Non sono valse a nulla, per ora, le manifestazioni di sofferenza dei detenuti, la fatica degli operatori penitenziari, le denunce dei garanti, il richiamo del presidente della Repubblica: il decreto-legge firmato dal ministro Nordio è rimasto, più o meno, così com’era, prima che una pioggia di critiche gli si riversasse sopra. La Camera timbrerà ciò che è stato imposto al Senato e ogni altra discussione sarà rinviata a settembre. Ma di fronte a questo mesto esito dell’unica possibilità di fare qualcosa in questa estate, costellata di suicidi e proteste in carcere, non ci si può abbandonare alla frustrazione o alla disperazione. Bisogna restare vicini alla sofferenza delle detenute e dei detenuti e fare ciò che è possibile, con le armi spuntate che abbiamo, in attesa che i nodi tornino al pettine.
Il primo appello è rivolto alle persone detenute: fermatela voi, se potete, questa strage diluita nel tempo. Non una delle vostre vite vale l’indifferenza che in questi giorni è stata mostrata dal governo nei confronti vostri, del personale e dell’intero sistema penitenziario. Continuate, se volete, a manifestare la vostra sofferenza, nei mille pacifici modi che l’interlocuzione con le autorità e l’opinione pubblica consente, ma senza cadere nel tranello di azioni violente contro cose o persone, utili solo a caricarvi di sanzioni e ulteriori pene, e a trasformare l’indifferenza del Governo in un «ve lo avevamo detto noi: non sono altro che criminali».
Il secondo appello è all’Amministrazione penitenziaria, ai suoi dirigenti, ai suoi operatori: nella indifferenza dell’autorità politica, a voi tocca gestire la sofferenza dei detenuti, con intelligenza e umanità, evitando – per esasperazione – di esasperarla, aiutandola ad esprimersi, garantendo tutto ciò che l’ordinamento penitenziario già garantisce: dalle comunicazione telefoniche, ai video-colloqui, dall’apertura delle celle almeno per otto ore al giorno a quella delle porte blindate di notte, dai ventilatori ai frigoriferi, dagli incontri con i familiari nelle aree verdi a quelli riservati con i partner. Un bel segnale sarebbe se il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria volesse sospendere, almeno per l’estate, quella parte di una recente circolare che costringe in cella chi non abbia attività da fare durante il giorno (e quali attività ci sono in carcere d’estate?!?).
Il terzo appello è alla magistratura di sorveglianza, perché assicuri tutto quello che può, anche nei turni feriali, recuperando le istanze pendenti di liberazione anticipata e di altri benefici che aspettano di essere decise da mesi, se non da anni.
Infine, l’ultimo appello è ai parlamentari, ad andare in carcere in queste settimane, fin dentro le celle sovraffollate, a vedere e a sentire le voci dei detenuti e degli operatori penitenziari, in modo da farsi la propria opinione sullo scandalo delle carceri italiane ed essere pronti a discuterne, liberamente, alla ripresa dei lavori parlamentari, quando i nodi torneranno al pettine e si dovrà decidere se continuare ad affollare questo ospizio dei poveri, senza diritti e dignità, che sono diventate le nostre carceri o dare attuazione all’articolo 27 della Costituzione, riservandolo esclusivamente agli autori di gravi reati contro la persona o in associazione criminale, e investendo su servizi abitativi, educativi, lavorativi, sanitari esterni, capaci di farsi carico della sofferenza sociale che ci siamo tolti dalla vista chiudendola in carcere.
Stefano Anastasia è garante delle persone private della libertà del Lazio e docente di filosofia del diritto. Il suo appello è stato pubblicato sull’Huffington Post il 5 agosto 2024.