Ricevo qualche WhatsApp da amici, conoscenti, persone con cui condivido il cammino della fede e quello parrocchiale; ciascuno, con la propria inclinazione e sensibilità, mi manifesta un certo disagio rispetto alle imminenti elezioni politiche, che si svolgeranno il prossimo 4 marzo. Da una parte, molto più che in passato, la scelta – o forse meglio dire la difficoltà della scelta – è animata dalla sensazione di non sentirsi a casa da nessuna parte, di non trovare cioè una visione, un progetto, un’idea e un leader convincenti; dall’altra parte, ritorna puntuale come sempre la questione del “voto cattolico” o, più correttamente, di come dovrebbe orientarsi un cattolico.
Alla luce dell’attuale configurazione politica e delle indicazioni dei vescovi italiani, possiamo provare a riflettere. Lo farò, per ragioni di sintesi e di chiarezza, sviluppandola in piccole e brevi tesi.
Non è vero che la Chiesa non deve fare politica
La laicità dello Stato e l’autonomia delle realtà terrestri è una cosa sacrosanta, che il cristianesimo stesso incoraggia e la teologia del Novecento ha abbondantemente teorizzato; ciò non significa che la Chiesa debba occuparsi di una spiritualità «che sta sulle nuvole». Il carattere singolare della fede cristiana è il credere in un Dio che si è fatto carne, che abita il mondo con un progetto d’amore che trascende la storia umana, ma che può realizzarsi solo in essa.
Il cristianesimo non si occupa di «anime» in astratto, ma di corpi viventi, come vivente è il Corpo di Cristo. Della vita della gente che sogna, lotta e spera. Di questo mondo bellissimo e ferito. Si impegna a costruire il Regno di Dio, ma lo fa nella storia, nella vita, attraverso le strutture della società; non identifica nulla con il Regno, eppure lo anticipa nel progresso dell’uomo e della società. Perciò, la fede cristiana rigetta ogni «spiritualità da sagrestia», ogni intimismo senza carne e ogni devozionismo senza passione per l’uomo.
Provando a stabilire un criterio, riprendo il cardinal Martini: la Chiesa indica e difende i principi, non interviene per indicare soluzioni politiche pratiche o indirizzi partitici. Perciò, la Chiesa non scende nell’agone, né impone alla coscienza un orientamento partitico; tuttavia, annuncia, partecipa e contesta, impegnandosi in tutto ciò che è politica, cioè nel servizio al bene comune della polis e della società. Occorre superare, insomma, la separazione tra la fede personale e l’etica pubblica.
Non esiste il “voto cattolico”, ma il voto dei cattolici
Forse una volta si poteva parlare di un voto cattolico, che esprimeva, la volontà di fare gruppo e quasi di creare un blocco – con tutti i pro e i contro – per difendere una visione delle cose e alcuni principi, che sembrava fossero minacciati da ideologie politiche di stampo ateistico.
Oggi, come sappiamo, le cose sono velocemente e fortemente cambiate. Non esiste in nessuno degli schieramenti principali una chiusura pregiudiziale verso alcuni valori incoraggiati o condivisi dalla fede cristiana né una visione completamente atea che si rifletta nella politica attiva; la riprova è che frange di partiti di ispirazione cristiana, politici che provengono dalle fila del cattolicesimo e temi importanti sui quali la Chiesa si esprime da tempo, trovano accoglienza e ospitalità un po’ ovunque.
Al contempo, la situazione è anche più confusa; la presenza dei cattolici nella politica attiva, disseminata com’è, rischia una certa irrilevanza, la contaminazione ha spesso dato vita a un ambiguo «stare insieme» piuttosto che a un progetto comune e, non di rado, alcune contraddizioni esplodono.
Dunque, ciascuno deve discernere e trovare nella propria coscienza almeno un appiglio, una qualche rappresentanza; ma nessuno può più affermare che un cattolico dovrebbe votare o l’uno o l’altro schieramento, identificandolo in toto come «cristiano».
Il Vangelo è oltre
In fondo, tale situazione non è peggiore della precedente. Entrambe sono figlie di alcune circostanze storiche ma, a ben pensarci, la non unità dei cattolici in politica, su cui spesso si fanno delle inutili lamentazioni, può essere una sfida che aiuta la Chiesa a emanciparsi da un certo legame troppo mondano e terreno col potere politico.
In fondo, la situazione di essere un piccolo lievito nella pasta, spesso invisibile, nascosto e apparentemente irrilevante, è molto più evangelica che quella di essere un blocco così forte da diventare una sorta di braccio destro del potere politico, che innesca con esso rapporti ambigui. Il cristiano e la Chiesa stanno nel mondo senza appartenergli; vivono le stesse cose degli altri cittadini, ma appartenendo alla patria del Cielo; possono scendere nell’agone politico e impegnarsi attivamente con grande passione, ma devono ricordare che il Vangelo e il Regno di Dio non coincidono mai nemmeno col migliore partito «cristiano» esistente sulla faccia della terra.
Questa libertà, paradossalmente, viene ricordata e garantita più in una situazione di diaspora, di minoranza e di piccolezza numerica che quando, invece, si esibisce nell’agone pubblico la forza del cattolicesimo. Dunque, non facciamo drammi: alimentiamo l’incontro con Dio, cerchiamo di crescere nella consapevolezza di una fede adulta e matura, curiamo la formazione cristiana e le conseguenze esistenziali e pubbliche che da esse derivano. E poi, andiamo a votare.
Non farsi mai strumentalizzare
Ciò detto, c’è un orizzonte entro il quale ogni cattolico deve interpretare la propria responsabilità del prossimo voto del 4 marzo. Esso esige, anzitutto, una libertà interiore, un giudizio critico e una maturità umana, spirituale e politica, tali da non permettere che la propria fede, il Vangelo, la Chiesa e alcuni valori considerati «cristiani» (ma che spesso trovano d’accordo autorevoli esponenti del pensiero laico), vengano sequestrati da questo o quello e, addirittura, che qualcuno ci metta sopra la bandiera del suo partito.
Non bisogna farsi dominare dal bisogno di essere rappresentati e dalla smania di un’identità forte e chiara; lasciarsi risucchiare da questo o quello, lasciarsi convincere che la propria coscienza cristiana impone quel tipo di voto in modo vincolante, e addirittura diventare fanatici sostenitori dell’idea che “tutto il cristianesimo” stia da questa parte o dall’altra è quanto mai pericoloso.
Ricordiamocelo, soprattutto oggi: il Vangelo è ben oltre. Chi si fregia del nome cristiano, ha troppe volte tradito ogni etica evangelica; chi difende la vita contro l’aborto, spesso la umilia e la maltratta nel disprezzo dei migranti; chi predica i diritti, spesso non li vorrebbe garantire per il nascituro e l’anziano ammalato; chi difende la famiglia, spesso vive una dubbia moralità familiare. La lista potrebbe continuare e attesta che nessuno può catalizzare in modo esclusivo il voto cattolico e, soprattutto, nessuno può fregiarsene giurando sul Vangelo.
Una coscienza attenta e critica per orientarsi
Per quanto possa essere problematico affermarlo, il cristiano dovrà presentarsi alle urne del 4 marzo solo dopo un’attenta riflessione di coscienza, senza poter ricevere orientamenti definitivi da nessuno. Certo, la coscienza cristiana non è solitaria e individualista, ma è formata dentro l’esperienza ecclesiale dell’essere Popolo di Dio, che si pone in ascolto della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa. Ma, in sostanza, l’ultima valutazione non potrà che essere intima e personale. Per discernere attentamente si può tener conto di alcune questioni:
- L’etica cristiana e la sua visione dell’uomo e della società si rivolge a tutte le dimensioni dell’esistenza e, perciò, intende difendere e promuovere la vita dalla nascita fino al compimento. Ciò significa, di tutta la vita, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Temi come l’aborto o l’eutanasia non sono e non devono essere meno importanti di quanto il Vangelo ci raccomanda a proposito della giustizia sociale, della difesa degli ultimi, dell’accoglienza degli stranieri e della solidarietà. Il presidente della CEI, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha affermato lucidamente: «Non è auspicabile che, nonostante le diverse sensibilità, i cattolici si dividano in «cattolici della morale» e in «cattolici del sociale». Né si può prendersi cura dei migranti e dei poveri per poi dimenticarsi del valore della vita; oppure, al contrario, farsi paladini della cultura della vita e dimenticarsi dei migranti e dei poveri, sviluppando in alcuni casi addirittura un sentimento ostile verso gli stranieri».
- Papa Francesco ha chiarito che è buona politica quella «non paurosa o avventata, ma responsabile…che faccia crescere il coinvolgimento delle persone, la loro progressiva inclusione e partecipazione; che non lasci ai margini alcune categorie, che non saccheggi e inquini le risorse naturali […] una politica che sappia armonizzare le legittime aspirazioni dei singoli e dei gruppi tenendo il timone ben saldo sull’interesse dell’intera cittadinanza». E, per riuscire in questo, aggiunge il papa, la politica deve respingere «ogni anche minima forma di corruzione». Dunque, nel discernimento per le prossime elezioni deve rientrare, perciò, il giudizio sulla capacità della politica di essere responsabile e partecipativa, di non favorire “una casta” al potere, di essere inclusiva e attenta alle esigenze di ciascuno e di tutti, di porsi a difesa delle risorse naturali e del creato e, non da ultimo, di essere pulita, trasparente e lontana dalla corruzione.
- Il presidente dei vescovi italiani, ha fortemente affermato che la Chiesa promuove «una cultura della carità», che si prefigge l’inclusione sociale dei poveri. Questo tema deve diventare di grande rilevanza per la coscienza del cattolico che si reca alle urne.
- Oltre il pericoloso vento xenofobo, che da tempo soffia in Europa, i nazionalismi anacronistici, la cultura della paura, il populismo e il pessimismo, i vescovi italiani chiedono che si rifletta sui temi essenziali per lo sviluppo umano, etico e sociale del nostro Paese: la vita, la famiglia, il lavoro, i giovani, la giustizia sociale, senza dimenticare i temi della politica economica. Esiste sempre, infatti, «un’economia che uccide» e che produce «gli scarti della società», per riprendere i moniti di papa Francesco.
Politica è alta forma di carità. È sortire insieme dei problemi, oltre ogni indifferenza. È partecipazione a cui tutti siamo chiamati. L’ultimo pensiero, perciò, è un appello alla coscienza civica e cristiana di ciascuno: domenica prossima non si potrà celebrare la Messa senza recarsi anche alle urne.
Articolo neutro in cui si trovano ben sintetizzati alcuni punti cardine.
E’ abbastanza chiaro che il livello della politica, comunque espressione della “gente”, è in qualche modo proporzionale al livello, alla qualità, del messaggio cristiano che è stato trasmesso da chi avrebbe dovuto per propria posizione naturale diffonderlo. Non si può pretendere coerenza, senso di giustizia, trasparenza, rispetto ed equità, se la fonte da cui assorbirle non è per lo meno in parte credibile.
Se la “gente” o parte di essa fosse pregna di senso cristiano, realmente, allora ne troveremmo traccia nella classe dirigente, ma pare evidente che in questa classe non sia passato nulla. Persiste una storica bramosia di potere che ha usato ogni mezzo per esser raggiunto, anche il ricatto delle coscienze per tramite della morale cattolica. Si pone allora una doverosa considerazione di ordine logico: è nato prima l’uovo o la gallina? La classe dirigente è povera di valori perché non ha saputo assorbirli, oppure è vuota perché nessuno è stato in grado di somministrarglieli?
Probabilmente una Chiesa sana, senza patrimoni, senza lusso, banche, potere, una chiesa distante dalla politica e che da essa non avesse avuto e dato, avrebbe inoculato germi differenti in coloro che sono giunti su scranni tanto alti, quanto bassi.
E’ ragionevole pensare che quel che resta della politica, o meglio di questo simulacro di politica, non sia più rappresentativo di nessuno, tanto meno di un gruppo raccolto nell’intorno di valori superiori. Questo gruppo, intendendolo come corpo di voto, non esiste più. Si è sfaldato, si è incrinato come un edificio eretto sopra sovrastrutture sabbiose e torbide che hanno coperto la fondazione di cemento su cui si basa l’apparato valoriale cristiano, con il quale troppi e per troppo hanno giocato con superficialità, pur di governare per un bene certo più privato che pubblico. La lettura del mondo odierno è troppo complessa; non bastano più tre o quattro gambe per far stare in piedi la sedia. I cavalli di battaglia del passato sono fuori gioco ed oltretutto non si saprebbe neanche quale fantino mettergli in groppa,
Complimenti, quadro sociologico di un epoca scristianizzata come la nostra, perfetto! Peccato che da una parte e dall’altra non ci sono indicazioni propositive e restiamo nella valle oscura. Buon voto