Libia, decisione grave passata sotto silenzio

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Forse perché troppo assorbiti dalle inquietanti notizie riguardanti il coronavirus e dai febbrili preparativi per il festival di Sanremo, gli italiani non hanno fatto molto caso al fatto che pochi giorni fa, il 2 febbraio scorso, è stato prorogato per altri tre anni il memorandum Italia-Libia, firmato dal governo Gentiloni nel febbraio del 2017 (peraltro, già allora, senza la ratifica del Parlamento in violazione di quanto previsto dall’art. 80 della Costituzione).

Una proroga – questo è il punto più problematico – che non ha introdotto alcuna modifica dell’accordo rispetto alle condizioni previste in quello di tre anni fa, ignorando i reiterati appelli provenienti non solo dalle ONG, ma dal Consiglio d’Europa che, proprio qualche giorno addietro, attraverso il suo commissario dei Diritti umani, Dunja Mijatovic, aveva chiesto all’Italia di «sospendere con urgenza le attività di cooperazione con la guardia costiera libica almeno fino a quando quest’ultima non possa assicurare il rispetto dei diritti umani». 

Ma già anche l’ONU, lo scorso ottobre, aveva chiesto al Governo italiano di non rinnovare l’accordo Italia-Libia, per mettere fine «a una delle pagine più tristi e vergognose della nostra storia recente».

Le proteste delle organizzazioni umanitarie

Tutto ciò non è bastato a impedire il rinnovo del memorandum, senza alcuna modifica. Non stupisce che una vibrante protesta si levi adesso da parte delle più qualificate organizzazioni impegnate nell’assistenza ai fuggiaschi dalla Libia.

Così Medici Senza Frontiere: «Ignorare le conseguenze di questi accordi è impossibile, oltre che disumano. Anche grazie al supporto dell’Italia, persone innocenti e vulnerabili sono intrappolate in un paese in guerra, costrette a vivere situazioni di pericolo e minaccia o sottoposte a un sistema di detenzione arbitrario e spietato».

Così padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, gestito dai gesuiti, che racconta di «uomini e donne che portano negli occhi la paura per ciò che hanno vissuto in Libia» e denunzia con forza gli abusi spaventosi che quell’accordo del governo italiano con quello libico ha avallato e favorito finora. «Torture e violenze – ha sottolineato padre Ripamonti – ritornano nei racconti dei migranti che accogliamo e sempre più spesso assistiamo persone segnate nel corpo da percosse e abusi. Per ciascuno dei migranti che incontriamo e per i tanti che rimangono intrappolati nell’inferno libico vogliamo ribadire la grave responsabilità che l’Italia ha nel rimanere ferma e nel rinnovare tacitamente un accordo con la Libia inaccettabile già nel 2017».

Non indifferenza, ma complicità

Non si tratta solo di indifferenza, ma di complicità. Sia il governo Gentiloni, che quello Conte 1, che l’attuale governo Conte 2, hanno continuato a sostenere economicamente il governo di Tripoli, finanziando la formazione di personale locale nei centri di detenzione ufficiali e la fornitura di mezzi terresti e navali alla Guardia costiera libica che, tra l’altro, come denunciato dalle Nazioni Unite, impiega alcuni dei più pericolosi trafficanti di esseri umani, per un costo di oltre 150 milioni di euro, cresciuto di anno in anno: circa 47,2 di euro nel 2017, più di 51 milioni nel 2018 e oltre 56 milioni nel 2019.

Grazie a questi aiuti italiani – denunzia il Centro Astalli – «migliaia di migranti sono stati intercettati in mare dalla Guardia costiera libica e riportati in Libia contro la loro volontà». Secondo stime plausibili, almeno quarantamila rifugiati e migranti dal 2017, anno in cui è stato sottoscritto il memorandum Italia-Libia, hanno subìto questa sorte. Oltre 1.000 solo nei primi giorni del 2020.

E non è vero, come strombazzato da certa stampa, che tutto ciò sia servito a porre fine alle morti in mare e al traffico di esseri umani. Nel 2019, 692 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale con un tasso di mortalità sui tentativi di traversata balzato al 3,5% dal 2,1% del 2017.

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L’“aiuto” dei libici

«Nei miei ventidue anni in Medici Senza Frontiere non avevo mai incontrato un’incarnazione così estrema della crudeltà umana», aveva detto Joanne Liu, la presidente internazionale di “Medici Senza Frontiere”, in un’intervista al Corriere della Sera del 1° febbraio 2018. La dottoressa Liu (è una pediatra canadese di origine cinese) si riferiva ai centri libici per la detenzione di migranti e rifugiati. «Ne ho visitati due vicino Tripoli nel settembre scorso. Non li chiamerei campi. Sono depositi di persone». Raccontava di essere entrata in un locale delle dimensioni di una palestra, dove gli internati erano «così tanti che non potevano stendersi per terra. Molti, seduti, trattenevano con le mani le ginocchia piegate».

Ma ancor prima, il 6 novembre 2017, in occasione del naufragio nel Mediterraneo di un barcone, un filmato documentava con evidenza agghiacciante il tipo di “aiuto” che i libici prestavano ai migranti. Nel filmato si sentiva chiaramente l’appello da parte di un elicottero della Marina italiana a una motovedetta libica perché si fermasse e vedeva per tutta risposta la nave militare dei libici lanciarsi a piena velocità, trascinando nel vortice e facendo annegare una parte dei naufraghi, mentre il suo equipaggio colpiva gli altri con corde e bastoni per impedire di salire a bordo.

La denuncia dell’ONU

Così, non stupisce che, a metà novembre di quell’anno, durante la riunione del comitato delle Nazioni Unite a Ginevra, l’Alto commissario ONU per i diritti umani, Zeid Raad al Hussein, avesse bollato con parole durissime il patto stretto con Tripoli dal governo Gentiloni, peraltro sostenuto dall’Unione Europea: «La politica UE di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia è disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità».

L’Alto commissario aveva quindi citato le valutazioni degli osservatori dell’ONU inviati nel Paese nordafricano a verificare sul campo la situazione: «Sono rimasti scioccati da ciò che hanno visto: migliaia di uomini denutriti e traumatizzati, donne e bambini ammassati gli uni sugli altri, rinchiusi dentro capannoni senza la possibilità di accedere ai servizi basilari».

In questo quadro, lascia esterrefatti che l’allora ministro italiano degli Interni, Minniti, avesse «elogiato gli sforzi libici nella lotta contro il contrabbando di esseri umani» e ribadito che «l’Italia è al fianco della Libia ed è impegnata a continuare il buon lavoro congiunto per sradicare la rete di trafficanti e trattare con umanità le loro vittime».

La svolta che non c’è stata

Tutto questo accadeva già sotto il governo “di sinistra”. Salito al potere quello 5stelle-Lega, il nuovo ministro degli Interni, Salvini, non aveva fatto altro, in definitiva, che continuare la politica del suo predecessore, spettacolarizzandola con clamorose sceneggiate mediatiche (i porti chiusi) e arricchendola con slogan della serie «La Libia è un paese sicuro», contando sull’allergia di gran parte degli italiani per l’informazione seria per non essere sommerso da un’ondata di legittima indignazione. E anche davanti all’acuirsi della guerra civile fra Al Sarraj e il generale Haftar, con le conseguenti stragi di innocenti, gli accordi e il sostegno economico erano rimasti. Anzi Salvini si era recato personalmente in Libia per confermarli e rinsaldarli.

Conte

Ci si poteva aspettare che il Conte 2 cambiasse qualcosa. Invece, non solo non ha fatto nulla per disdire quel cinico memorandum, ma adesso l’ha rinnovato senza chiedere alcuna modifica. Il Governo risponde all’ondata di indignazione suscitata dalla sua scelta, rassicurando tutti che il rinnovo non preclude l’avvio dei negoziati con Tripoli, che sarebbero stati già preannunciati l’11 novembre dal premier Conte alle controparti libiche.

Ma il fatto che a stringere gli accordi con la Libia, nel 2017, sia stato un governo sostenuto, come quello attuale, dal Partito Democratico (anzi, guidato da esso), non è certo rassicurante. Come non lo è, in generale, il comportamento del Conte 2, estremamente restìo, ancora dopo diversi mesi, a cancellare o almeno a rivedere radicalmente i Decreti sicurezza imposti da Salvini, e tuttora incapace di trovare una linea convincente sul problema-chiave del rapporto fra accoglienza e integrazione.

Perché non basta aumentare di qualche euro, come è stato fatto in questi giorni, la somma destinata al mantenimento e alla cura dei migranti sbarcati. La misura in sé necessaria per evitare che i bandi restassero deserti e nessuno si facesse carico di queste misure urgenti – si pone però ancora all’interno di una logica dell’emergenza. Quando invece, sia nelle richieste da fare alla Libia, sia nelle scelte relative alla gestione dei migranti sul nostro territorio, è urgente una svolta radicale, che porti a un vero progetto di ampio respiro per il futuro.

Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo. Pubblicato nella rubrica «I chiaroscuri» (su www.tuttavia.eu), il 6 febbraio 2020.

 

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