636 morti, 31.161 contagiati di cui 4.800 in gravi condizioni, 63 nuovi casi nella sola provincia dell’Hubei.[1] È l’ultimo bollettino del coronavirus, secondo fonti cinesi. Numeri gestiti in modo “creativo”, dunque politico secondo le fonti occidentali, che però non hanno cifre ufficiali da contrapporre a quelle di Pechino se non quelle relative ai casi registrati in Occidente.
È un caso l’altalena di notizie sulla sorte di Li Wenliang, il medico 34enne di Wuhan che per primo, il 30 dicembre, ha dato l’allarme sull’epidemia. Ieri il South China Morning Post ne ha annunciato il decesso, salvo poi smentire dopo poche ore, dicendo che il medico era in rianimazione.
C’è anche il primo italiano positivo al coronavirus: si tratta di un uomo sulla cinquantina, rimpatriato da Wuhan insieme ad altri 55 connazionali e attualmente ricoverato all’ospedale Spallanzani di Roma.
Con Francesco Sisci, giornalista, sinologo, editorialista di Asia Times, abbiamo cercato di fare il punto sulla situazione cinese. Anche per Sisci le informazioni relative al virus sono deficitarie: «per ora bisogna cercare di restare freddi e capire i confini dell’epidemia che ancora oggi non sono chiari». Occorre non dimenticare, spiega Sisci, che la sfida del coronavirus è sistemica non interessa solo la salute ma anche le Borse. «I mercati sono contagiati, ma una possibile soluzione la Cina ce l’ha».
– Da Wuhan fanno sapere di avere una terapia ma l’OMS ha smentito. Come stanno le cose?
Non sono in grado di giudicare a che punto sia la ricerca cinese ma sembra chiaro che c’è gente che guarisce e che la malattia non è mortale come la Sars. In quel caso furono i cinesi a mettere a punto una cura, oggi potrebbero fare altrettanto.
– C’è un allarme sociale?
Per ora non vedo gli elementi di una crisi sociale, anche perché i cinesi sono chiusi in casa per paura del contagio. Temo, come ho già detto, che ci possa essere un impatto finanziario importante, ma per esserne certi dobbiamo vedere cosa succederà nei prossimi giorni.
– La borsa di Shangai è caduta ma Wall Street ha assorbito il colpo ed è risalita.
La Cina ha approntato un fondo di 160 miliardi di euro per sostenere la Borsa di Hong Kong e fa capire che potrebbe spendere ancora di più. C’è anche la prospettiva di chiudere Hong Kong per contagio. In questo modo si sta tamponando la situazione. Neanche gli USA vogliono una crisi finanziaria che indebolirebbe le prospettive di rielezione di Trump. Il petrolio comunque è in caduta e non è chiaro se tutto questo basterà a sostenere i mercati, e soprattutto per quanto tempo. Continuo a essere preoccupato.
– Chi ha in mano in Cina la gestione del dossier coronavirus e come sta operando?
Secondo gli annunci pubblici il presidente Xi ha in mano la vicenda. Credo che collabori anche il vice presidente Wang Qishan, che guidò bene la seconda parte della gestione della Sars. Solo che questa è una crisi molto diversa.
– Lei stesso ha spiegato che la Cina ha una solida tradizione di tentativi di colpi di Stato. È anche noto l’accentramento di poteri operato da Xi Jinping. Il coronavirus può essere utilizzato contro l’attuale regime di Pechino?
È possibile, ma al momento non ci sono elementi che autorizzano a ipotizzare uno scenario di questo tipo.
– Perché in un momento così delicato Xi non si vede?
Circolano speculazioni di ogni tipo, ma gli annunci ufficiali ripetono che lui è alla guida. Se non lo fosse ci sarebbero altri tipi di segnali.
– L’OMS ha detto che il coronavirus per ora è un problema prettamente cinese. Come commenta?
Credo, e ne ho scritto, che la radice di questa nuova epidemia sia sistemica: la coesistenza di un’agricoltura primitiva con megalopoli moderne. Quindi la Cina ha un compito difficilissimo, urgente e necessario: non solo affrontare l’emergenza di oggi, ma anche risanare rapidamente la sua agricoltura e quindi tutto il resto. Non sarà facile, ma è nell’interesse di tutti che la Cina ci riesca.
– Come sono state accolte in Cina le parole del segretario al Commercio americano Wilbur Ross, secondo il quale il coronavirus potrebbe essere positivo per l’economia americana?
I commenti di Ross hanno irritato molto i cinesi e secondo me non sono stati saggi, anzi rischiano di creare una pericolosa ondata emotiva. Credo che in realtà Ross stia cercando di separare ulteriormente l’economia americana da quella cinese e che nel medio-lungo termine in effetti l’epidemia potrebbe dare questo risultato.
– Quali strumenti fiscali e monetari ha la Cina per fronteggiare una possibile emergenza finanziaria?
In teoria la Cina, con un sistema chiuso, nessuna libertà di cambio di moneta e circa 3mila miliardi di dollari di riserve ha ampie risorse per sostenere il suo mercato. Bisogna capire però come gli altri mercati reagiranno nelle prossime settimane.
– Secondo lei?
Ci sono tre scenari: la Cina riesce a sostenere i mercati, a costo di svenarsi; la Cina paga un prezzo altissimo per farlo, senza riuscirci; la Cina lascia cadere i mercati, perché è troppo oneroso sostenerli, e interviene dopo per recuperare. Io sceglierei la terza opzione, perché meno costosa, meno rischiosa e perché permette di prendere meglio le misure della cosa. Ma non so cosa pensi Pechino. Sostenere i mercati oggi non è sostenere il cambio del dollaro di Hong Kong come accadde nel 1998. Di certo non saranno giorni facili.
– E nel brevissimo termine?
Nel brevissimo forse è difficile pensare che crollino le Borse asiatiche e Wall Street salga. L’epidemia fisica è limitata, ma le montagne russe delle Borse nei giorni scorsi dimostrano che i mercati sono contagiati. La partita è comunque lunga e complicata e la rivalità Usa-Cina forse in questo momento si sta alzando, non placando.
L’intervista è stata pubblicata su IlSussidiario.net il 7 febbraio 2020.
[1] I dati si riferiscono al 7 febbraio, data dell’intervista. I numeri della OMS aggiornati al 15 febbraio riportano 1.526 decessi, 50.580 contagiati (red).