Leggendo l’articolo che è apparso su Il Messaggero di domenica 16 luglio 2017, è possibile renderci conto della miopia dei nostri governanti, tanto italiani come europei. In questi ultimi tempi sta affermandosi l’idea che sembra evidente che la strada buona per risolvere il problema delle migrazioni sia quella di «aiutare i migranti a casa loro». Così si pensa di andare a Tripoli e far degli accordi con i politici e con i sindaci del retroterra libico, per fermare i barconi dei migranti che scaricano in Italia i loro viaggiatori forzati.
Sulla bocca di certi leader populisti la proposta si scredita da sola, ma sulla bocca di altri… può sembrare una soluzione plausibile e percorribile. Diciamolo subito: non è così.
Certamente l’Europa dovrebbe fare la sua parte e non la fa, mentre l’Italia è lasciata incredibilmente sola ad affrontare il problema degli sbarchi e dell’accoglienza delle migliaia di migranti che varcano il confine dell’Europa e approdano sulle sponde italiane. Così i nostri politici, scoraggiati dal mancato intervento europeo, vanno in Libia a cercare di stipulare accordi di tipo politico che sembrano giusti, ma che si rivelano puntualmente inefficaci.
Si dovrebbe sapere ormai che Tripoli non è la Libia e che dietro al nome Libia c’è un’accozzaglia di tribù che pretendono il potere su quello Stato. La morte di Gheddafi, decisione improvvida oltre che ingiusta, è stata l’inizio di una catena di disgrazie e di conflitti interni di cui ancora oggi noi paghiamo il conto. Non c’è pace in Libia e quindi senza la pace ogni proposta o trattato sulle migrazioni è lettera morta. Ma tant’è, qualcosa bisogna pur fare… anche se non è quello di cui c’è bisogno. Questo perché dimentichiamo due cose importanti.
Cambiare marcia
La prima è che la Libia è in stato di guerra, da molto, troppo tempo, e non se ne vede ancora la fine, per cui è praticamente impossibile mettere attorno a un tavolo i responsabili dei due principali governi ufficiali e quella quindicina di tribù che controllano il vasto territorio del Paese verso il Sahara e che lucrano sul trasporto di chi cerca disperatamente di arrivare in Italia.
Ma c’è un secondo dato di fatto che noi europei dimentichiamo perché è… futuro ed è che tra vent’anni, cioè nello spazio di una generazione – ricorda Romano Prodi –, l’Africa subsahariana aggiungerà alla sua popolazione un miliardo di abitanti, mentre nel frattempo l’Europa ne perderà parecchie decine di milioni. Questo fatto dovrebbe svegliare l’Europa perché prepari un progetto di sviluppo proporzionato alla crescita demografica del continente africano e al rischio che questo comporta. Dimenticando quest’ultimo fatto, sarà impossibile gestire le centinaia di milioni di potenziali immigranti che continueranno a cercare lavoro e libertà fuori del loro continente.
Quello che stiamo facendo è meritorio, soprattutto per il generoso intervento di molte associazioni umanitarie e/o di privati cittadini che alleviano le sofferenze dei migranti, ma è insufficiente, mentre gli aiuti che pensiamo di dare ai governi africani per frenare il flusso migratorio non solo sembrano scarsi ma con molta probabilità e, oserei dire con certezza, non arrivano allo scopo per cui sono dati, ma finiscono nelle tasche dei governanti locali, dei politici e dei burocrati corrotti o inefficienti.
Sacrosanta mi sembra quindi la conclusione cui giunge Romano Prodi: «Per aiutare i cittadini africani in casa loro bisogna perciò cambiare marcia sia dal punto di vista della quantità che della qualità della nostra politica». Ma ora di tutto questo non si vede ancora la realizzazione. Ha ragione il card. Parolin quando afferma che aiutare gli africani a casa loro è un «discorso valido», purché esso si concretizzi, perché, come ha detto mons. Galantino, «se non si dice dove, quando e con quali risorse, non solo [questo discorso] rischia di non bastare ma può anche essere un modo per scrollarsi di dosso le responsabilità» (Corriere della sera, 13 luglio 2017).
Noi, missionari, che lavoriamo in quelle terre, l’abbiamo visto ormai troppe volte: i buoni propositi di contribuire allo sviluppo di quello che una volta si chiamava il terzo mondo, si arenano sul bagnasciuga delle buone intenzioni o nella rete degli interessi privati di chi dichiara di voler aiutare. Troppe volte abbiamo dovuto concludere che non sono le elargizioni di denaro che salvano l’Africa o la fanno decollare verso lo sviluppo.
Condizioni per un futuro migliore
Per promuovere il decollo di un continente come quello africano, che possiede tutte le risorse naturali ma non le capacità tecniche e politiche per provvedere al proprio sviluppo, bisogna anzitutto che sia l’Africa stessa a volerlo; in secondo luogo, che le sia proposto un programma, come lo presenta Prodi, che riguardi «le infrastrutture necessarie a costruire una moderna economia, non solo strade e ferrovie ma nuove reti di telecomunicazione, di produzione e distribuzione dell’energia oltre a moderni e capillari sistemi scolastici e sanitari».
Dice ancora Prodi: «L’efficacia di questi interventi a rete viene resa evidente dal fatto che la buona crescita che si è verificata in una parte dei paesi africani negli scorsi anni è strettamente dipendente dalla diffusione di un sistema capillare di telefoni portatili, promossi soprattutto dalle imprese cinesi».
Un simile programma è sicuramente necessario, ma è altrettanto necessario che «certi signori» tengano le loro mani fuori dall’Africa, e permettano a chi crede davvero nello sviluppo di quel continente di farlo con spirito di solidarietà e nella logica della gratuità, in modo disinteressato e solo preoccupato del bene comune. Di questo spirito per ora non vediamo neppure… gli albori. Vediamo anzi un «assalto alla diligenza» da parte di colossi economici anonimi o di stati, dei quali la Cina è il più evidente e sfacciato, non unico, esemplare, che stanno saccheggiando il continente africano.
La cosa seria e grave è che se noi non provvederemo a tempo, andremo dritti verso un peggioramento dell’attuale situazione dell’Africa e verso una «una tragedia» che inevitabilmente renderà più insicuro e drammatico anche il futuro del nostro continente.
Primo si ricorda che dopo i quaranta giorni di digiuno il Signore fu tentato dal demonio affinchè le pietre diventassero pane e il demonio gli suggerì di comandarlo al Padre ma Gesu’ rispose non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Voi invece ,con una applicazione radicale e non cristiana, volete farci vivere di sola parola ( ma c’è anche il pane ) .Quel pane non è infinito e se proseguiamo a farli entrare – i migranti – non ce ne sarà per nessuno. Aggiungo solo , che per tendenza naturale – che non è da contrastare – si dà da mangiare prima ai propri ed poi agli altri . Per suggellare questo concetto la donna fenicia chiede a Gesù il miracolo – figlia posseduta e Gesù non solo per metterla alla prova ma anche per correttezza della sua affermazione la impatta dicendo non essere corretto anteporsi ai leggittimi destinatari – appunto gli ebrei – ma questa gli risponde che anche dal tavolo cascano le briciole di cui si cibano i cagnolini e lei quelle voleva raccogliere. Gesù non la smentisce ( quindi l’affermazione che vengono prima alcuni e poi altri non dovrebbe apparire così scandalosa neanche per voi ) e quindi a conferma di quanto si erano detti “dice donna così grande è la tua fede”.
Secondo ma non si indebolisce numericamente l’opposizione ai regimi totalitari in Africa se molta gente scappa e appunto non si organizza come la nostra resistenza partigiana ai tempi della 2a guerra mondiale? Gliela dobbiamo fare noi la resistenza e il rovesciamento dei regimi loro?
Terzo se Don Primo vuole vivere col niente perchè deve imporre di fare altrettanto agli altri e soprattutto con le loro cose. Alterum non laedere …. se gli uomini che sono sicuramente niente in confronto a Dio si sono dati un principio rispettabilissimo perchè Don Primo insiste così tanto.. non è giusto forzare e soprattutto non lo è altrettanto con le cose altrui.
Poi ricordatevi Gesu’ è venuto al mondo e quasi subito c’è stata la strage degli innocenti , qualche parroco forse non sbagliando dice che questo episodio è venuto a togliere quel po’ di dolciastro che la nascita di Gesù Bambino aveva portato con sè . Morale il buonismo e la vostra non è bontà ma buonismo rischia di non prendere in considerazione le conseguenze che questo nel tempo porterà. Leggi se una parte della popolazione italiana non vuole il problema rimarrà permanente il non prenderlo in considerazione porta gravi rischi.
Già 60 anni fa c’era il problema degli emigrati, che si assommavano ai poveri e diseredati che la guerra aveva lasciato dietro di sé. Don Milani, che era un combattente per i poveri, si appoggiò molto a don Primo Mazzolari, anche lui, come Lorenzo, un combattente. Ancora una volta l’uno al servizio dell’altro. Quando si trattava di aiutare i diseredati i due sacerdoti diventavano una sola ombra. Don Primo pubblicò la prima lettera “Franco perdonaci tutti” sul settimanale Adesso. Lorenzo rimase senza parole e così pensò bene di mandarne una per Natale, sotto forma di racconto-novella. Don Primo la pubblicò senza riserve, cambiando il titolo, da “Bambino” a “Per loro non c’era posto”. Per la rivista Adesso fu una manna dal cielo perché don Primo non aveva materiale sufficiente per il numero di Natale.
Caro don Lorenzo
La “pagina natalizia “, quella che proprio occorreva , me l’ai mandata tu dietro ispirazione del Bambino. (cambiato titolo)
Va benissimo anche senza note.
Che il Signore ti tenga il suo cuore! A volte non se ne può proprio più. C’è una miseria murata che non si sa come prenderla.
Però con l’aiuto di Lui vinceremo anche questa
Buon Natale!
Tuo Don Primo
NATALE 1950
di Lorenzo Milani, cappellano a San Donato.
(Articolo comparso su Adesso, la rivista di Primo Mazzolari, il prete di Bozzolo )
“Per loro non c’era posto”
C’era una volta un ricco che aveva tre grandi ville.
Viveva in una nazione povera.
Una nazione dove 8 figlioli su 10 conoscono fin da piccini tutta la vita coniugale, perché la loro casa sia d’una stanza sola, e di letti ne tocca uno ogni due o tre persone.
Dove molte sorelle conoscono da vicino i fratelli, qualche figliola il suo babbo. Dove i fidanzati rimandano il matrimonio per anni e anni. Finché un giorno son costretti a sposarsi in fretta perché son già in tre e così s’adattano anche loro a non aver più nessun intimo segreto col resto della famiglia.
Dove chi tossisce da anni dorme con i bambini ancora sani, ma sani per poco. Dove si letica e s’odia e non si riesce a convivere senza odiarsi perché è troppo grossa non aver neanche un buco dove poter dire: “siam soli”.
Anche Gesù avrà pietà di quest’odio. La sua mamma, la notte di Natale non volle andare all’albergo: “Meglio una stalla che coabitare”. L’ha detto la Madonna !
Ci credo Signore: Non aver casa è peggio che non aver pane.
Dopo la guerra, di tre ville che aveva quel signore glien’è restate vuote due e lui colla sua silenziosa famiglia non riesce a risvegliarle. Paiono morte.
Nell’altra ci sono entrati i poveri(senza permesso).
Si sono adattati nelle stanze troppo grandi e troppo fredde (quando non c’è legna). I bei soffitti lavorati ora sudano fumo. Le seggioline impero, che erano tanto caro ricordo della contessa madre, han tutte qualche gamba rotta rabberciata col fil di ferro.
Il grande affresco dell’ingresso che per il suo gran valore storico ed artistico è riprodotto anche sul Venturi (vol. VII) ha una macchia d’unto proprio sul viso.
E quei ragazzi, quando tornano dal lavoro, ci appoggiano le bici sguaiatamente. L’han tutto sfregacciato.
C’è perfino una parola sudicia scritta col lapis copiativo.
Eppure con tutto questo, il prete, quando passa per l’Acqua Santa, ride di gioia e manda sempre un furtivo grazie al Padre dei Cieli che ha benedetta la grande casa inutile: “Ha reso feconda la sterile”. Chissà che qualche ricco, laggiù nel fuoco, non senta un po’ di refrigerio ora che la sua casa redenta serve a qualcosa.
Poi venne il 18 aprile.
Il prete aprì gli occhi sul mondo e vide profilarsi vicina la minaccia dei nemici di Dio.
Allora gridò forte come la mamma in difesa dei suoi pulcini, se li chiamò intorno, li coprì delle sue ali.
Anche il ricco ebbe paura, e aiutò il prete a salvare i suoi pulcini dai nemici di Dio.
Così il grande male fu scongiurato e ognuno poté riprendere a sognare cose belle, vittorie sugli altri mali.
Ma fra tutti i sogni il più bello fu quello di Fanfani….
Il sogno bello di Fanfani, dopo mille difficoltà, pian piano s’è fatto fondamenta e muro, e salito su su fino al secondo piano, tra poco è tetto.
Sul tavolo del Sindaco le domande sono già pronte: una montagna.
Paiono tutti fogli uguali, nero su bianco, ma ognuno è un mondo.
Ognuno stilla lacrime e sangue, malattia e scandalo, rancore e disperazione.
I fogli sono 80, ma la casa è una sola. I più resteranno senza.
Non importa, purché si sia sulla strada, purché pian piano scemi quel grande mucchio di dolore sul tavolo del Sindaco (ma non scemerà mai perché il Buon Dio ha mandato anche quest’anno in Italia 500.000 nuovi bambini in più dei morti. E Dio sia benedetto di averceli mandati).
Non importa. La prima casa dei poveri è quasi pronta. È un’alba di speranza.
Dio sia benedetto che non ci abbandona.
Anch’io prete sono contento.
Anche perché ieri passando ho visto il mio Vasco, manovale alla casa Fanfani.
Era da più di un anno disoccupato.
Ha otto fratellini, stanno in due stanze col babbo e colla mamma.
E ora per l’appunto è a lavorare anche lui a realizzare il bel sogno dei poveri.
Ogni palata di rena che butta in quel bidone che gira gli deve parere la casa di quando sarà sposo.
È bello il lavoro quando siamo stati molto disoccupati.
Ma lavorare per costruirsi la casa, è il più bello di tutti i lavori. È venuto Roberto oggi a riguardarmi il fornello. È uno di quelli che stanno nella villa. È tanto buono.
Pensa che con tutto il male che ha avuto (cinque mesi a letto, ma la Mutua, lo sai, ne conosce tre soli) e ancora non sta bene, ha fatto una cosa bella che a raccontarla mi vien da piangere:
Di suo ha tre bambine piccole.
Ora gli è morta una sorella lasciando sei bimbi senza babbo.
Sai cosa han fatto lui coi suoi fratelli? Non han voluto che andassero in collegio, se li son spartiti.
Lui s’è preso due femmine, il maschietto l’avrebbe preso volentieri, ma come faceva a metterlo a letto colle bambine.
Insomma ora son cinque bocche da sfamare e sei colla moglie.
Tirerà gli assegni per tutte. L’han detto alla Previdenza (ma ci vorrà 6 mesi per aver risposta da Roma se non ha conoscenze).
Saranno 48 lire per persona, mezzo chilo di pane…
Non importa, ci penserà il Buon Dio.
La vecchia villa ora fa luce anche di notte, da quanto l’hai benedetta, Signore!
Ma che v’è? Perché mi guarda male oggi Roberto?
Che v’è Roberto ?
Mi porge un foglio senza rispondere. Carta bollata!
Quattro pagine fitte scritte a macchina. Cominciano pressapoco così: Il Pretore di Prato, vista l’istanza del N. H. Celso M…. il quale in una villa di sua Proprietà….
Non leggo più, Signore, vorrei urlare, ma sto zitto perché mi vergogno del 18 aprile.
Vorrei correre a rompere il muso a qualcuno, ma sto fermo perché non è educazione.
“Fermala quella pala Vasco! non lavorare più, t’hanno tradito. Non la pagare più la tua quota, t’hanno rubato.
La casa (se anderà bene) la piglierà Roberto perché è sfrattato e gli sfrattati passano innanzi. E se avrà la fortuna di pigliarla, per quattro vani (che per lui son pochi perché le camere restano due sole) spenderà 52.800 lire l’anno (che per chi fa sette parti d’una busta sola son molto, troppe).
Eccolo il tuo lavoro! Belli i tuoi sogni. Per liberare la villa a un signore hai lavorato.
Per un signore che la terrà vuota undici mesi l’anno, hai rischiato la vita sui ponti traballanti.
Per un signore che ne tien vuote altre due, hai messo da parte quella quota della tua già magra busta di manovale
Chi è stato?
“Il Papa è stato!”
“No! No Vasco non lo dire. Tu non sai quel che dici. Tieni, guarda, leggi qui. Questo l’ha scritto il Papa 59 anni fa. È come Vangelo.
Dice che la proprietà ha due funzioni: una sociale e una individuale.
Che quella sociale deve passare innanzi a quella individuale ogni volta che son violati i diritti dell’uomo”.
“E allora perché non gliele dite a tutti queste cose, dall’altare?”
“Le dirò Vasco, le dirò Roberto, ve lo prometto. Domenica le urlerò forte. Vedrete tutti i cristiani saranno con voi. Sarà un plebiscito. Faremo siepe intorno alla villa. Nessuno vi butterà fuori. Verremo coi cartelli. Con lo stendardo dalla pieve come alla processione!”.
Domenica dunque ho parlato.
La chiesa era gremita (grazie a Dio per ora non mi posso lamentare). Ho elencato dunque i grandi diritti dell’uomo (vita, casa, lavoro…). Della proprietà invece ho detto che è diritto solo quando è garanzia di quei diritti, è delitto quando li viola. Ho citato Leone XIII e Pio X.
Ho letto le cifre della tragedia degli alloggi.
Per ritornare all’anteguerra ci vorrebbe d’un colpo 8 milioni di vani e poi ricominciare a costruire subito senza respiro per contentare i nuovi nati e i nuovi sposi. Ma l’anteguerra (1,42 per vano) era già brutto, era mostruoso, tutti accavallati uno sull’altro. Perché le medie son vigliacche, mischiano il più dei ricchi col meno dei poveri come facesse pari. Così ho potuto dimostrare che per le case in Italia già da molti anni (ma ogni giorno di più) siamo a quella famosa “estrema necessità che fa tutto comune ”.
Allora ho volto lo sguardo sul mio popolo cristiano.
Ho cercato invano un cenno di consenso in qualcheduno. C’era un silenzio di tomba.
Ho visto dei volti duri, come se li avessi offesi.
Ho forse sbagliato Chiesa, Signore? Non è la mia Chiesa di poveri? Non son tutti pigionali, nullatenenti, operai poco occupati? non son le vittime, Signore?
Hanno il volto duro come se fossero offesi nel loro. Come se possedessero ville.
Ora è sera e nessuno è venuto a dirmi che ho ragione.
Uno che è venuto m’ha detto che il sor Celso è stato troppo buono: Son cinqu’anni che tiene quegli svogliati senza prender pigione. E ci ha rimesso anche la luce!
Vorrei rispondere che è stato furbo, se no col blocco che c’è ancora non li potrebbe sfrattare.
Ma taccio per non esser cattivo.
Un altro è venuto a dirmi che il sor Celso ha fatto più del suo dovere: ha donato (dicono) perfino il terreno per le case Fanfani.
Vorrei rispondere che il terreno per le case dei poveri non si può donare, perché è già dei poveri prima che si doni. Ma taccio per non esser frainteso.
Vorrei urlare che per dir MIA di una villa vuota oggi in Italia non basta “donare” un po’ di terra (del Buon Dio), non basterebbe neanche costruire quattro case nuove e a donarle ai quattro pigionali che si sfratta. Forse solo se si costruisse quegli 8 milioni di vani, forse allora potrebbe dirlo, ma per un’ora sola se il Buon Dio manda ancora tutti quei bambini che ha mandato in quest’anni. E se il governo non si decide a costruire…
Il Governo? M’ha detto un altro che è un cattolico in vista e mi ha parlato come si parla a un povero bambino: “Lei la fa svelta. Vorrei vederla lei come farebbe se la fosse al governo …”.
Se fossi al governo? porterei la nazione alla rovina in due giorni se fosse necessario pur di non peccare contro i miei fratelli!
E poi che è vero? Che occorre somme, bonifiche, chi sa che, per dar le ville vuote? Basta un frego di penna. Un frego che il Buon Dio ha già dato da tanto tempo.
Che se voi non farete presto a dare lo daranno gli altri, ma di sangue e non d’inchiostro.
Ma basta, ora basta, io non capisco ch’io possa esser solo oggi che ho parlato per loro.
Perché Signore questa levata di scudi?
È un’educazione mancata?
È la colpa dei preti?
O sbaglio io? o ho lasciato io la sana dottrina ho seguito io una polemica interna più che uno sdegno sacerdotale?
Ora è passato un altro giorno e un’altra notte.
Ho ripensato intanto una parola. La prima che ho sentito domenica appena giunto in sacristia uscendo da quella grande chiesa ostile. Fu il chierichetto (12 anni):
“No, don Lorenzo, a me la un mi torna! Sicché se avessi una casa mia, non potrò buttar fuori chi voglio dalla MIA casa? ”
E un altro poi mi disse: “… se perfino il poppante dice MIO! … ”
Già appunto, è questo.
È in quel MIO il mistero del povero che difende il signore.
È la bestia uomo che affiora sempre. Grullo son stato a sfiduciarmi. E non è sempre così? E non è dentro sempre il Nemico del I del II del VI comandamento? E non è questa la mia, la nostra lotta di sempre?
Ora non ho più paura, ho fiducia. Son pochi i cristiani.
Qui come in tutto, come nella purezza, come nel perdono.
Non importa.
Ne abbiamo vinte ben altre, vinceremo anche questa col tuo aiuto
(da M. Gesualdi (a cura), Perché mi hai chiamato?. Lettere ai sacerdoti, appunti giovanili e ultime parole, San Paolo).
Africa a parte, sulla Siria si poteva fare molto molto di più. Aiutiamoli a casa loro è sicuramente uno slogan populista ma riportare un po’ di pace in medio oriente dovrebbe essere una priorità assoluta.