Ha fatto discutere un articolo di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera. Ne ha fatto cenno anche qui, su Settimananews, Francesco Cosentino.
Galli è un opinionista brillante, ma talvolta la sua vena di polemista gli prende la mano. Come cercherò di argomentare, vi è un che di paradossale nella sua polemica con la Chiesa di papa Francesco. Egli ha sostenuto che «la Chiesa riesce meno a fare politica» a motivo del carattere ideologico (?), privo di una «nervatura religiosa», del pontificato di Francesco, il quale, altresì, avrebbe liquidato la dottrina sociale della Chiesa.
Già non è chiarissima la distinzione tra il concetto di “ideologico” e quello di “politico”. Né come un papato “ideologico” possa condurre la Chiesa alla sterilità politica. Sembra una contraddizione. E comunque è francamente audace imputare a un pontefice in genere e a Francesco in particolare un deficit di spessore religioso. A meno di indulgere a un’idea – essa sì ideologica – del cristianesimo inteso come religione civile, molto, troppo e innaturalmente intrecciata con la politica.
La dottrina sociale non è una “terza via”
Secondo Galli, Bergoglio si farebbe banditore di un’ideologia comunitario-populista, anticapitalista e antioccidentale. A mio avviso, le cose non stanno così. Galli fa confusione. Semmai il papa:
- propone un rapporto non più lasco ma più stringente tra Vangelo e Politica (con la maiuscola), che certo è cosa diversa dalla contesa per il potere giustamente estranea alla Chiesa;
- proprio tale stretto ancoraggio al Vangelo, non il populismo, spiega la distanza critica dalla matrice utilitarista del modello capitalista;
- Francesco si discosta da un’interpretazione essa sì ideologica della dottrina sociale della Chiesa che la riduce a una sorta di terza via mediana tra capitalismo e collettivismo.
Egli sembra prospettare una via “altra” più che “terza”. Ispirata alla convinzione che alla Chiesa, in coerenza con la sua “differenza evangelica” e con la sua vocazione universalistica, competa non tanto di sposare un modello sociale e politico, quanto piuttosto di rappresentare un’istanza critico-profetica verso ciascun modello.
Merita richiamare qui un passo chiarificatore circa la natura e lo statuto della dottrina sociale della Chiesa già presente nell’enciclica Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II (1987): «La dottrina sociale della Chiesa non è una “terza via” tra capitalismo liberista e collettivismo marxista e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un’ideologia…». La sua stella polare è il «Vangelo sull’uomo». Essa – così conclude – «appartiene perciò non al campo dell’ideologia, ma della teologia morale».
Questa messa a punto circa lo statuto proprio della dottrina sociale, già anticipata da Paolo VI nell’Octogesima adveniens (1971), si fa ancor più marcata e visibile nell’insegnamento sociale di Francesco. Dunque, l’opposto del rilievo mosso da Galli che gli imputa un pensiero “ideologico”.
L’Occidente e la libertà religiosa
Su un punto, egli ha ragione: a paragone di qualche suo predecessore, Francesco è meno eurocentrico, si mostra più critico verso l’Occidente presunto cristiano. Non tanto e non solo a motivo della sua estrazione («dalla fine del mondo»), ma soprattutto per il suddetto nesso stretto che egli stabilisce tra Vangelo e Politica. Qui sta l’equivoco.
Domando: si può negare che l’Occidente sviluppato, pur storicamente debitore del cristianesimo, nei suoi stili di vita e nei suoi modelli culturali e sociali, si sia decisamente discostato dai valori cristiani? si può eccepire sulla circostanza che esattamente il Vangelo (salvo non considerarlo centrale nel definire l’asserita “nervatura” della religione cristiana) prescriva un’opzione preferenziale per l’umanità ferita e sofferente?
Tanto più oggi, dentro la drammatica pandemia che ci ha investito, come non apprezzare semmai il monito di Francesco alla conversione di un mondo malato che solo ora apre gli occhi sulla sua malattia sino a ieri misconosciuta? A cominciare dalla hybris scientifico-tecnologica e da un esorbitante antropocentrismo esponenzialmente riscontrabili proprio nell’Occidente.
Dunque, a ben vedere, è l’editorialista del Corriere che incappa in un doppio errore: da un lato, ispirandosi lui a un’accezione ideologica della dottrina sociale cristiana intesa come terza via e, dall’altro. pretendendo che essa “consacri” il paradigma politico-culturale occidentale. Pretesa indebita non da oggi coltivata da certe élites laico-liberali, le quali vorrebbero una Chiesa subalterna alla loro “illuminata” visione.
A sostegno della sua tesi – la sterilità politica del pontificato – Galli fa due esempi: un asserito mutismo sulla tensione intraeuropea tra nord protestante e sud cattolico; e quello sulle autocrazie russa e cinese.
Premesso che la visione di Francesco a proposito del “compito politico” della Chiesa non si concreta nella rivendicazione di un protagonismo della Santa Sede tra le potenze della comunità internazionale (si può anche riconoscere, serenamente, che, a qualche suo predecessore, sotto questo profilo, la pubblicistica abbia attribuito più rilievo. Ma, mi chiedo, è questo ciò che più conta ai fini della missione della Chiesa?), sarebbe tuttavia improprio sostenere che Bergoglio sia indifferente sulle due accennate questioni.
Si pensi ai suoi richiami all’ideale europeista e ai padri fondatori, alle parole chiare sui vincoli di solidarietà europea e ai giudizi severi sulla matrice individualistica dei paesi del nord del mondo (in USA e in Europa); o alla sua sensibilità (menzionata dallo stesso Galli) per l’attivo protagonismo dei popoli, e segnatamente di quelli poveri e oppressi, ai fini della propria emancipazione. In coerenza con la teologia del popolo a lui cara.
Su queste basi, è difficile imputargli ignavia verso i limiti dei regimi autoritari, per definizione refrattari a una vera partecipazione democratica. Né si può immaginare che Francesco possa revocare l’approdo relativamente recente e tuttavia sicuro della Chiesa al valore della democrazia come regime politico delle libertà. Penso in particolare alla dichiarazione conciliare Dignitatis humanae.
Galli dovrebbe concedere che Francesco prediliga definirsi cristiano piuttosto che liberale (e magari liberista), ma ciò non significa che non apprezzi i principi liberal-democratici o che egli, tanto impegnato a restituire centralità al Vaticano II dopo anni di appannamento, possa essere sospettato di sottostimare il decreto conciliare sulla libertà religiosa, nel suo intimo intreccio con le libertà civili e politiche, che fu ispirato dal gesuita americano John Courtney Murray.
Non si tratta di perdere una scuola politica, ma di formare delle coscienze di credenti che facciano politica. I
nomi che lei ha citato, e se ne potrebbero aggiungere altri, si erano formati all’università cattolica di Padre Gemelli.
Ora la chiesa da almeno trent’anni ha di fatto rinu nciato a formare le coscienze dei laici( non specifico tutta la problematica con i relativi riferimenti storici per motivi di opportunità che consente questo dialogo). Papa Francesco fa si la sua denuncia politica ( EG nn. 182 e ss) ma ciò che propone alla Chiesa è un itinerario, su indicazioni del Concilio Vat. II, di formazione delle coscienze attraverso la sinodalità, l’ecumenismo, il dialogo con la società, il discernimento dei segni dei tempi, il Kerygma, una certa decentralizzazione del potere ecclesiastico.
Ciò può produrre frutti fra 20-30 anni. Bisogna mettere il cuore in pace, ma i ritardi si pagano e il tempo è superiore alla spazio. Ciò che denuncia Galli della Loggia, da quanto vedo in questo articolo, è il frutto della Chiesa che ci ha preceduto a cui neanche io nel mio piccolo sono estraneo
A volte sembrano tutte frasi vuote: la sinodalità, il discernimento dei segni dei tempi, la parresia profetica, l’ospedale da campo, le periferie esistenziali, il tempo è superiore allo spazio. E’ tutto super pomposo e autoreferenziale.
Stringi stringi che si vuole dire, che si sta facendo? Che si quaglia di concreto?
Leggendo l’articolo di Galli della Loggia rimasi sconcertato pensando allo spessore culturale dell’autore. Condivido le
pacate e approfondite osservazioni di Monaco. Grazie dell’ospitalità, Gianfranco Tilli
L’articolo dj Franco Monaco mi pare riesca a smontare le argomentazioni, assai parziali a mio avviso, sostenute da Galli della Loggia. Mi sembra non si possa non vedere in papa Francesco un uomo di Dio, capace di gesti inauditi pur di volgere le armi in strumenti di pace ( gesti non saranno diplomatici, ma certo hanno significato politico).. Di fronte a tanti gesti, le parole di Galii della Loggia mi sono suonate assai stonate, e preoccupanti.
Ma questi “gesti inauditi” si concretizzano in qualche cosa? Se più parla di migranti più vince l’estrema destra in tutto il mondo…
Io l’avevo interpretato in questo senso l’articolo: a livello ideologico (gesti inauditi) top a livello di attuazione pratica (arte della politica) 6—–
Ogni tanto si potrebbe anche scendere nei particolari.
Ma in concreto quali sarebbero i successi politici di Bergoglio? A me pare che Galli della Loggia dica solo che mancandogli del tutto l’arte della mediazione parli tanto ma concluda poco.
Non è corretto attribuire successi ad un Papa, non persegue un ” successo ” bensì ambisce ad incidere apostolicamente sulla persone, parte di una società civile politicizzata ( MALE ) secondo lo spirito Cristiano legato ai messaggi evangelici di tipo sociale.
Si però in questo modo si perde una lunga “scuola politica” che ha saputo tradurre le “asprezze” del vangelo in pratiche attuabili nella Polis.
Torniamo ai soliti da De Gasperi, a La Pira ecc.
Spira oggi un furore iconoclasta nei confronti di quella storia in nome di un Vangelo non meno puro e intransigente di quello di certi
conservatori.
Lo butto lì platealmente senza cucire pazientemente la sua messa in opera. Anzi se qualcuno lo fa notare diventa subito un nemico.
Che ci abbiamo guadagnato?