È ritornato il tema dei cattolici in politica, a fronte della gestione delle cose pubbliche che risulta emergenziale, provvisoria e nemmeno logica.
Nessuno oggi è in grado di offrire una prospettiva politica ampia di futuro non solo dell’Italia, ma dell’Europa e dei continenti. I sintomi che si avvertono sono gli avvitamenti su singole questioni, locali e internazionali, che vengono affrontate – nemmeno risolte – essendo ristrette nell’ambito del proprio paese (meglio dire del proprio elettorato). Eppure i problemi politici sono enormi: l’equilibrio delle risorse, lo sviluppo, il benessere, la dignità del lavoro, l’immigrazione, gli squilibri tra regioni, la cura degli anziani e dei fragili, la scuola, la cultura…
Si è soliti soffermarsi sui rappresentanti del popolo e dei loro governi. In realtà c’è un nesso profondo e continuo tra rappresentanti e interlocutori che si scambiano le posizioni di suggeritori e di recettori. È diventato urgente l’appello ai cattolici in politica. Ne hanno parlato espressamente papa Francesco nel messaggio del 1° gennaio di quest’anno per la giornata della pace e lo stesso card. Bassetti, presidente CEI (Osservatore Romano, 26 febbraio 2019).
Politica: sfida e virtù
Nel suo magistero papa Bergoglio non scende mai a livello di organizzazioni governative: lancia messaggi universali, attento alle condizioni che affliggono i popoli. Nel messaggio per la giornata della pace egli ha insistito nel dire: «La politica è un veicolo fondamentale per costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo, ma quando, da coloro che la esercitano, non è vissuta come servizio alla collettività umana, può diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione. […] La funzione e la responsabilità politica costituiscono una sfida permanente per tutti coloro che ricevono il mandato di servire il proprio paese, di proteggere quanti vi abitano e di lavorare per porre le condizioni di un avvenire degno e giusto. Se attuata nel rispetto fondamentale della vita, della libertà e della dignità delle persone, la politica può diventare veramente una forma eminente di carità».
Il card. Bassetti, attento alle questioni italiane, detta anche le condizioni per una buona politica: «Per la Chiesa oggi è il tempo della semina. È il tempo in cui occorre ricostruire, ricucire e pacificare l’Italia e l’Europa. Soprattutto è il tempo in cui il laicato deve assumere la consapevolezza del suo ruolo e della sua missione. Ovvero essere il sale della terra in ogni ambito dell’agire sociale, anche in quello politico. Almeno in quattro punti. La formazione, basata su una reale comprensione della dottrina sociale della Chiesa cattolica, è un buon inizio, ma non è sufficiente. Dare vita, dal basso, ad una rete o ad un forum di tutte le realtà associative presenti nel paese che si occupano di bene comune è, invece, un passo importante. Lasciare spazio ai giovani talenti italiani e dare loro la possibilità di esprimersi è un imperativo morale. Dialogare con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a prescindere dalla loro fede, costruendo con loro un percorso comune è un obiettivo fondamentale».
Dio in pubblico
La domanda che ruota intorno alle condizioni della politica chiede perché si sta vivendo questo momento di smarrimento, periodo nel quale sembrano prevalere odio, rancore, aggressività e chiusura.
Le risposte contingenti possono essere molte e anche vere. Eppure c’è un nodo che sta a monte del disagio politico. Nel 1984, il card. Kasper in un suo celebre libro (Il Dio di Gesù Cristo),[1] scrivendo della presenza di Dio nel mondo faceva notare che non si trattava soltanto della secolarizzazione della società, ma di qualcosa di più grave.
Da una civiltà in cui Dio era presente si è transitati ad un’epoca in cui la religiosità – con la rivoluzione borghese – è diventata appannaggio della sfera privata «nella quale soltanto, la religione, avrebbe diritto di esistere». Gli esempi sono molti: ne cito due, anche perché poco utilizzati. La mitezza, di cui parla il Vangelo, è praticamente scomparsa. Fedeli cristiani, pure devoti e ferventi, la ignorano. La cercano in Dio, ma la dimenticano per sé e per chi li circonda. Se poi sono sconosciuti, si arriva al rancore e al cinismo.
Un secondo esempio è la cura dei minori e delle famiglie fragili. Si preferisce l’affidamento a «terzi» perché li crescano, ma si diffida delle famiglie affidatarie o adottive, salvo poi scandalizzarsi per i maltrattamenti e le violenze. Simile atteggiamento per i genitori e parenti malati o anziani. Si pretende, dietro remunerazione, che siano altri a voler bene e ad accudirli, in sostituzione di se stessi con legami di sangue e di affetti.
Il card. Kasper suggerisce una via impegnativa: occorre una teologia politica che esiga che «Dio si affermi», in modo manifesto, come verità che vale la pena per l’uomo e la convivenza, non cadendo nella tentazione di un’apologia che trae dalla fede schemi di gestione della politica.
La sfida che viene lanciata al cristianesimo è la visione di un mondo nel quale non si vede altro che un bisogno biologico, un complesso di rapporti sociali. «Quando non esiste più ciò che è più grande dell’uomo e del suo mondo, si afferma l’ideologia dell’adattamento totale al mondo dei bisogni e dei rapporti sociali, ma allora muore anche la libertà, l’uomo si sviluppa all’indietro, ritornando allo stadio primitivo di animale ingegnoso e spegnendo in se stesso ogni fame e sete di giustizia assoluta».[2]
Visione, pratica e competenza
Ritornando alle questioni attuali, la presenza del cristianesimo in politica esige una visione profonda, autentica della dignità della persona che solo nella radice in Dio trova il fondamento sicuro. Il ricordo di grandi figure di statisti e politici (don Sturzo, La Pira, Moro…) conferma che hanno contribuito alla rinascita dell’Italia in momenti difficili.
La visione della convivenza sociale ha necessità di motivazioni solide che non offrono soluzioni tattiche e strategiche dirette, ma aiutano a considerare il bene autentico di popoli, seguendo le fasi di trasformazioni che ogni convivenza attraversa.
La visione del mondo, per un cattolico, diventa essenziale per suggerire soluzioni e gestire l’esistente. Ogni problema complesso riporta a principi direzionali: in economia, nella cultura, nel welfare, nel lavoro, in ogni problema di vita sociale.
È certamente più difficile oggi che ieri. La società si è frantumata: le visioni sono molteplici, il dialogo è essenziale, la distinzione tra i compiti dello stato e quelli del mercato e del privato ha labili confini. Il dialogo, le alleanze, il rispetto sono condizioni imprescindibili.
Occorre anche competenza: i mondi della convivenza, se hanno legami reciproci, hanno bisogno di conoscenza, di esperienza e anche di creatività. La politica dei proclami, dei twitter, degli annunci è fuorviante e anche ingannevole. Il corto circuito che si crea tra attese e risposte, bruciate in pochi caratteri, sembra sistemare le cose, ma, al massimo placa le ansie, con l’aggravante di radicare visioni che, nella realtà, sono complesse e hanno bisogno di tempo e di competenze.
Una pubblicazione della serie «Attualità della Bibbia» porta il titolo emblematico di Vivere la crisi come opportunità.[3]
Anche in politica è utile riflettere sul presente e cercare vie d’uscita. Dio protegga la nostra vita.
[1] W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia,10 2018, p. 14- 21
[2] – ivi, p. 21
[3] – F. Bianchini, Vivere la crisi come opportunità – Letture bibliche per comprendere il presente, Citta Nuova, Roma, 2019