Il centrodestra ha vinto le elezioni regionali in Abruzzo con Marco Marsilio, confermato con un netto successo del 54 per cento. Quali sono le conseguenze sul cosiddetto campo largo (dal PD ai Cinque stelle ai centristi) che sperava di veder ribadita la possibilità di presentarsi come alternativa, dopo il successo in Sardegna?
Dipende dalla prospettiva.
Se fossi Giuseppe Conte sarei un po’ preoccupato, per due ragioni. La prima: i Cinque stelle in Abruzzo sono tracollati rispetto al 2019, che era il loro momento d’oro, al governo con la Lega, sull’onda dell’ascesa populista.
All’epoca i Cinque stelle avevano preso in Abruzzo 118.000 voti a sostegno di un loro candidato, oggi, in coalizione con il PD e gli altri dietro Luciano D’Amico, appena 40.000. Questa è una crisi ormai cronica del Movimento, e non c’è da stupirsi, ma mette in difficoltà il progetto della coalizione.
Anche perché il PD, invece, recupera gran parte dei consensi, probabilmente proprio dai Cinque stelle e passa da 67 mila a 120 mila voti.
Questa è la seconda ragione di preoccupazione, se fossi Conte: non soltanto il leader del Movimento si deve confrontare con un tracollo, ma anche con la ripresa del suo alleato-competitor.
Questa dinamica crea una percezione drasticamente diversa della sconfitta tra PD e M5s. Il PD perde, ma rinasce rispetto ai Cinque stelle.
Per Conte è una sconfitta su tutta la linea, che scommetto porterà a due considerazioni: si vince in coalizione solo quando il candidato è dei Cinque stelle (vedi Alessandra Todde in Sardegna), si perde negli altri casi, ma – andando verso elezioni europee con sistema proporzionale – nei prossimi 2-3 mesi converrà enfatizzare la competizione con il PD piuttosto che il potenziale di coalizione.
Per il PD è una sconfitta meno amara, perdere raddoppiando quasi i voti può comunque essere un risultato tattico accettabile, di sicuro è una sconfitta più dolce di quella del 2019 quando il PD schierava un peso massimo come Giovanni Legnini, uscito ammaccato dal voto.
La segretaria del PD Elly Schlein ha dimostrato di essere piuttosto pragmatica nel rapporto con i bizzosi Cinque stelle, non prova ad affermare la propria supremazia (anche perché il Pd, a livello nazionale, non stacca di molto il Movimento) ma si adatta al contesto.
Dunque, come può usare in senso costruttivo la sconfitta abruzzese? Io vedo una sola opzione: puntare, quando possibile, su candidati unitari che siano davvero terzi rispetto ai due partiti, per evitare che qualcuno possa intestarsi le vittorie e addebitare agli altri le sconfitte.
Se PD e Cinque stelle, ma anche con Azione, Verdi e sinistra e gli altri, vogliono costituire una alternativa di governo, devono formare una coalizione. E nelle coalizioni serve qualche collante, qualche elemento – e personaggio – di sintesi.
Non può essere un progetto nel quale c’è una costante competizione interna a somma zero tra Conte e Schlein.
Vent’anni di centrodestra insegnano che la competizione interna ai partiti di una coalizione è vitale, perché permette di trattenere i delusi del partito egemone che affluiscono a quello emergente nello stesso schieramento, ma servono perimetri chiari che evitino il deflusso verso l’astensione.
Il centrodestra ha costruito quel perimetro intorno alla forza del leader dello schieramento, prima Silvio Berlusconi e ora Giorgia Meloni. Il centrosinistra, nella sua storia, ci è riuscito solo quando ha identificato un federatore sopra le parti, Romano Prodi.
E questo federatore ancora non c’è, ma se non si trova – e con lui (o lei) non si costruisce un progetto politico che permetta di cooperare e competere insieme – l’Abruzzo sarà soltanto l’anteprima di più cocenti sconfitte.
Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 11 marzo 2024.
Negli Abruzzi ha perso la Costituzione ed ha perso la Repubblica. Ormai la Meloni si può fregiare del titolo di “Duchessa degli Abruzzi” , non solo perché le aree interne della montagna aquilana sono il suo sottomesso feudo elettorale dove è risultata alle ultime politiche, ma per il teterrimo fenomeno delle percentuali bulgare che ha ottenuto nelle più travagliate zone di storica difficoltà, specie nella Marsica dei cafoni di Fontamara e dei sottocani di Torlonia od anche degli uguali contadini e degli straccioni nella Vallata Peligna, dove il tempo è restato fermo alla arretratezza delle generazioni dei sudditi anteriori che, per stessa povertà non avevano diritti e non si potevano permettere la dignità o la libertà di pensiero e di espressione se non dimostrare dipendenza assoluta ai signori che governano, sia che ora siano i politici che ti elargiscono prepotenti posti nelle partecipate come nel sulmonese o nelle amministrazioni pubbliche, e, sia chiaro, per sola loro concessione non perché nella Repubblica se ne abbia diritto. Oppure i sindacalisti degli agrari che ti aggiustano loro, per ottenere i vari benefici e contributi agricoli od anche poi, la concessione degli appalti e delle concessioni secondo le loro diritture ed in palese dispregio della Costituzione se con procedure palesemente contrarie all’ordine pubblico. Pertanto tra tutte le analisi svolte la più triste risultanza è il forte squilibrio di consensi che nelle più grame ed arretrate aree montane interne hanno fortemente premiato la coalizione dei signori più forti che hanno tra le mani le leve dei governi sia nazionale che regionale, mentre nelle aree costiere economicamente più concrete e meno bisognose le espressione del voto è stata più indipendente. Nelle elezioni regionali abruzzesi, di politico, c’è molto poco.