Il 19 giugno scorso, l’on. Stefano Ceccanti, costituzionalista e politico italiano, già senatore dal 2008 al 2013 e, dal 2018, deputato della Repubblica, ha tenuto una relazione alla diocesi di Lima. Con il permesso dell’autore la pubblichiamo per i lettori e le lettrici di SettimanaNews.
Credo che prima di entrare dentro le chiavi, ossia i criteri, per il discernimento politico, dobbiamo tenere bene in mente un’importante osservazione di Emmanuel Mounier, su cui costruisce larga parte della sua teoria dell’impegno, dell’engagement, che vale per tutti coloro che sono dediti al bene comune e specialmente per chi sceglie un impegno politico diretto.
Osservazioni che, peraltro, si rivolgono per Mounier a tutti, al di là delle differenti scelte religiose o secolari.
Unire polo politico e polo profetico
Mounier sottolinea che è certo difficile possedere tutte le doti allo stesso tempo, ma la persona impegnata deve comunque porsi l’obiettivo di avere dentro di sé sia la polarità politica, attenta ai mezzi, alle tattiche, all’efficacia concreta, sia quella profetica, attenta ai fini, ai grandi indirizzi strategici. Altrimenti si finisce per cadere o in un vuoto tatticismo o nell’imprecazione inutile.
È in fondo quello che i vescovi francesi indicavano nel 1972 nel loro celebre documento sulla «pratica cristiana della politica» in cui richiamavano quattro atteggiamenti da adottare: gravità, lucidità, rigore e immaginazione (cf. qui).
Questa, credo, debba essere una premessa necessaria per tutti.
La storicità del discernimento politico e i suoi tre tempi
Se vogliamo poi attingere nel grande patrimonio della nostra Chiesa cattolica al contributo più importante in materia, credo che il testo fondamentale nella comprensione del discernimento politico, che porta a maturazione la novità conciliare, sia l’Octogesima adveniens di Paolo VI del 1971, di cui qualche settimana fa abbiamo ricordato i cinquant’anni.
Lo è, per inciso, perché in realtà il relativo capitolo 4 della Gaudium et spes ebbe un esame molto accelerato in Aula conciliare a causa del discorso di rientro del papa dall’assemblea dell’ONU.
Pertanto le elaborazioni più accurate vennero poi di fatto rinviate al contributo papale che fu precisato organicamente in quel testo, nella lettera al cardinale Roy.
Il testo è fondamentale anzitutto perché storicizza il tema del discernimento. Richiamiamo l’inizio del paragrafo 4: «Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto, non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione».
Non c’è quindi un unico discernimento politico, c’è un discernimento per un luogo e un tempo preciso. Quindi, perché identifica bene i tre tempi del discernimento politico.
Proseguiamo con la lettura: «Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili dell’evangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa…, individuare, con l’assistenza dello Spirito Santo – in comunione coi vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà –, le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi».
È chiaro il superamento dello schema semplicistico binario, spesso utilizzato nei testi precedenti al Concilio, secondo il quale si partirebbe dalla dottrina per giungere deduttivamente ad applicazioni concrete che, impostate così, finirebbero fatalmente per essere viste soprattutto in negativo, come una serie di limiti da non superare.
Il discernimento si fonda invece su una logica a tre tempi: accoglienza delle persone e comprensione concreta dei contesti (analisi obiettiva della situazione), presentazione delle esigenze etiche ed evangeliche sotto forma di ampi indirizzi e finalità (principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione), appello esigente all’impegno che non porta necessariamente alle medesime scelte pratiche (scelte e impegni… urgenti e necessari).
E qui il sistema si chiude con il paragrafo 50: «Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi. La Chiesa invita tutti i cristiani al duplice compito d’animazione e d’innovazione per fare evolvere le strutture e adattarle ai veri bisogni presenti. Ai cristiani che sembrano, a prima vista, opporsi partendo da opzioni differenti, essa chiede uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro».
Si tratta della generalizzazione del metodo rivelatosi fecondo tra i movimenti di apostolato di ambiente che partivano dal “vedere” (in ambienti pluralisti dove, a differenza della parrocchia, si trovavano di norma in minoranza), per passare al “giudicare” (con uno sforzo di discernimento comune tra ispirazione evangelica e insegnamenti provenienti dal confronto plurale) e quindi all’“agire”.
Una metodologia particolarmente adatta anche alla realtà politica giacché – come segnala il teologo Severino Dianich –, per quanto i cristiani facciano fatica e pensare la realtà intorno a loro fuori dagli schemi opposti dell’egemonia (con la riproposizione di modelli vecchi o rinnovati di cristianità) o dell’oppressione che conduce al martirio; in realtà, la condizione normale nelle nostre società democratiche è di minoranza tra altre minoranze.
Lo specifico delle assemblee elettive: luoghi privilegiati di azione per il bene possibile
Il discernimento, per coloro che ricoprono cariche pubbliche, si presenta particolarmente delicato nelle assemblee elettive, di fronte a varie delicate scelte che tengano conto del pluralismo, dei cittadini elettori che hanno conferito un mandato sia pure non imperativo, dei limiti derivanti dall’assetto a più livelli dei poteri pubblici (anche sovranazionali) e di quelli legati alle Carte costituzionali fatti valere dalle Corti.
È il tema spesso definito come individuazione del “male minore” o, forse, meglio, del “bene possibile”, concetto che nobilita maggiormente il ruolo della politica, volgendo in positivo l’azione di negoziato, della comprensione dei punti vista altrui. Un tema che è stato specificamente affrontato da Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae (paragrafo 73), attualizzato recentemente da un’autorevole lettera del cardinale Ladaria, a nome della Congregazione per la dottrina della fede, ai vescovi americani dove ha invitato a non adottare visioni semplicistiche di gerarchie fisse tra valori e principi, sacrificandone di conseguenza unilateralmente alcuni a danno di altri.
Le proposte politiche vanno valutate nel loro complesso e non isolando questo o quell’elemento scorporandolo dall’insieme.
Inoltre, se non si seguisse come criterio valido quello del bene possibile, bisognerebbe arrivare oggi in tutte le democrazie esistenti al mondo, a quello che in Italia si è chiamato non expedit, ossia all’autoesclusione per alcuni decenni dei cattolici dalla vita politico-parlamentare a livello nazionale per decisione della Santa Sede in seguito alla presa della città di Roma da parte dello Stato italiano nei confronti dello Stato pontificio.
Per inciso, nonostante che quella decisione fosse stata allora motivata da un intento obiettivo di tutelare l’indipendenza della Chiesa, il giudizio poi nel tempo si capovolse, tanto che Paolo VI, già da cardinale e poi da papa, lo lesse come evento provvidenziale che aveva finito per rafforzare l’autorità spirituale del papa. La storia induce quindi alla prudenza e a non perdere mai il senso della complessità degli eventi.
Credo che dobbiamo sempre tenere presente l’insegnamento di un grande laico cristiano italiano, Aldo Moro che, nel suo ultimo discorso pubblico di fronte ai suoi gruppi parlamentari e ad una decisione difficile per il proprio elettorato, descriveva così il metodo di discernimento che porta al bene possibile: «Io credo che dobbiamo domandarci sempre di fronte anche ai grandi fatti politici, che non sono regolati dalla pura convenienza (io non credo che la politica sia pura convenienza, ha coefficienti di convenienza ma non è pura convenienza; la politica è anche ideale): di fronte a questa situazione, vogliamo fare della testimonianza, cioè una cosa idealmente apprezzabile, rendere omaggio alla verità in cui crediamo, ai rapporti di lealtà che ci stringono al Paese, o vogliamo promuovere una iniziativa coraggiosa, una iniziativa che sia misurata, che sia nella linea che abbiamo indicato e sia pure nelle condizioni nuove nelle quali noi ci troviamo?».
Si tratta in fondo, da dentro alle assemblee elettive, della stessa ispirazione a cui ci invitava Mounier nel testo che ho utilizzato come Premessa. E con questo – credo – le mie suggestioni per un modello aperto, processuale di discernimento, possono considerarsi concluse.