Clima ed energia: cosa è successo al G7

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g7 torino

La questione energetica e climatica è stata al centro del meeting del G7 che si è svolto dal 28 al 30 aprile a Venaria Reale (Torino), alla presenza dei ministri competenti su Clima, energia e ambiente. L’Italia era rappresentata dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, che ha dichiarato che il summit doveva essere inteso come un ponte tra la COP 28 di Dubai e la prossima COP 29 di Baku.

I Paesi del G7 hanno raggiunto un accordo (la cosiddetta “Carta di Venaria”) che è riportato nel documento finale Climate, Energy and Environment Ministers’ Meeting Communiqué (cf. qui sul sito ufficiale del meeting del G7). Una sintesi del documento finale si trova anche sul sito del MASE (cf. qui sul sito del MASE).

Punti salienti dell’accordo

− Viene riaffermata la condanna all’invasione dell’Ucraina e si assicura la continua assistenza da parte dei G7 per riparare i gravi danni prodotti dalla Russia al sistema energetico di questo Paese. A questo proposito si esprime l’impegno ad abbandonare le importazioni del gas russo il prima possibile. Viene anche espressa forte preoccupazione per le attuali crisi in molte regioni del mondo, in particolare a Gaza e nel Medio Oriente, crisi che hanno un impatto pesante sui popoli e sulla loro sicurezza energetica e alimentare.

− Si rinnova l’interesse e la preoccupazione per la gravità della triplice crisi globale riguardante il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e l’inquinamento; crisi che produce desertificazione, degrado della terra e delle acque, scarsità d’acqua, siccità e deforestazione. I Paesi G7 riaffermano il loro impegno a implementare concrete azioni immediate e a breve-medio termine nella prossima decade critica per fronteggiare la crisi globale che investe anche l’economia e la società.

In particolare, si ribadisce l’impegno a raggiungere le zero emissioni nette di gas serra entro il 2050, al fine di limitare l’aumento termico globale medio a 1,5°C rispetto all’era preindustriale. Con l’obiettivo di portare l’attuale assetto economico-sociale verso un sistema a zero-emissioni, circolare, clima-resiliente, libero da inquinamento (compreso quello della plastica), fermare la perdita di biodiversità entro il 2030 e favorire la transizione energetica. Per realizzare ciò bisogna mobilizzare grandi risorse finanziarie, private e pubbliche, nazionali e internazionali.

Per contrastare il cambiamento climatico e la crisi ambientale si sottolinea ancora una volta l’importanza di un approccio basato sulla scienza – in particolare sui lavori dell’IPCC, dell’IPBES e dell’UNEP, gruppi di ricerca legati all’ONU – e sulle conoscenze dei territori che sono patrimonio delle popolazioni indigene. La transizione deve essere inclusiva verso tutti i segmenti delle società umane, senza esclusioni di genere o di cultura; in particolare deve riferirsi alle giovani generazioni che saranno più coinvolte dal cambiamento climatico.

− Sul piano energetico i Paesi G7 si impegnano a pubblicare a livello internazionale i nuovi piani di riduzione delle emissioni (NDCs: Nationally Determined Contributions), prima della scadenza formale della fine del 2025, prevista in occasione della COP 30 a Belém. Gli stessi si assumono l’onere di eliminare gradualmente la produzione di energia elettrica da carbone fino a cessarla entro il 2035.

Viene inoltre confermato l’obiettivo – stabilito alla COP 28 – di triplicare la produzione di energia rinnovabile entro il 2030; per raggiungerlo i G7 si impegnano a sestuplicare la capacità di accumulo energetico mediante batterie e altri sistemi, al fine di sopperire all’intermittenza delle rinnovabili: il target previsto è di 1.500 GW a livello globale entro il 2030, contro i 230 GW del 2022.

Per elettrificare il sistema energetico si esprime la volontà di aumentare significativamente gli investimenti nelle reti di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica entro il 2030, riconoscendo che sono necessari 600 miliardi di dollari all’anno per raggiungere gli obiettivi climatici. Parimenti vi è l’impegno a ridurre i sussidi alle fonti fossili più inquinanti e unbated, le cui emissioni non vengono catturate o compensate per decarbonizzare gli impianti industriali, ricorrendo alla cattura e al sequestro del carbonio (CCS), all’uso dell’idrogeno verde e al biometano.

L’intento è di ridurre del 75% le perdite di metano dalle filiere dei carburanti fossili entro il 2030, dai processi di estrazione e di trasporto per la produzione di energia, all’industria, all’agricoltura, al commercio e a tutte le attività produttive, compresa la gestione dei rifiuti.

È presa in considerazione anche l’energia nucleare da fissione, come soluzione per la decarbonizzazione, soprattutto per i Paesi dove esiste già, insieme allo studio per creare nuove centrali di piccola dimensione.

I G7 hanno deciso di istituire un gruppo di lavoro per l’utilizzo della fusione nucleare, riconoscendo i lunghi tempi per il miglioramento della tecnologia e per la realizzazione di eventuali futuri impianti.

Vengono inoltre prese in esame opzioni per decarbonizzare il settore stradale, con l’impegno di sviluppare i veicoli elettrici e le necessarie infrastrutture.

I G7 hanno auspicato l’impostazione di standard elevati per migliorare la qualità dell’aria. Si riconosce anche la necessità di maggiori sforzi in tema di biodiversità, come la necessità di interrompere la deforestazione entro il 2030.

Si è decisa l’istituzione di una «Coalizione G7 sull’acqua», che rappresenta la prima iniziativa sul tema e che potrà portare ad una sintesi delle posizioni comuni da trattare nei meeting internazionali.

− Si esprime l’intenzione di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici e si promuovono iniziative come «G7 Adaptation Accelerator Hub» che nasce dall’esigenza di trasformare le priorità dei piani di adattamento di paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili (Africa e Mediterraneo) in piani d’investimento capaci di attrarre finanziamenti pubblici e privati. In tema di finanza climatica, il G7 riconosce che, per raggiungere gli obiettivi degli Accordi di Parigi 2015 (COP 21), occorrono investimenti dell’ordine di migliaia di miliardi di dollari.

− Il documento riconosce i livelli altissimi di inquinamento da plastica, per cui occorre intraprendere azioni che vadano dalla prevenzione dell’inquinamento da plastiche fino al riciclo, affrontando anche il tema delle microplastiche in termini di fonti, vie di trasmissione e impatti. In materia di economia circolare si decide di incaricare l’«Alleanza del G7 sull’Efficienza delle Risorse» a lavorare, entro la fine del 2024, allo sviluppo di una comune «Agenda volontaria sul Tessile e la Moda Circolari» tra governi, imprese, e stakeholder. Questo allo scopo di guidare il cambiamento all’interno dell’industria tessile e della moda promuovendo pratiche di economia circolare e contribuendo così a combattere il fenomeno del fast fashion e i relativi impatti ambientali.

Valutazioni e commenti

Il prof. Ferdinando Boero, zoologo e ricercatore specializzato in biodiversità marina, funzionamento degli ecosistemi e sostenibilità, auspica che l’accordo dei G7 porti questi Paesi a intraprendere forti azioni per la salvaguardia dell’ecosistema senza aspettare che altri, come la Cina e l’India, si muovano in questa direzione.

Di esempio è la UE che ha già messo in campo una serie di iniziative, come il Green Deal del 2019, senza attendere che altri facessero il primo passo. D’altra parte, sono proprio i G7 i maggiori responsabili della crisi climatica e ambientale che potrebbe portare alla sesta estinzione di massa, di cui la prima vittima sarebbe la specie dominante, l’homo sapiens. I Paesi emergenti producono molte merci che servono a noi e inquinano per noi (cf. qui sul sito del Fatto Quotidiano).

Secondo Luca Bergamaschi, direttore di ECCO il think thank italiano per il clima,

«I Paesi del G7 fanno un passo avanti decisivo per la traduzione della COP28 di Dubai in politiche nazionali. Primo fra tutti, l’impegno verso l’uscita graduale dai combustibili fossili attraverso lo sviluppo e l’adozione di politiche, azioni e piani nazionali. […] I Paesi G7 riconoscono inoltre che la tecnologia regina per la decarbonizzazione dei trasporti è l’elettrico, lasciando uno spazio marginale ai biocarburanti […]. Infine, per la prima volta, i Paesi G7 riconoscono ufficialmente che servono migliaia di miliardi di dollari per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi: questi impegni possono essere raggiunti solo con una mobilitazione straordinaria di risorse pubbliche e private. Queste decisioni sono ora nelle mani del Ministro Giorgetti e della Premier Meloni in vista del G7 Finance di maggio e del Vertice G7 di giugno» (cf. qui sul sito Ecoclimate).

Di parere diverso è Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, secondo cui è

«deludente che un incontro tra i Paesi delle maggiori economie mondiali possa continuare ad appoggiare costose soluzioni in declino come il nucleare a scapito di fonti rinnovabili, efficienza, reti e accumuli. E che si rimandi il phase-out del carbone alla prima metà degli anni 2030 senza assumere nessun impegno concreto per quello del gas e del petrolio. […] Anche sul tema acqua il risultato non è dei migliori: si parla di una coalizione per l’acqua ma gli obiettivi e le strategie comuni dovranno uscire dalla logica del solo approvvigionamento e uso della risorsa, come avvenuto fino ad oggi; si dovrà invece ripartire dalla sua tutela e corretta gestione, a cominciare dalla riduzione dell’impronta idrica di processi e prodotti quale parametro di riferimento da valutare; e dalla messa al bando di quelle sostanze chimiche, come i PFAS, che minacciano la disponibilità oltre che la qualità della preziosa risorsa. È solo positivo che il documento abbia posto l’attenzione sull’intero ciclo di vita dei prodotti in plastica, con l’obiettivo di ridurre il superfluo e valorizzare processi e prodotti virtuosi di economia circolare che, puntando sull’ecodesign, possano garantire prevenzione, innovazione e sostenibilità di intere filiere produttive» (cf. qui sul sito di Legambiente).

Il WWF ha accolto con favore l’impegno dei Ministri G7 per abbandonare il carbone, anche se valuta la permanenza di profonde lacune per un abbandono definitivo di tutti i combustibili fossili, a partire dal gas. Su biodiversità e natura, è valutata positivamente la volontà di implementare rapidamente il Quadro Globale per la Biodiversità (GBF) e il richiamo agli obiettivi finanziari del GBF, ma per questi manca ancora un impegno chiaro e quantificato dei G7 e in particolare dell’Italia.

Per raggiungere una partnership paritaria con il Continente Africano e il Sud Globale servono maggiori finanziamenti da indirizzare a queste macroregioni economiche. Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, ha dichiarato che «le conclusioni del G7 Clima, Energia e Ambiente possono aiutare il processo multilaterale sul clima a imboccare con decisione la strada del phase-out dei combustibili fossili. È importante che si sia dedicata attenzione all’attuazione delle decisioni della COP 28 di Dubai, in particolare nel triplicare le fonti rinnovabili e nel raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030.

I molti e giusti richiami a contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C vanno resi impegni concreti e fattivi:

«soprattutto servono tappe e scadenze precise. Qualche segnale rilevante, per esempio sull’uscita dal carbone intorno al 2035. Però, c’è ancora troppo gas nel G7, occorre lavorare per uscire davvero e al più presto da una dipendenza intollerabile, che contribuisce pesantemente alla crisi climatica. […] Ci auguriamo che a giugno i leader sappiano fare ulteriori e sostanziosi passi in avanti, mentre la crisi climatica e di perdita di biodiversità galoppa, a partire dagli impegni finanziari in scadenza nel 2025 e post 2025. Per quel che riguarda il dibattito pubblico italiano, ci auguriamo si cessi di dar retta a chi invoca tecnologie di là da venire o inattuabili e costose: le fonti rinnovabili, con i sistemi di accumulo e di gestione della domanda, sono la risposta meno impattante per il clima e la biodiversità, e anche economicamente più conveniente» (cf. qui sul sito del WWF).

Secondo Vincenzo Balzani, presidente dell’associazione scientifica Energia per l’Italia,

«destano notevoli perplessità le dichiarazioni del ministro Pichetto al recente G7 riguardanti la partecipazione dell’Italia ad un programma nucleare europeo destinato a medio termine all’installazione di qualcosa come 15 piccoli reattori nucleari modulari nel nostro paese. Forse è il caso di chiarire che questa tecnologia è tutt’altro che pronta ad essere messa in campo e che, comunque, già ci sono grossi dubbi a livello scientifico che questa sia la strategia energetica giusta da attuare per fronteggiare il cambiamento climatico, dato l’enorme aumento della quantità di scorie radioattive che questo approccio potrebbe generare, lasciandole in eredità alle giovani generazioni. Ricordiamo che l’Italia non riesce ancora a dotarsi di un deposito di scorie relativo alla stagione nucleare italiana, conclusasi quasi 40 anni fa. Ci domandiamo, quindi, per quale motivo invece di concentrarsi sulla sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili come il Sole e il vento, di cui l’Italia dispone in grande quantità, il governo perda tempo e denaro in simili programmi pericolosi e campati in aria. La strada che l’Italia deve seguire è tutt’altra, puntare con decisione alle fonti rinnovabili, come stanno facendo tutti gli altri paesi industrializzati, non solo in Europa. Ci appelliamo pertanto all’opinione pubblica e in particolare ai giovani perché reagiscano a queste cattive notizie e chiedano con forza una politica energetica del tutto nuova e pulita per il loro futuro».

Poi, per quanto concerne la fusione nucleare, Margherita Venturi, docente e ricercatrice di Chimica all’Università di Bologna, fa presente che le tecnologie esistenti, basate sul confinamento magnetico e sul confinamento inerziale, pongono seri problemi: la fusione ottenuta in laboratorio necessita di temperature molto alte (decine di milioni di gradi centigradi), utilizza il trizio (un isotopo dell’idrogeno) che è rarissimo in natura, richiede più energia di quella che viene prodotta, dura solo pochi secondi, produce scorie radioattive similmente alla fissione nucleare ed è molto costosa. Siamo ancora molto lontani dall’ottenere energia da fusione in modo competitivo: «questa tecnologia non riuscirà a produrre elettricità a bassi costi e in modo attendibile in un futuro ragionevolmente vicino». Le promesse dell’ENI di ottenere entro un anno energia da fusione da un impianto pilota ed entro il 2030 da una centrale industriale tendono a «mettere sotto il tappeto le emergenze che dobbiamo affrontare immediatamente, per poter continuare a estrarre e vendere combustibili fossili, senza curarsi dei gravi e ben noti problemi causati dal loro uso» (cf. qui sul sito di Energia per l’Italia).

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