Si può parlare pubblicamente di questo tema in posti come la Malesia, il Malawi, il Messico, la Slovacchia e la Polonia.
Sono completamente d’accordo che dovremmo investire molto di più nell’intervenire e nel prevenire gli abusi: dovremmo avere più risorse, più personale, anche se dobbiamo renderci conto che non ci sarà mai una sicurezza completa: aspettarsi questo sarebbe davvero un’illusione pericolosa. Per quanto ci si adoperi, ci saranno sempre casi isolati di abuso, oppure dei responsabili che non affrontano il problema in modo adeguato. Quello che dobbiamo fare è assicurare che questi casi siano sempre meno e sempre più isolati e rari, e che, quando accadono, siano trattati in modo veloce e giusto.
La gente deve rendersi conto – come Marie ha dichiarato in un’intervista – che il papa non è il direttore esecutivo di un’impresa globale chiamata Chiesa cattolica. Semplicemente non può sempre fare ciò che vorrebbe. E, anche se decide qualcosa, non è detto che i vescovi o i provinciali lo seguano immediatamente e incondizionatamente. Quello che siamo, quello che penso la Commissione sia, è legato ad un cambio di cultura, dal basso verso l’alto. Verifico che ciò accade in molti posti. L’ho visto accadere qui alla Gregoriana, dove in questo semestre abbiamo 24 studenti provenienti da 18 paesi allo scopo di acquisire un diploma sulla salvaguardia dei bambini dagli abusi. Sono persone eccellenti, inviate dai loro vescovi o dalle loro congregazioni.
La Commissione dei vescovi statunitensi ha inviato un laico per la sua formazione personale. Questo è il secondo anno che teniamo questo corso di diploma, e dal prossimo anno avremo una laurea multidisciplinare in salvaguardia/sicurezza dei minori. Vediamo la necessità di avere degli esperti in materia. Abbiamo al momento 8 dottorandi. Si potrebbe argomentare che sono pochi, ma sono i primi del genere che ritorneranno nei paesi occidentali, in India, e nei paesi dell’Africa e America Latina. Dobbiamo continuare. Il cambiamento sta prendendo piede, ma non lo percepiamo come rapido e pervasivo come vorremmo.
– Lei ha parlato con il papa; è convinto che, come dice Marie, ha capito?
Sì, il papa ha capito. Ha capito la profondità della pena e della sofferenza, della rabbia e della solitudine. Un esempio: padre Federico Lombardi e io abbiamo incontrato il papa il 16 dicembre 2016 e abbiamo parlato del congresso che si terrà qui alla Gregoriana il prossimo ottobre su “La dignità del bambino nel mondo digitale”. Abbiamo appena abbozzato alcune cose circa l’abuso sessuale su internet e come i governi non sappiano come comportarsi. Il papa si è mostrato subito coinvolto e interessato circa tutto questo e ha detto subito: “avete la mia piena approvazione e il mio supporto”. E posso assicurare che tutti i dicasteri ci stanno supportando in questo progetto.
– Un’ultima domanda: cosa ha provato quando ha saputo delle dimissioni di Marie Collins?
Sono stato molto rattristato. Sono rimasto molto scosso, perché pensavo che in cinque anni avevamo fatto tanti progressi. Sono passati più di cinque anni da quando l’avevamo invitata alla Gregoriana a partecipare al simposio assieme ai vescovi provenienti da ogni parte del mondo. Quindi, siamo stati tra i membri fondatori dall’istituzione della Commissione nel 2014, e da allora abbiamo avuto molte discussioni, abbiamo patito molte frustrazioni e ottenuto qualche progresso. Ho provato a chiederle con calma che cosa possiamo fare per completare i tre anni di mandato, ma lei ha detto chiaramente che non voleva più continuare.
Allo stesso tempo, alcune settimane fa, ci ha permesso di girare il video per la televisione pubblica statunitense circa la sua esperienza. È un video bellissimo che servirà ai nostri studenti sparsi in tutto il mondo come introduzione ai nostri corsi online (e-learning) sulla salvaguardia dei minori. Sarà lo starter del programma, perché crediamo che l’approccio debba essere quello della vittima prima di tutto. Sarà lei a parlare per prima, perché è stata la prima a parlare al simposio tenuto alla Gregoriana nel 2012. Ha concordato, anche dopo le sue dimissioni, che continuerà a lavorare nelle sessioni di formazione che abbiamo pianificato con i dicasteri della curia romana.
Io la rispetto in pieno. Penso di potere capire il suo punto di vista. Mi dispiace profondamente, eppure credo che quanto accaduto potrebbe diventare una benedizione nascosta perché ha scosso non solo quelli che hanno creduto nella Commissione grazie alla sua presenza, ma anche la curia stessa. Potrebbe aiutare a velocizzare quello che è in via di trattazione, ad affinare la sensibilità, ad affrontare il problema con maggiore fermezza e determinazione in relazione alla trasparenza, a spiegare cosa intendiamo per “tolleranza zero”, e per realizzare tutto quello che papa Francesco ha detto nella sua lettera ai vescovi il 28 dicembre 2016.