L’11 aprile scorso hanno avuto inizio in India le elezioni per il rinnovo della Camera bassa del parlamento (Lokh Saba, la cosiddetta Camera del popolo) e l’elezione del nuovo primo ministro. Sono le diciassettesime da quando il paese raggiunse l’indipendenza nell’agosto del 1947. La chiamata alle urne riguarda 900 milioni di indiani, su una popolazione di un miliardo e 300 milioni di abitanti.
Si svolgeranno in sette fasi – l’11, 18, 23, 29 aprile e il 6 maggio, il 12 e il 19, mentre lo scrutinio delle schede avrà inizio il 23 maggio.
Circa due terzi degli indiani hanno meno di 35 anni e 80 sono i milioni di giovani che voteranno per la prima la prima volta.
I membri della Camera del popolo vengono eletti direttamente dai cittadini col sistema uninominale: i seggi cioè andranno a chi ottiene, in un turno unico, la maggioranza relativa in ogni collegio. Ognuno dei 29 stati e dei 7 territori del paese ha un numero di rappresentanti proporzionale alla popolazione. Lo stato più popoloso è l’Uttar Pradesh che elegge 80 deputati. 8.000 mila sono i candidati e 543 i membri che saranno eletti alla Camera bassa del parlamento. La coalizione vincente dovrà comunque riuscire a controllare almeno 272 seggi.
Gli schieramenti
Le precedenti elezioni del 2014 avevano posto fine al lungo potere del Partito del Congresso (Indian National Congress), partito laico e di centrosinistra della famiglia Gandhi che aveva governato il paese per quasi 50 anni. Le elezioni infatti furono vinte da Narendra Modi, leader del partito Bharatiya Janata Party (BJP), di orientamento nazionalista indù e conservatore.
Nelle elezioni ora in atto, come nel 2014, due sono i candidati per la carica di primo ministro: Narendra Modi che si candida per il secondo mandato e Rahul Gandhi, capo del partito del Congresso, figlio di Sonia Gandhi e dell’ex primo ministro Rajiv.
Ma in questa circostanza si presentano anche alcuni partiti regionali che sono riusciti a coalizzarsi, formando un terzo fronte che raccoglie tra le sue file anche molte esponenti donne. I più importanti partiti che lo compongono sono Samajwadi Party (SP) guidato da Akhilesh Yadav, vicino ai musulmani, e il Bahujan Samaj Party (BSP) di Kumari Mayawati, prima ministra dell’Uttar Pradesh e leader dei dalit, cioè degli “intoccabili”. Questa coalizione potrebbe essere fondamentale per garantire a una delle due principali coalizioni la possibilità di vincere e di dare stabilità al governo.
Programmi e promesse
I temi che stanno al centro dell’attuale competizione elettorale sono l’economia, la disoccupazione e i recenti scontri con il Pakistan. A scatenare le ostilità tra i due paesi era stato l’attentato suicida, compiuto il 14 febbraio scorso, contro un convoglio di mezzi militari a Pulwama, nel sud dello stato di Jammu e Kashmir. L’attacco, il più grave degli ultimi 30 anni, era stato compiuto da un miliziano di Jaish-e-Mohammed (“l’esercito di Maometto”), gruppo terroristico che, secondo l’India, è appoggiato dal Pakistan.
L’India ha risposto colpendo i campi di addestramento di Jaish-e-Mohammed in Pakistan e, a sua volta, il Pakistan aveva abbattuto almeno un aereo da guerra indiano.
Modi ha subito cercato di sfruttare per la campagna elettorale sia l’attentato sia la risposta delle forze armate, riuscendovi con successo.
Modi, come scrive ilpost dell’11 aprile scorso, ha costruito la propria carriera politica facendo leva sul nazionalismo, ottenendo il sostegno dell’elettorato indù contro la minoranza musulmana. Durante il suo primo mandato, ha concentrato la sua attenzione sullo sviluppo e la crescita economica, diventando il punto di riferimento principale della classe media, degli industriali e degli uomini d’affari.
Il Partito del Congresso sta invece puntando le sue carte sul disagio degli agricoltori e delle persone più in difficoltà del Paese. Sostiene che serve un assalto finale alla povertà e ha annunciato che, se vincerà le elezioni, il suo governo introdurrà un reddito minimo garantito: darà cioè un sussidio al 20% delle famiglie più povere dell’India.
Anche Modi ha però fatto una serie di nuove promesse: riservare delle quote nei posti di lavoro pubblici alle categorie economicamente svantaggiate e sussidi a favore degli agricoltori.
Sempre secondo ilpost, sembra che il consenso nei confronti del Partito del Congresso stia crescendo, ma non abbastanza per ottenere la maggioranza dei voti. Secondo la maggior parte delle indagini, il BJP di Narendra Modi e della sua National Democratic Alliance resta il favorito.
Alcuni osservatori ritengono però che la vittoria non sarà stavolta garantita come nelle precedenti elezioni. Secondo una ricerca del Centre for the Study of Developing Societies (Csds) di Nuova Delhi, Narendra Modi resta il leader politico più popolare e il suo gradimento è al 43%: più alto di sette punti percentuali rispetto alla campagna elettorale di cinque anni fa.
Modi imbattibile?
Il fatto nuovo, tuttavia, come scrive la Fondazione Missio tedesca, riprendendo i dati di un’indagine della Fondazione Konrad-Adenauer, con sede a Nuova Delhi, è che Modi non sembra più imbattibile. Lo dimostrerebbero le sconfitte del suo partito BJP nelle elezioni locali del dicembre 2018 in tre importanti stati federali nell’India del nord. A influire negativamente sugli elettori sono stati l’introduzione dell’imposta sugli scambi (Iva), la svalutazione della rupia e il rallentamento della crescita economica soprattutto delle zone agricole.
Nel caso di una sua vittoria, a soffrirne maggiormente sarebbero ancora una volta soprattutto le minoranze religiose. Il BJP, di cui è capo, persegue infatti la realizzazione di uno stato teocratico induista in cui non ci deve essere spazio per le altre religioni, anche se ciò è in contrasto con la Costituzione del 1950 che proclamava l’India una democrazia laica e pluralista. Ma, da quando il paese è governato dal partito nazionalista BJP, le violenze dei gruppi radicali contro le minoranze cristiane e musulmane sono aumentate in maniera esponenziale.
Uno degli ultimi fatti è accaduto alla fine dello scorso mese di marzo, quando circa 200 radicali indù hanno attaccato e devastato una scuola cattolica nel Tamil Nadu. Quattro suore sono rimaste ferite mentre gli aggressori cercavano di strozzarle servendosi dei loro rosari. «Con il suo programma nazionalista – ha dichiarato il presidente di Missio, Wolfgang Huber – il partito di governo crea un clima di odio che favorisce queste atrocità”.
In India l’80% della popolazione è costituita da indù, da un 13% di musulmani e da circa il 2% da cristiani e sihk.
Dei 28 milioni di cristiani, circa 20 sono cattolici divisi tra rito latino, siro-malabarese e siro-malancarese. Le loro origini si rifanno all’apostolo Tommaso il quale, secondo la tradizione, avrebbe evangelizzato il sud dell’India verso il 70 dopo Cristo.