Da tempo immemorabile coltivo la convinzione che nel cambio d’epoca determinato dall’avvento dell’informatica in tutti i campi del sapere, la politica deve più che mai attrezzarsi per realizzare una seria e conseguente programmazione dell’economia.
Accompagnata – e qui il ricordo va a Beniamino Andreatta – da una coerente redistribuzione dei compiti tra Parlamento e Governo. In questo senso: che il governo presenta al parlamento il dispositivo finanziario per gli anni a venire e poi delle due l’una: o il Parlamento lo approva in blocco o, sempre in blocco, lo respinge. Nel secondo caso, il governo lo ritira oppure, semplicemente, si dimette.
Scarto di date
Tutto l’opposto di quel che accade in Italia dove la regola è quella della emendabilità dei testi finanziari (legge Finanziaria prima e legge di Bilancio poi) con un primato assegnato di diritto al “Programma economico nazionale” varato dal governo Moro con decorrenza formale 1975 e con decorrenza reale 1978 con uno scarto di date dovuto al fatto che il Parlamento di allora si prese tre anni per varare un testo che volle minuziosamente esaminare ed emendare introducendovi modifiche che, in molti casi, ne alterarono il testo iniziale. Una pratica che si è ripetuta successivamente sempre in nome del primato del Parlamento sul Governo, ma in verità anche del suo opposto dato che, se il Parlamento avesse esercitato il potere di costringere un governo a dimettersi, si sarebbe ben potuto affermare che ad esso spettava un’effettiva supremazia.
Il parere del cardinale
Che c’entra tutto questo con il giudizio espresso ultimamente dal card. Camillo Ruini sul deficit di qualità politiche dei cattolici democratici, intesi una volta come sinistra democristiana e una volta come Democrazia cristiana nel suo complesso, in un’intervista che è stata presentata sulla stampa come un invito a dialogare con il leader leghista Matteo Salvini, a sua volta accreditato di qualità positive ancorché bisognoso di “maturare”?
Come non ricordare che tutto questo avveniva proprio nel periodo di massimo potere della Dc, come dire della sua massima responsabilità politica, condivisa, all’epoca, con il Partito socialista, in una condizione di coabitazione competitiva che si è protratta fino alla fine degli anni ’80?
E come ignorare che la scelta in favore della collaborazione con Berlusconi, dopo il 1992, operata dall’episcopato italiano a guida Ruini, se trovò un contrasto nel mondo cattolico lo ebbe ad opera di quegli esponenti della sinistra democristiana che, sia pure in una misura insufficiente, si opposero al perfezionamento del connubio tra episcopato e governi di centrodestra?
E come accettare che, in un giudizio totalmente negativo, siano accomunate figure anonime della Dc, sia pure sistemate nella sua sinistra per effetto delle leggi di convenienza del suo collocamento interno, e altre figure come Benigno Zaccagnini la cui integrità morale è stata ultimamente rivendicata in modo vibrante dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella?
Il pensiero di Mattarella
E qui andrebbero riportate le pertinenti parole con le quali, in uno degli ultimi raduni pubblici della Dc prima di tangentopoli, lo stesso Mattarella condannò il costume mafioso in vigore nel partito per cui venivano presentate come elargizioni generose versamenti corrispondenti a diritti dovuti alle persone. Così come una migliore analisi consentirebbe di mettere a fuoco l’influsso negativo esercitato dalla dottrina dei “valori non negoziabili” in politica rispetto ad una visione ad essa alternativa delle virtù cristiane imperniate sull’amore del prossimo.
Tutto questo andrebbe evocato per… dare a Cesare quel che gli spetta. Ma la riflessione sarebbe monca se si fermasse qui. Accanto ai debiti contratti dalla Gerarchia nel periodo considerato, occorre valutare il peso della responsabilità dei laici. Tutti noi abbiamo invocato la necessità di iniziative politiche, non clericali, che colmassero i vuoti che dopo l’esperienza, pur essa laica, della Dc, si erano aperti nell’area cattolica e non sono stati ancora colmati.
Altro è adeguarsi ad un appello episcopale ed altro è cimentarsi con l’approntamento di un progetto politico. Per rifarsi alla storia, altro è seguire il conte Gentiloni altro è rischiare laicamente sull’aconfessionalismo di don Sturzo.
Se occorre dare tempo e modo per colmare la lacuna, ed in quali termini dati i mutamenti intervenuti, ciò può essere oggetto di una ricerca che però ad oggi non è apprezzabile. L’unico itinerario da evitare è quello che ripercorre le vie di un passato che non ha dato frutti se non acerbi o troppo maturi.
Premesso che è piuttosto inutile commentare se nessuno rispende, è un problema di cui bisognerà che al chiesa si accorga, se non c’è interesse e partecipazione nemmeno in quei 3 o 4 siti che si occupano di questi argomenti di che stiamo parlando?
“Così come una migliore analisi consentirebbe di mettere a fuoco l’influsso negativo esercitato dalla dottrina dei “valori non negoziabili” in politica rispetto ad una visione ad essa alternativa delle virtù cristiane imperniate sull’amore del prossimo.”
Sinceramente a me pare che i valori non negoziabili fossero una traduzione, magari incompleta e parziale per carità, del concetto vagamente espresso in “amore del prossimo”.
Togliendoli non è che si sia chiarito in cosa consista l’amore verso il prossimo dato che ognuno giustamente l’interpreta a modo proprio.
Insomma: a me pare siamo sempre fermi lì. Se non scendiamo nei dettagli abbiamo solo sostituito una formula astratta con una ancora più astratta.