Salvini mi indigna, non accetto la strumentalizzazione del Vangelo e del rosario, parla di «radici cristiane» ignorando che, proprio nel Vangelo, non si parla di radici ma di frutti (e tra i frutti c’è sicuramente l’ospitalità dell’altro e non la chiusura).
Però sono anche molto perplesso (o qualche cosa di più) per gli espliciti pronunciamenti pro-eutanasia di Emma Bonino – alleata/concorrente del PD – e per il fatto che, a sostegno della sua lista, martedì 27 nella sala consiliare di Pisa intervenga Marco Cappato, promotore della campagna “Eutanasia Legale”.
Alla base del mio dissenso nei confronti delle posizioni anti-immigrati di Salvini ci sono le stesse motivazioni che mi distanziano da Cappato (e con lui dalla Bonino): per me la vita è dono di Dio, l’essere umano è creato a sua immagine e somiglianza. La nostra origine non è il risultato di una casuale combinazione di cellule, e la fine di questa vita non sarà diventare pasto per i vermi, ma attesa della risurrezione della carne e della vita eterna nel regno di Dio. Tutto questo lo credo in base alla mia fede cristiana, a quel Vangelo nel quale Salvini non si è accorto che Gesù Cristo è presente nell’immigrato (Mt 25,35).
Sono però anche convinto che la sacralità della vita sia, in qualche misura, avvertita al di là dell’appartenenza confessionale, e che le frontiere della vita (il nascere e il morire) come pure la dignità e i diritti della persona di ogni razza e colore siano realtà da maneggiare con cura. E su cui persone di fedi e idealità diverse dovrebbero confrontarsi in profondità, anziché fronteggiarsi a slogans.
Tutto ciò detto, ho chiare due cose.
La prima è che la fede religiosa – per me il Vangelo – non può essere brandita come strumento di identificazione/contrapposizione sul terreno politico, tanto meno in campagna elettorale. E invece una fede dovrebbe fornire i motivi profondi, la linfa vitale in base alla quale – nel dialogo e nel confronto democratico – progettare e costruire una società giusta e sempre trovando, nella fede, quello che Aldo Moro chiamava «il principio di non appagamento».
La seconda cosa è che le opzioni politiche, e in particolare l’espressione del consenso elettorale, non sono la scelta tra il bene e il male, tra i buoni e i cattivi e invece – oggi più che in passato – la scelta del minor male, o (sarebbe bello, ma la vedo dura) del massimo bene concretamente possibile.
Tutto questo all’interno di andamenti globali in cui cresce la quantità di ciò che è sottratto al controllo della politica perché in mano a poteri «altri», palesi o soprattutto occulti.
In particolare la politica è sempre più impotente in materia di distribuzione della ricchezza, e quindi delle opportunità date al cittadino comune, soprattutto ulteriormente sottratte ai più poveri.
A sostegno di questo inquietante pensiero cito dal quotidiano Avvenire (22/12 u.s.): «In meno di 20 anni in Italia la quota di ricchezza nazionale detenuta dal 90% meno benestante della popolazione si è ridotto dal 60 al 45% del totale. Mentre il 10% più ricco ha accresciuto la sua parte fino al 55%… e l’1% degli italiani ha visto salire la sua quota parte di circa 5 punti percentuali superando il 20% del tesoro privato complessivo».
Di queste cose ne ha parlato qualcuno in campagna elettorale?